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sandro

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  1. sandro

    Shinsengumi

    Come promesso più e più volte alla nostra Akaihana, iniziamo ad estrapolare e tradurre qualche poesia dallo “Hōgyoku Hokkushū” (Raccolta di haiku di Hōgyoku). Hōgyoku è il gagō (nome d’arte) di Hijikata Toshizō. Il documento è datato “Primavera del 3° anno dell’epoca Bunkyū (anno del cinghiale)”, corrispondente al 1863, dunque poco tempo dopo l’arrivo a Kyōto insieme agli altri membri della Rōshigumi. Mi preme innanzitutto ricordare che, a differenza della prosa, tradurre la poesia giapponese nella nostra lingua può risultare molto ostico. Non soltanto per la difficoltà dell’interpretazione della poesia in sé, quanto piuttosto per il fatto che nella quasi totalità dei casi non è possibile mantenere la metrica di partenza. Nel caso dello haiku, questo è composto da tre versi formati rispettivamente da diciassette more, ripartite secondo uno schema di cinque-sette-cinque. Alla luce di ciò, ho ritenuto che fosse preferibile optare per uno stile più vicino ad una parafrasi onde evitare di rendere il tutto troppo criptico. Essendo la raccolta composta da quarantuno poesie, credo che nel giro di qualche mese sia fattibile tradurle tutte. Continuerò, nei limiti del possibile (spero che non me ne vogliate), ad aggiornare questo messaggio con nuove traduzioni di volta in volta. L’ordine in cui queste sono presentate è lo stesso del testo originale. 文久三亥春 Bunkyū San I no Haru 豊玉発句集 Hōgyoku Hokkushū 土方義豊 Hijikata Yoshitoyo 差し向かう心は清き水鏡 Sashimukau Kokoro wa Kiyoki Mizukagami Uno spirito sincero è come un limpido specchio d’acqua 裏表なきは君子の扇かな Uraomote Naki wa Kunshi no Ōgi ka na È del ventaglio dell’uomo virtuoso non aver due facce 水音に添えてききけり川千鳥 Mizuoto ni Soete Kikikeri Kawachidori È il piviere pluviale che udisco sovrapporsi al rumore dell’acqua 手のひらを硯にやせん春の山 Tenohira wo Suzuri ni Yasen Haru no Yama Di fronte ai monti in primavera tramuterei il palmo della mia mano in pietra per inchiostro 白牡丹月夜月夜に染めてほし Hakubotan Tsukiyo Tsukiyo ni Somete Hoshi Le peonie bianche son come stelle che tingono le notti di luna
  2. sandro

