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rafman

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  1. Sifu (e non shifu) e sensei sono la stessa cosa. Stesso ideogramma e stesso significato. Le due culture , cinese e giapponese, sono state molto vicine e per parecchi anni. Sinceramente , insegnando arti interne cinesi (il termine taichi comprende tante cose, tanti stili) e praticando iaido non vedo troppe differenze nel rigore che viene richiesto per apprenderle. Anche nello iai, se vuoi essere efficace è rischiesta la morbidezza e nel taichi, se vuoi essere efficace, devi essere preciso. Ad esempio senza il rispetto delle tre armonie esterne le tecniche non funzionano
  2. rafman

    ...

    Grazie per la precisazione. Non lo sapevo.
  3. rafman

    ...

    Fantastico! "Mai dire banzai" però che si da delle arie di serietà. Anche secondo me la sezione adatta è offtopic..
  4. rafman

    ...

    Consiglio, lo trovi sempre su youtube , quello che vede come protagonista Otake Sensei, attuale caposcuola della Katori Shinto Ryu, a mio parere uno dei più interessanti.
  5. rafman

    NEL DOJO

    Sono contento che il libro piaccia. Rendere la prosa dell'autore, rispettandone il significato, non è stato facile, ma a me e Luca Malavasi, che ha tradotto il libro con me, premeva diffondere un testo che ritenevamo interessante. Leggendo qui e su altri forum posso dire che abbiamo conseguito l'obbiettivo che ci eravamo assegnati. Pertanto ci apprestiamo a tradurne un altro, sperando di fare ancora meglio.
  6. rafman

    Saya abbondante....

    Concordo con Lorenzo. Aprire la saya per ripararla e poi richiuderla è garanzia di un lavoro poco preciso. Anche io consiglio di procedere con la realizzazione di un nuovo fodero , e fatto da un professionista possibilmente. Da quello che dici, i segni sulla lama dovrebbero essere dovuti ad una pulizia della lama non accurata che ha lasciato sulla superficie della stessa del materiale abrasivo e comunque se la lama "balla" all'interno della saya non è una bella cosa non fosse altro per la sicurezza tua e di chi pratica con te. RafMan
  7. rafman

    NEL DOJO

    A fine agosto sottoporrò il testo all'esame di un maestro di spada giapponese. Vi dirò come è andata.....
  8. rafman

    libri utili

    Giusto Furutani sa un po' di made in usa, ma Clavell? Non mi pare originario del Giappone.... Ma si sa i romanzi non possono ( e secondo me non debbono nemmeno esserlo) essere uguali ai saggi e un po' di colore non guasta mai. E anche nei saggi chi non ricorda il tremendo "kung-fu di Okinawa di John Amstead" (uno dei cattivi dei film di Bruce Lee).
  9. rafman

    libri utili

    La trilogia di Dale Furutani . Agguato all'incrocio, vendetta al palazzo di giada , uccidete lo shogun E' edita da Marcos y marcos
  10. rafman

    NEL DOJO

    Grazie. Concordo con te sul fatto che nelle nostre discipline non vi possano essere fonti inattaccabili, proprio in ragione delle caratteristiche specifiche dei vari dojo e del tessuto sociale in cui questi risiedevano.
  11. rafman

    NEL DOJO

    Trattasi di semplice curiosità.......Nonchè di un po' di conversazione in questo spazio virtuale. Spero comunque che tu possa trovare le notizie interessanti. Teniamo presente che l'autore è una praticante di Shinkage Ryu che ha avuto la fortuna di essere istruito e di apprendere le notizie da uno degli istruttori diretti del ryu. Per me , la prima volta che l'ho letto, le sorprese non sono state poche. Al mantovano chiedo : Mantova provincia o città?
  12. rafman

    NEL DOJO

    Che disciplina praticate? Io iaido, karatedo e xing yi
  13. rafman

    NEL DOJO

    Contentissimo del fatto che lo abbiate comprato...... Ma sarei ancor più contento di avere un vostro parere sul libro in sè, sulla qualità della traduzione, riguardo alla quale dovete tener presente che io e l'amico Luca abbiamo cercato di rimanere il più possibile fedeli all'originale. Grazie sin d'ora RafMan
  14. rafman

    NEL DOJO

    provvedo
  15. rafman

    NEL DOJO

    Dove? La distribuzione mi interessa.
  16. rafman

    NEL DOJO

    Avvertito. Il libro sarà disponibile sul sito lunedì o martedì prossimi.
  17. rafman

    NEL DOJO

    Acc! L'editore non lo ha messo! Lo comunico immediatamente!
  18. rafman

    NEL DOJO

    Cari amici del forum, finalmente ce l'abbiamo fatta. Dopo un bel po' di lavoro (e di casini di natura burocratica) Ponchiroli Editori è riuscito a far uscire "Nel dojo" traduzione del testo inglese scritto da Lowry. Io e l'amico Luca Malavasi, ci abbiamo messo tempo e passione, il libro è molto interessante per i motivi che già avevo espresso nel post del settembre scorso, speriamo che qualcuno lo legga e ne tragga qualche utile informazione. Se vi interessa vi passo il link al sito dell'editore , dove dovreste trovare qualche info in più www.ponchirolieditori.com Ciao e grazie
  19. Molto bello davvero quello che dici. Ma mi auguro tu abbia avuto cura di asciugare molto bene la lama e che tu disponga anche di un fodero da riposo. Le nostre lame soffrono tantissimo le condizioni meteo che hai descritto.
  20. rafman