    Auguri di buone feste

    Buone Natale e felice anno nuovo a voi ed alle vostre famiglie.
  3. sandro

    Shinsengumi

    A riguardo della Shinsengumi si è sempre scritto molto in base a quanto visto in film, serie televisive, cartoni animati ed altro senza tenere in considerazione le fonti storiche attendibili. Come in tutte le cose, in occidente tendiamo a cercare il lato romantico in ogni storia. Nel caso della Shinsengumi non nego che vi fosse, ma analizzare questo corpo senza avere chiaro quello che fu il contesto storico e culturale in cui il suddetto ha operato può risultare fuorviante. Okita ed Hijikata erano estremamente legati. Durante il periodo di Kyōto, Hijikata cercò in tutti i modi di rimandare Okita ad Edo dopo che a questi era stata diagnosticata una grave forma di tubercolosi. Nel corso degli anni, alcuni membri provarono a lasciare la Shinsengumi per gravi motivi di salute: puoi ben immaginare quale sorte sia loro toccata considerando il regolamento interno. In base a ciò, è facile dedurre che quello che legava il vicecomandante ed il capitano della prima squadra era qualcosa che andava ben al di là del semplice favoritismo. Discorso diverso deve invece essere fatto per Saitō Hajime. Nelle interviste da lui rilasciate in vecchiaia affermò più volte di non aver affatto amato la Shinsengumi, ma considerando che all’epoca quello era il solo posto in cui gli veniva offerta la possibilità di mettersi alla prova come spadaccino decise di rimanere. Quando Hijikata lo inviò come spia presso il Goryō Eiji (il gruppo separatosi dalla Shinsengumi con a capo Itō Kashitarō e che sarebbe stato distrutto in quello che è noto come l’incidente di Aburanokōji), Saitō gli domandò come potesse fidarsi a tal punto di lui. Hijikata rispose che qualora egli non avesse eseguito gli ordini alla lettera lo avrebbe ucciso personalmente. Saitō, per nulla intimorito, replicò che avrebbe fatto quello che vi veniva richiesto non per paura, ma per il semplice fatto che non voleva privare la Shinsengumi del suo ottimo vicecomandante. Da molti considerato come il più forte spadaccino della Shinsengumi insieme ad Okita, Saitō Hajime era un uomo estremamente fiero di sé. Pochi anni prima di morire, ad un giornalista che gli aveva domandato se non avesse timore di qualche vendetta anche a distanza di molti decenni rispose di non averne affatto, dal momento che nessuno spadaccino nella storia giapponese aveva ucciso più uomini di lui, nemmeno Miyamoto Musashi. Il motivo per cui Yamanami Keisuke fece seppuku non è ancora molto chiaro. Con molta probabilità, la versione che lo descrive afflitto da una profonda depressione è quella più veritiera. Nonostante il ruolo di segretario (sōchō) da lui ricoperto fosse, almeno sulla carta, superiore a quello di vicecomandante, da quando la Shinsengumi venne formata Yamanami visse perennemente all’ombra di Hijikata. Per un bushi del suo rango che aveva dedicato la sua esistenza alla doppia via della spada e delle lettere, sottostare a quanto imposto da Hijikata senza che la sua opinione venisse mai presa in considerazione deve essere stato molto frustrante. Yamanami era inoltre un aperto sostenitore del jōi; vedendo che la Shinsengumi non si stava muovendo affatto in quella direzione comprese che per lui non c’era più spazio all’interno del corpo. I familiari di Hijikata ad Hino erano perfettamente a conoscenza della reputazione del vicecomandante, divenuto famoso in tutta la nazione per i suoi metodi. Ciononostante, la zona da cui egli proveniva era estremamente fedele ai Tokugawa; di conseguenza, qualsiasi cosa la Shinsengumi facesse non destò mai sdegno nei sostenitori del bakufu, se non alla fine della guerra di Boshin quando le parti erano oramai capovolte. I giapponesi possono essere a volte molto inguenui e facilmente manipolabili. Basti pensare che durante la seconda guerra mondiale, ogni volta che qualche soldato tornava a casa con una licenza veniva accolto come un eroe. Dopo la resa del Giappone, l’intera popolazione provò disprezzo per tutti i reduci, senza alcuna distinzione, accusati di aver condotto il paese alla totale distruzione. La tsuba montanta sulla spada di Hijikata presenta il tema della festa di tanabata (tanabatazu) con il tipo fiore che la caratterizza, il gelso (kaji no ha). Gli ideogrammi presenti sono quelli di 圓満 enman, che può essere tradotto come “perfezione, armonia, pace”. Essi sono incisi come su di una lunga e sottile striscia di carta (tanzaku) che veniva utilizzata durante la suddetta festività, sulla quale venivano scritte brevi poesie. Venendo all’articolo di giornale, in esso si parla di qualcosa conosciuto da tempo ma su cui (almeno finora) non si avevano fonti certe. Hijikata chiese un prestito di cinquecento ryō al tempio Nishihonganji; ducento avrebbe dovuto metterceli i monaci, i restanti trecento i mercanti di Kyōto. Una somma così ingente (corrispondente a circa due milioni di euro) avrebbe dovuto finanziare la costruzione di nuove aree dormitorio per i membri della Shinsengumi, i quali avevano manifestato il loro malcontento a proposito degli alloggi forniti dal tempio direttamente al vicecomandante.
  4. sandro

    Ultima arrivata nel forum

    Benvenuta sul forum Consuelo.
  5. sandro

    tsuba suola Soten

    Di seguito la traduzione del certificato presente nel link indicatoci da Zanilu. “Certificato. Tsuba, Mogarashi Sōten. Autentica. 20 Gennaio del 25° anno dell’epoca Heisei (2013). Associazione per la salvaguardia della spada giapponese (organizzazione senza scopo di lucro). Il direttore Miyano Teiji. Firma: Mogarashi Nyūdō Sōten Sei Gōshū Hikone Jū (Realizzata da Mogarashi Nyūdō Sōten, abitante ad Hikone nella provincia di Ōmi). Costruzione: Nagamarugata (forma ovale), Tetsuji (superficie in ferro). Motivo: Gassen no zu (battaglia). Traforatura: Uchiborisukashi no kingin iroe (decorazione traforata e dipinta in oro ed argento). Misure: Lunghezza di 7,5 centimetri, larghezza di 6.9 centimetri. Altre informazioni: tarda epoca Edo”.
  6. sandro

    Shinsengumi

    Ti ringrazio per le tue parole Simone, ma non è assolutamente necessario alcun inchino. È sempre un piacere discutere qui con voi. Scusami se impiego sempre alcuni giorni per risponderti AkaiHana, ultimamente sono molto impegnato. Per le poesie ti chiedo, gentilmente, di pazientare ancora qualche giorno. Tornando ad Hijikata, il suo soprannome è esattamente dovuto al terrore che incuteva praticamente in tutti. Se quello che viene riportato nei testi è vero, gli unici due a non temerlo erano Okita Sōji (dal momento che HIjikata era come un fratello maggiore per lui) e Saitō Hajime. Questultimo in particolare godeva di una libertà allinterno della Shinsengumi che non era concessa a nessun membro del corpo; se chiunque altro avesse adottato simili comportamenti sarebbe stato eliminato senza alcun dubbio. Hijikata fu rigidissimo per tutto il periodo di Kyōto, mentre divenne più comprensivo con i suoi uomini durante la guerra di Boshin. Egli già sapeva che stava combattendo una guerra che non avrebbe mai potuto vincere e dalla quale non sarebbe uscito vivo, perciò cercò di ammorbidirsi per tenere unito quello che era rimasto dei suoi uomini. Tra morti, feriti e disertori, della Shinsengumi non era rimasto granché. Laffermazione a riguardo di Oda Nobunaga è contenuto allinterno del libro Bujutsu Tennen Rishin Ryū Shinsengumi no Genryū wo Tazunete (La tradizione marziale di Tennen Rishin Ryū alla ricerca della scuola di spada della Shinsengumi) ad opera del Professor Kojima Masataka. Il museo da lui gestito è, con molta probabilità, il luogo dove sono conservati il maggior numero di documenti sulla Shinsengumi ed i suoi uomini. Il Professor Kojima è un diretto discendente di Kojima Shikanosuke, praticante della Tennen Rishin Ryū ed amico intimo di Kondō ed Hijikata. Passando a Kondō, personalmente non credo che fosse una persona così arrogante. In tutti i testi che ho letto, ed in base a moltissime testimonianze che ci sono pervenute, è riportato di come fosse gentile e disponibile con tutti. Amava stare in compagnia ed ogni volta che doveva prendere una decisione non si affrettava mai a farlo da solo, bensì cercava sempre il consiglio dei suoi uomini più fidati. Tieni presente che nel suo dōjō, lo Shieikan, vivevano in pianta stabile Nagakura Shinpachi, Yamanami Keisuke, Harada Sanosuke e Tōdō Heisuke. Per quale motivo esperti di altre scuole, per altro molto più importanti ed in voga di quella di Kondō, avevano deciso di rimanere proprio lì se non per il fatto che essi ammiravano profondamente il futuro comandante? Di sicuro il suo comportamento cambiò con il passare degli anni, ma ciò accadde poiché la carica da lui ricoperta comportava un certo atteggiamento che, verosimilmente poteva non piacere a molte uomini. Nella petizione inviata a Matsudaira, Nagakura e gli altri attaccarono soltanto questultimo in quanto, a livello ufficiale, gli ordini partivano sempre da lui anche quando ad orchestrare il tutto era Hijikata. Nagakura Shinpachi lasciò la Shinsengumi soltanto durante la guerra di Boshin, continuò a combattere per il feudo di Aizu fino alla capitolazione di questultimo, dopodiché depose le armi e tornò ad Edo. Nel 1873 si trasferì direttamente in Hokkaidō. Kondō scelse di adottare lideogramma makaoto per il gruppo dal momento che questo concetto è di grande importanza nella Tennen Rishin Ryū, tanto da essere indicato anche nei makimono della scuola. Ti allego unimmagine esplicativa qui sotto. Come puoi vedere, il makoto è formato a sua volta da tre elementi: il pensiero (i 意), il vigore (ki 気) e lo spirito (kokoro心). Se mancasse uno di questi non potrebbe sussistere il concetto di lealtà. Una lealtà che più allideale bushi guardava allo shōgun come unico amministratore della nazione. Venendo infine al simbolo di tuo interesse, come Francesco ti ha giustamente detto si tratta del Mitsudomoe. Questo è il kamon della famiglia Hijikata, e rappresenta lacqua che non stando mai ferma muta forma fino a creare un vortice. Anche per gli antichi giapponesi, lacqua era lelemento più importante di tutti. Sia che si pregasse affinché questa non scarseggiasse mai, sia che si scongiurassero gli incendi, il mitsudomoe assumeva un profondo significato protettivo. La famiglia di Hijikata produceva medicinali tradizionali, i cui ingredienti essenziali (alcuni particolari tipi di erbe) si trovavano lungo il corso dei fiumi o in prossimità di questi.
  7. Mauri, ti ringrazio tantissimo per questa segnalazione. Conoscevo il personaggio avendone visto un servizio in televisione diversi anni fa, ma non mi ero mai documentato in maniera dettagliata. Storie come quella del Cavalier Amedeo Guillet non dovranno mai essere dimenticate, esse danno lustro alla nostra Nazione e ci ricordano che in quanto a coraggio gli italiani non sono secondi a nessuno.
  8. sandro