    HI MATSURI

    Dove, dove?
  21. Cari amici come da titolo del treath vi do una piccola anteprima del lavoro di traduzione di "In the dojo" che sto facendo assieme all'amico Luca. E ' un estratto del capitoli dedicato alle armi .Poichè trattasi di lavoro ancora da limare, ancora troppo letterale, non consideratelo come testo definitivo .........Non importa di che forma siano queste armi – e nel menzionare bokuto, shinai e jo, abbiamo citato solo le più comuni; ce ne sono dozzine di tipi – abitualmente custodite in rastrelliere, o kake, affisse ai muri del dojo. Fuori del Giappone, queste rastrelliere si trovano anche sulla parete di shomen, a fronte dell'entrata. Non dovrebbe essere così. Come detto nel capitolo sul kamidana, la parete frontale del dojo è uno spazio speciale; dovrebbe essere sgombra e non dovrebbe esserci nessun andirivieni di allievi che prelevano o ripongono le armi usate per la lezione. Questi supporti dovrebbero essere dislocati lungo i muri laterali o sul muro opposto a Kamiza. In alcuni dojo, vigono regole specifiche sulla collocazione delle armi nelle rastrelliere. Esistono delle varianti, come varie sono le motivazioni che le originano. In alcuni luoghi, l'impugnatura dell'arma è orientata in modo da essere più vicina a chi si avvicina alla rastrelliera o proviene dall'entrata. La ragione, in questo caso, è la praticità d'uso di una tale disposizione. In altri dojo, la regola è opposta. La presa della spada o di qualunque arma sarà posta lontano dall'entrata o dal verso di avvicinamento alla rastrelliera e la ragione, storicamente, risale alla guerra civile giapponese, durante la quale si voleva evitare che un intruso avesse prontamente a disposizione un'arma all'entrata del dojo. Notate qual è l'uso in auge nel vostro dojo e conformatevi. E non preoccupatevi troppo che qualcuno piombi dentro e crei scompiglio con un'arma afferrata entrando. Non capita spesso nei dojo di oggi. Se non ci sono rastrelliere, le armi vanno lasciate sul pavimento, disposte lungo i muri per tenerle lontane da dove si cammina e per evitare che qualcuno le calpesti. Questo sembra semplice buonsenso. Ma, se si usa un'arma e non si è prudenti, la si lascia nel bel mezzo del pavimento nelle pause dell'insegnamento o mentre ci si scambiano i ruoli di attaccante e difensore, presto o tardi qualcuno finirà con l'inciamparci sopra. Quando deponete un'arma ai margini del pavimento o dell'area di allenamento, assicuratevi che la punta, se si tratta di una lama, eviti di puntare la parete principale.[1] La maggior parte delle volte, sarà lo studente a provvedersi delle proprie armi. Esse vanno considerate "sue, " e non dovrebbero essere toccate senza il suo permesso. Una spiegazione era che "la spada è l'anima del samurai" ed era da tenere in conto come un'estensione della sua persona, e quindi il bokuto e le altre armi da addestramento sono considerate estensioni del proprietario o come un simbolo quasi sacro. Esistono dojo, può darsi in buona fede, ma nondimeno pretenziosi nelle loro applicazioni, che hanno rituali complessi per avvicinarsi alle rastrelliere delle armi, come rivolgere ad esse un saluto formale, o cose di questo genere. Questo è un nonsenso intriso di romanticismo. Le spade erano utensili. Esse erano, proprio come le sgorbie o la sega per il carpentiere, i dogu per il lavoro di samurai. Erano, comprensibilmente, di importanza critica, dato che la vita dei proprietari dipendeva da esse. Come il soldato moderno non vorrebbe che nessuno maneggiasse il suo fucile, il samurai voleva essere sicuro che la sua arma fosse in buone condizioni ed efficiente, e poteva riuscirci meglio se si assicurava di essere l'unico a toccarla. Il suo interessamento al riguardo era quindi più pratico che spirituale. In ogni caso, è comunque importante che il Giappone ha una lunga storia nell'attribuire qualità speciali ai dogu d'ogni sorta, e quest'atteggiamento si accentua nel caso delle armi. Durante il lungo periodo feudale giapponese, un samurai che camminasse per una strada affollata poteva essere immediatamente sfidato anche solo per aver permesso al fodero della sua spada di urtare l'arma di qualche altro guerriero. Toccare una spada o qualunque altra arma senza permesso era una grave infrazione dell'etichetta. Ed è vero che esistevano prescrizioni su maniere e comportamenti nel maneggiamento della propria spada che a noi potrebbero sembrare un poco esagerati. Quando un samurai era impegnato nel pulire e lubrificare la propria spada, ad esempio, poteva reggere un foglio di carta tra i denti per impedire che l'umidità del respiro potesse anche solo leggermente inumidire la spada, rischiando di macchiarla di ruggine. Quindi, per dare la giusta prospettiva alla questione delle armi nel dojo, dobbiamo apprezzare il bilanciato rapporto tra le qualità pratiche e quelle spirituali che esse rappresentano. Il perché sia così nel budo, e come questo differisca in qualche misura dall'attitudine verso gli utensili che esiste in Occidente, è cosa interessante. Se tracciamo una linea temporale, manca il punto definito in cui, ad un certo punto della rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo, in Occidente scompare del tutto il concetto di utensile come oggetto estetico. Prodotti in catena di montaggio ed in massa, tutti gli oggetti, dal martello alla penna per scrivere, persero la loro individualità. Si perdette l'unicità personalizzata che