    Shinsengumi

    Per prima cosa, ci tengo a ringraziare Mauri per il suo intervento. In effetti, anche la storia d’Italia è piena di uomini che hanno sacrificato la loro vita per un ideale in cui credevano. Anche se è impossibile ricordarli uno ad uno, basti pensare a tutti quei migliaia di soldati che durante la prima guerra mondiale si sono battuti e sono morti sui nostri monti affrontando un nemico estremamente più potente in condizioni estreme. Al tal proposito, non posso non citare “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, una delle più celebri opere della letteratura italiana moderna. AkaiHana, a quanto vedo la complessità delle tue domande si sta alzando di molto! Più che le pagine di un forum sarebbero necessari diversi fogli di carta per dare ampia risposta ai quesiti. Cercherò, nei limiti del possibile, di essere abbastanza preciso senza dilungarmi più del necessario. Volendo inquadrare gli shishi esclusivamente all’interno del Bakumatsu, allora definirli come alcuni gruppi di samurai provenienti dai feudi di Chōshū, Tosa e Satsuma (anche se quest’ultimo fu alleato del bakufu sino al 1867 quando, per merito di Sakamoto Ryōma, siglò l’alleanza con gli acerrimi nemici di Chōshū in quella che è passata alla storia con il nome di Sacchō Dōmei) non è affatto errato. In realtà, il sentimento del Jōi (l’espulsione dei barbari) è un qualcosa iniziato verso la fine del ‘700 e terminato con la resa incondizionata del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale, attraversando trasversalmente il bakumatsu, il rinnovamento Meiji, la guerra sino-giapponese, la guerra russo-giapponese, la seconda guerra sino-giapponese e, contemporaneamente a questa, la guerra del Pacifico. I giapponesi vedevano tutti gli altri come nemici, soprattutto quelle potenze occidentali da cui non volevano essere sottomessi. Il timore più grande era quello di essere ridotti in schiavitù come era successo alle altre nazioni asiatiche. Fu proprio in virtù di questo fortissimo senso di rivalsa che in appena quart’anni il Giappone si trasformò da un paese feudale e con tantissime divisione interne in una nazione solida ed unita che riuscì a sconfiggere l’impero Russo tra il 1904 ed il 1905. Per quei tempi si trattava di qualcosa di miracoloso, considerando che il PIL della Russia era venti volte quello del Giappone. Molti storici ritengono che un simile successo sia stato possibile solamente grazie a quello spirito di devozione imperiale (Sonnō) per cui tutto il popolo, anche a costo di patire la fame (come realmente fu), avrebbe seguito e sostenuto ciecamente il tennō in qualsiasi occasione. Durante il Bakumatsu, così da tornare in tema, lo spirito del jōi era condiviso da tutti. I sostenitori dello shōgun volevano cacciare i barbari per mantenere inalterato lo status quo, gli avversari auspicavano la stessa ponendo al centro della loro lotta l’imperatore, ritenendo quest’ultimo come il legittimo governatore di tutta la nazione dal momento che il bakufu, oramai, non era più in grado di difendere i confini da pressioni esterne. Giustamente mi chiedi per quale motivo Satsuma e Chōshū si servirono dell’aiuto delle potenze straniere nonostante invocassero la loro cacciata. Così come qualsiasi altro popolo, anche i giapponesi sono sempre stati molto opportunisti. I due potenti feudi compresero immediatamente che instaurare numerosi scambi commerciali con gli europei gli avrebbe permesso di sconfiggere il bakufu prima, e di creare una nazione militarmente forte poi. Dai porti meridionali del Giappone entrò una grande quantità di armi e conoscenze tecnologiche. Tutto questo avvenne sotto il nome di Bunmei Kaika (aprirsi alla cultura ed alla civiltà occidentale) durante il periodo Meiji, dove ogni elemento del passato andava via via sostituito con qualcosa importato dall’estero. Le arti marziali, ad esempio, rischiarono di sparire del tutto se non fosse stato per alcuni uomini che le infusero nuovo vigore. Lo scopo di Kondō ed Hijikata era quello di creare un corpo militare talmente forte da resistere ai violenti capovolgimenti che si verificarono tra il 1863 ed il 1867. Essi provavano comunque un profondo senso di lealtà verso il bakufu, essendo nati e cresciuti in una zona della provincia di Musashi che era stata da sempre fedele ai Tokugawa. Ovviamente anche loro non vedevano affatto bene gli stranieri, Kondō ripeteva spesso che la Shinsengumi avrebbe dovuto essere una forza attraverso il quale applicare il Jōi. Inoltre, i motivi per cui Hijikata riteneva che solamente Kondō potesse essere il comandante erano sostanzialmente due. Il primo era senza alcuna ombra di dubbio l’amicizia che li legava sin da ragazzi; Hijikata aveva avuto una vita abbastanza burrascosa, finché Kondō non lo accolse come un fratello nel proprio dōjō. Di conseguenza, il vicecomandante sapeva benissimo che con qualsiasi altra persona al comando della Shinsengumi non avrebbe mai avuto la libertà di azione che Kondō gli aveva sempre concesso. Ecco perché quando questi morì, Hijikata giurò a se stesso che avrebbe continuato a combattere fino alla fine per onorarne la memoria. Di sicuro, se Kondō fosse sopravvissuto alla guerra e avesse deciso di tornare alla vita di un tempo Hijikata lo avrebbe seguito di nuovo. Ad ogni modo, se abbiano provato rimorso per tutte le azioni compiuto non ci è dato saperlo. La letteratura e la cinematografia hanno plasmato la Shinsengumi in modo da renderla appetibile al grande pubblico, e per quanto siano attendibili molti racconti scritti in merito, le emozioni ed i sentimenti provati da quegli uomini, inevitabilmente, rimarranno sempre un mistero. Hijikata fu senz’altro un grande stratega. Spietato con i nemici ed anche con quegli alleati che osavano tradirlo, fu il terrore stesso dei suoi uomini. Ciononostante, suscitava un fascino a cui difficilmente si poteva resistere. Era dotato di un immenso carisma, senza di lui la Shinsengumi non sarebbe stata quella che oggi conosciamo. In molti casi sfruttò al meglio tutte le opportunità che gli si presentarono per scalare i ranghi del bakufu, anche se a differenza di molti daimyō che alla fine abbandonarono la causa dei Tokugawa lui fu l’unico che si batté sino alla morte. Ti avevo promesso alcune sue poesie tradotte, scusami se ancora non ho avuto tempo di metterci mano. Vedrò di fare qualcosa questa settimana.
  9. sandro

    dubbi autenticità tsuba

    Ciao Fabiomar, la mei riportata sulla tsuba recita 江刕彦根住藻柄子宗典製 Gōshū Hikone Jū Mogarashi Sōten Sei (Realizzata da Mogarashi Sōten, abitante ad Hikone nella provincia di Ōmi). Inserendo tali informazioni su internet potrai effettuare diverse ricerche su questo artista, paragonando altre sue tsuba (con relativa firma) con quella in tuo possesso.
  10. sandro

    Shinsengumi

    Sicuramente tradurre dal giapponese comporta diverse difficoltà, innanzitutto per il fatto di rendere in una lingua occidentale una cultura estremamente diversa dalla nostra. Se per la prosa molti problemi possono comunque essere arginati da un abile traduttore, la poesia si scontra inevitabilmente contro l'ostacolo della sillabazione. Gli haiku sono composti da diciassette sillabe, divise secondo lo schema 5-7-5. A meno che non si stravolga totalmente, o comunque alteri di molto, il significato originario, difficilmente sarà possibile tradurre i versi in italiano mantenendo la metrica giapponese. Ad ogni modo, riporterò qui qualche altra poesia di Hijikata nei prossimi giorni. Per il resto, io sono propenso a credere che il suo lottare sino alla fine fosse per l'estremo rispetto nutrito per i suoi compagni oramai morti: Kondō Isamu, Okita Sōji, Inoue Genzaburō. Anche sopravvivendo alla guerra, per lui non ci sarebbe stato più nulla da fare, considerando che prima della sua ascesa era stato un venditore ambulante di medicine. In molte sue lettere indirizzate alla famiglia ad Hino racconta di come gli fosse difficile continuare a vivere, di come cercasse continuamente il posto in cui avrebbe trovato la fine.
  11. sandro