esisteva negli oggetti prodotti singolarmente, spesso dal loro possessore, o prodotti tenendo conto delle sue peculiari necessità. Coloro che usarono questi prodotti di serie, parimenti, persero il senso di empatia e l'affezione per i loro utensili. Il pioniere Americano, per esempio, dava una considerazione al suo fucile a pietra focaia che suo nipote, minatore nelle miniere di carbone della Pennsilvanya, non poteva certo tributare al suo piccone. In Giappone, in misura notevole, questa transizione da dogu, con tutte le peculiari caratterizzazioni che la parola comporta (letteralmente dogu, tradotto, significa "un utensile per la Via"), non avvenne fino ai tempi moderni. Ciò accadde perché il Giappone non sperimentò l'esteso cambiamento causato dalla rivoluzione industriale se non dopo la Seconda Guerra Mondiale. In più, il "Giappone feudale", fra le altre cose, fu un periodo di due secoli di celebrazione dell'artista e dell'artigiano, perciò gli utensili godettero di una posizione all'interno della cultura che non ha riscontri nel resto del mondo. Tutto questo, naturalmente, si applica al dogu, l'utensile del guerriero. Negletti dal processo di produzione di massa che li avrebbe spogliati delle loro qualità individuali, e con una popolazione in larga parte rurale che esprimeva di continuo una varietà di bisogni, gli attrezzi giapponesi rimasero per secoli prodotti fabbricati a mano. I dogu hanno rappresentato un solido ponte tra arte e utensile, a cavallo tra estetica e utilità. Il Giapponese ha risposto a questo collegamento investendo sentimento in questi oggetti usualmente piuttosto ordinari, il che rivela uno degli aspetti più straordinari della cultura giapponese. Non sorprende che questo sentimento fosse drammaticamente evidente nelle armi della classe dei samurai. Fin dal primissimo periodo in cui si forgiarono spade in Giappone, fu coinvolto nel processo un che di religioso e spirituale. La fucina è invariabilmente dotata di un kamidana Shinto esattamente del tipo descritto nel capitolo che tratta di quel tema. I fabbri continuano a sottoporsi ad abluzioni e pregano prima di mettersi all'opera. Nella loro manifattura c'è, in qualche caso, qualcosa di mistico. Ma, pur se abbandoniamo leggende apocrife e superstiziose o rivendicazioni pseudo – magiche, dobbiamo essere consci del ruolo del ruolo giocato dalle spade e dalle altre armi, e ci rendiamo conto che questo ruolo non era interamente pratico. La presenza di armi in un dojo dovrebbe indurre una sobria consapevolezza del pericolo insito in tutto il budo. Non importa che le armi siano affilate o siano semplici versioni lignee. Battete bruscamente il vostro indice sul tavolo: non causerà danni e, a meno che non abbiate il misterioso potere del "tocco della morte", non infliggerà ingiuste e dolorose ferite a nessuno. Ma pensate per un momento a cosa avrebbe potuto provocare la stessa piccola forza sul vostro polso o sul pollice se applicata, per esempio, attraverso un bastone di tre piedi. Le armi moltiplicano enormemente la forza e la velocità dei movimenti. Anche esercitato senza di essi, il budo può essere pericoloso. Quando si aggiungono le armi all'allenamento, bisogna essere sempre vigili e considerare che possono provocare danni seri. Oggi, molti budoka non sono così meticolosi come i samurai d'un tempo riguardo ai loro buki. Bisognerebbe invece che continuassero a trattare le loro armi con considerevole cura e, se sono seri praticanti della loro arte, è naturale che attribuiscano alle loro armi qualità che vanno ben oltre quelle di un oggetto normale. Potrebbe trattarsi in parte di superstizione, in parte di senso estetico e, sì, in parte anche di spiritualità. In tutti i casi, questo accade alle armi presenti nel dojo, e la tradizione dovrebbe essere rispettata. [1] L'arma può essere quindi disposta con la punta in direzione parallela od opposta a Kamiza (N.d.T.)
  22. Semplificando molto, in the sword and the brush viene fornita la spiegazione di alcuni termini comuni nel linguaggio del budo attraverso i kanji (gli ideogrammi). Io lo comprai nella vecchia edizione di Mondadori e lo trovai molto interessante, mi fece capire parecchie cose sulla pratica del karate e dei concetti ad essa collegati . Visto che c'erano i diritti liberi ho pensato di ripubblicarlo e di rifare la traduzione ex novo.
  23. In the dojo parla dell'architettura del dojo, dell'etichetta che è opportuno osservare, dell'hakama, del keikogi, di heigo...... insomma di tutti quegli argomenti relativi agli aspetti formali (e non) della pratica di un'arte marziale giapponese all'interno di un dojo (ed anche fuori). Caro Matteo, spero di farlo uscire prima di Natale. Le premesse ci sono.
  24. ....rifaremo la traduzione anche di "The sword and the brush" di Lowry pubblicato da Mondadori qualche anno fa. Và mò là! RafMan p.s. Quasi finita la traduzione de "In the dojo" a breve (settimana o due) dopo aver fatto la revisione posto un capitolo in versione preadattamento.
  25. C'è fermento traduttivo sul forum...benebenebene. Se vi serve una dritta per contattare kodansha un paio di nominativi ce li ho. A dispetto dell'efficienza che dovrebbero avere in quanto giapponesi, hanno un po' di casino al loro ufficio diritti.. Li ho contattati quando abbiamo tradotto il libro di Egami e vanno marcati stretti.

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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