    Shinsengumi

    Grazie a te per leggere i miei interventi. La tua domanda in merito alla poesia di Hijikata pone un quesito molto interessante. Se analizziamo semanticamente le parole azuma no kimi 東の君, esse si riferiscono senza ombra di dubbio allo shōgun, indicato come signore dellest. Ad esse viene contrapposto nishi no kimi 西の君, traducibile con signore dellovest, ossia il tennō. Tuttavia, nel caso di Hijikata io credo che azuma no kimi fosse rivolto o al suo amico Kondō Isamu, oppure alla sua famiglia ad Hino. Dico questo poiché Hijikata non mostrò mai particolare devozione per i Tokugawa, ed avendo sempre odiato i codardi ed i disertori mi rimane difficile pensare che quei versi fossero indirizzati a Tokugawa Yoshinobu, che aveva rimesso il suo mandato ed abbandonando la guerra lasciando senza guida quei pochissimi feudi che ancora si battevano in suo nome. Ciononostante, data lambiguità della lingua giapponese non credo che sapremo mai con certezza a chi il vicecomandante della Shinsengumi voleva riferirsi. Ci sono diversi siti giapponesi su cui sono riportare la maggior parte delle sue poesie, ma tradotto non credo che si trovi nulla. Se ti fa piacere potrei renderne qualcuna in italiano (con tutte le ovvie limitazioni dovute alla metrica) ed inserirla qui.
  12. sandro

    Shinsengumi

    Figurati AkaiHana, se posso mi fa piacere scambiare qualche opinione con qualcuno che ha una così forte passione. A dir la verità, io questo odio profondo di alcuni storici giapponesi verso la Shinsengumi non l’ho trovato da nessuna parte pur avendo letto diverse decine di testi sulla storia del Bakumatsu e di questo corpo. Una forte critica sì, ma pazzi assassini non credo di averlo visto mai. Sicuramente è vero che Shiba Ryōtarō con il suo “Moeyo Ken” contribuì ad aumentare la loro popolarità verso la fine degli anni sessanta, ma non bisogna dimenticare che la prima trilogia sulla Shinsengumi si ha a cavallo tra gli anni venti e trenta per merito della penna di Shimozawa Kan, il quale fu probabilmente il solo autore a poter intervistare direttamente alcuni degli ultimi reduci. Per farti un esempio, il simbolo Makoto a cui accennavi nel tuo intervento (e che ritengo debba essere inteso come “lealtà” o “sincerità”) fu ripreso anche dalla 119° squadriglia aerea dell’esercito giapponese, una delle tante squadre d’attacco speciali (tokkōtai) che con azioni suicide tentò di arrestare l’avanzata statunitense verso la fine della seconda guerra mondiale. L’utilizzo di quell’ideogramma fu un vero e proprio tributo alla Shinsengumi, che quei piloti avrebbero dovuto imitare in pieno spirito di devozione e sacrificio. Ti dico ciò con assoluta certezza, avendo avuto la possibilità di intervistare direttamente l’ultimo reduce di quella squadriglia, il quale mi raccontò quanto ho appena scritto. Di conseguenza, non credo i militari di epoca Shōwa avrebbero mai utilizzato un simbolo che non li avesse rispecchiati in pieno. Per quel che riguarda la tua domanda su Kawai Kisaburō, ancora non è del tutto chiaro il motivo per cui gli fu ordinato di commettere il seppuku. Quella del denaro prestato a Takeda Kanryūsai è una delle teorie più accreditate, altre lo vogliono colpevole di aver utilizzato dei soldi per riscattare una donna di compagnia dalla vita dei quartieri di piacere, altre ancora per aver speso ingenti somme per motivi personali. Matteo, hai perfettamente ragione. La cosa interessante è che Watanabe Ken raffigura Saigō Takamori, proprio uno dei comandati dell’esercito imperiale che sbaragliò le ultime forza Tokugawa armate all’antica.
  13. sandro

    Shinsengumi

    Ciao AkaiHana, prima di rispondere al tuo quesito permettimi di ringraziare Mauri e Francesco che, sempre gentilissimi nei miei confronti, hanno già citato qualche mio scritto a riguardo. In particolare, dalla discussione aperta sulla Shinsengumi sono passati (ahimè) sette anni, periodo durante il quale, per ragioni accademiche e marziali, ho dedicato allo studio di questo gruppo di spadaccini gran parte delle mie ricerche. Rileggendo ora quel post mi accorgo di come fosse infarcito di una buona dose di euforia, dovuta alla scoperta di un mondo nuovo e senza dubbio affascinante. Cercando di rimane più fedeli possibile al loro decorso storico, proviamo a spiegare chi erano questi uomini. I membri della Shinsengumi furono a tutti gli effetti dei bushi; alcuni di essi appartenevano alla classe samuraica per diritto di nascita, chi non lo era (poichè tra di essi erano presenti anche contadini) venne comunque insignito di questo titolo quando nel 3° anno dell’era Keiō (1867) il gruppo ricevette lo status di bakushin (vassalli diretti dello shōgun) in seguito al proprio operato. Volendo intendere il termine bushi solamente come “uomo d’arme”, allora questo corpo ancor di più può essere riconosciuto come tale poichè sin dal momento della sua formazione (avvenuta nel 3° anno dell’era Bunkyū – 1863) fu sotto l’egida dello han di Aizu, che nella figura di Matsudaira Katamori (daimyō del feudo di Aizu) ricopriva il ruolo di Kyōto Shugoshoku, il più alto e prestigioso ufficio di protezione della città imperiale istituito nel 2° anno dell’era Bunkyū (1862), dopo che gli altri due organi di vigilanza di Kyōto, lo Shoshidai ed il Machibugyō, non erano più in grado di far fronte da soli al problema della sicurezza cittadina. Prendiamo, ad esempio, il loro famossisimo haori. Ovunque potrai leggere che venne realizzato in quel modo così da assomigliare alle uniformi del quarantasette rōnin di Akō, che il comandante della Shinsengumi, Kondō Isamu, ammirava particolarmente. Questa è una delle più note inesattezze storiche in merito al corpo. Quel particolare tipo di blu (chiamato asagiiro) veniva concesso dall’imperatore ai dignitari di corte di sesto livello, mentre i triangoli bianchi rappresentavano la montagna simbolo di Aizu (nell’odierna prefettura di Fukushima). Come puoi vedere, la loro “investitura” era tutt’altro che ufficiosa. La Shinsengumi fu dunque il braccio armato del feudo che, per volere sia del governo centrale dei Tokugawa che della corte imperiale, aveva non solo il compito di vigilare nella più importante città di tutta la nazione, ma anche quello di difendere il castello di Nijō ed il Gosho (il palazzo dove risiedeva il tennō). La situazione a Kyōto era particolarmente degenerata da quando le frange estremiste del movimento Sonnō Jōi (che professava l’espulsione dei “barbari” con la forza e metteva al centro della propria ideologia l’imperatore, non più lo shōgun) avevano creato un clima di terrore attraverso assassinamenti, estorsioni di denaro e violenze anche nei confronti di normali cittadini. Gli uomini della Shinsengumi repressero tutto ciò con il massimo della ferocia, compiendo atti sanguinari nei confronti dei loro nemici. Si pensa che la loro battaglia più famosa, ossia l’incidente di Ikedaya avvenuto nel 1° anno dell’era Genji (1864), abbia ritardato di un anno o due il cosidetto Taisei Hōkan (la restituzione del comando del Paese all’imperatore da parte dello shōgun); il colpo inferto agli shishi di Tosa e Chōshū fu talmente duro che i due feudi necessitarono di diverso tempo per riorganizzarzi. Per lo stesso motivo, altri storici sono invece propensi ad affermare che l’azione della Shinsengumi non fece altro che accelerare il rinnovamento Meiji, tanto era l’odio che i feudi del sud provavano contro tutto ciò che rappresentava i Tokugawa. Ad ogni modo i cittadini di Kyōto (e non solo), dopo un iniziale periodo di incertezza e paura iniziarono ad apprezzare la Shinsengumi, tributandole grandi onori quando questa lasciò la città dopo cinque anni di servizio per andare in guerra. A distanza di un secolo e mezzo la loro fama non accenna a diminuire, chiunque sia stato a Kyōto te lo potrà confermare. Se non avessero fermato gli shishi ad Ikedaya, questi avrebbero appiccato fuoco a tuttà la città, addirittura al palazzo imperiale con lo scopo di rapire l’imperatore. Veniamo ora alla domanda in merito alla loro etica samuraica. Se con essa ti riferisci all’uomo d’onore senza macchia, allora la mia replica non può che essere negativa. Durante le loro azioni, le squadre della Shinsengumi attaccavano, quando possibile, l’avversario in superiorità numerica e se potevano colpirlo alla sprovvista non si facevano alcuno scrupolo. Non di rado organizzavano banchetti in cui invitavano qualcuno con lo scopo di farlo ubriacare per poi assassinarlo sulla via del ritorno. Ma questo, per quanto se ne dica, era un modo di fare piuttosto comune. Gli stessi quarantasette rōnin di Akō uccisero quasi tutti i loro avversari sorprendendoli nel sonno nonostante film, libri, fumetti e cartoni animati narrino avvincenti duelli all’ultimo sangue. La figura del samurai che aleggia nella nostra testa è quella costruita su quei famosi sette principi del Bushidō, che nessun samurai ebbe mai modo di seguire alla lettera per il fatto che la stesura ufficiale di questo codice (redatta per altro in inglese e pubblicata in America per la prima volta) avvenne decenni dopo che la classe guerriera era stata definitivamente abolita. Nonostante ciò, ritengo che molti siano ancora gli elementi che permettono alla Shinsengumi di accostarsi di molto a quei canoni bushi da tutti decantati. Primo tra tutti, le ferree regole a cui ogni membro era tenuto ad obbedire; per chi non le avesse rispettate era prevista la morte per mezzo del seppuku. In seguito, certamente il loro coraggio; sopra ho affermato che quando potevano cercavano sempre di cogliere il nemico in superiorità numerica. Quando questo non accadeva, essi comunque non si ritiravano mai dalla battaglia. Ad esempio nell’incidente di Ikedaya, assaltarono in quattro la locanda in cui si batterono per oltre due ore contro circa trenta nemici, tenendogli testa. Il terzo elemento, forse il più importante, fu di certo il loro spirito di lealtà (il cui ideogramma “makoto” 誠 ne era simbolo). Una lealtà che li avrebbe portati alla morte nella guerra di Boshin (1868-1869). Nonostante all’inizio delle ostilità lo shōgunato era supportato da tantissimi feudi, in pochissimo tempo la maggior parte di questi tradiriono lo shōgun alleandosi con le forze lealiste di Chōshū e Satsuma. La Shinsengumi ed i samurai di Aizu continuarono a combattere anche dopo che il bakufu era ormai collassato, in nome di un ideale cavalleresco che andava scomparendo in favore di una modernizzazione che non poteva essere più arrestata. Le loro utlime battaglie furono l’apoteosi di questo fenomeno storico, che da una parte vedeva le sempre più numerose schiere dell’esercito imperiale armate con fucili e cannoni di importazione europea, dall’altra un esiguo numero di uomini che si lanciavano contro di esse per lo più all’arma bianca. Concludo, ritenendo di aver già abusato troppo della tua pazienza, citando uno degli ultimi passi del libro “Boshin Sensō – Haisha no Meiji Ishin” (La guerra di Boshin – il rinnovamento Meiji degli sconfitti) ad opera del professor Sasaki Suguru (di certo non un simpatizzante della Shinsengumi). “...Nel maggio del 2° anno dell’epoca Meiji (1869) la capitolazione delle forze fedeli ai Tokugawa era dunque giunta al termine. Gli otto ministri della reppublica di Ezo decisero di arrendersi tutti, tranne uno. Hijikata Toshizō capì che nel nuovo Giappone non c’era più posto per un uomo come lui. Dopo aver sollevato da tutti gli incarichi quegli uomini stremati da innumerevoli battaglie, seguito da un ultimo manipolo di samurai di Aizu e di ciò che rimaneva della Shinsengumi cavalcò contro il nemico armato solo della sua spada. Ritengo che quel giorno, l’11 Maggio del 1869, possa essere dunque inteso come il tramoto del bushidō e, con esso, dell’epoca della spada giapponese...”. Dei ventiquattro membri fondatori della Shinsengumi, solamente uno soppravvise alla guerra. Spero, almeno in parte, di aver dato risposta ai tuoi questi. Per qualsiasi altra cosa chiedi pure.
  14. sandro

    Presentazione

    Benvenuto tra noi.
  15. sandro

    Il diario di uno spadaccino

    Ti ringrazio molto per il tuo commento Renato. In effetti la ricerca non intende fossilizzarsi sul lato tecnico, quanto piuttosto analizzare a livello storico il panorama marziale di un periodo piuttosto interessante.
  16. sandro

    Il diario di uno spadaccino

    Il lavoro è stato realizzato in inglese in modo che potesse essere fruibile al maggior numero di persone possible. Per qualsiasi domanda o punto non chiaro possiamo comunque discuterne qui.
  17. sandro

    Il diario di uno spadaccino

    Lo "Shokoku Kaireki Nichiroku" (Cronache di viaggio attraverso varie province) è un diario scritto tra il 1853 ed il 1855 da Muta Bunnosuke, samurai del feudo di Saga. In esso sono annotate tutte le scuole di scherma che egli visitò nel suo pellegrinaggio che dal Kyūshū lo avrebbe portato sino ad Edo. Lo scopo di Bunnosuke era quello di confrontarsi con il maggior numero di spadaccini possibili per mettere alla prova le sue doti schermistiche. Il diario è di estrema importanza per comprendere sia quanto le scuole dell'epoca fossero aperte a qualsiasi tipo di confronto, sia per avere una panoramica del kenjutsu di tardo periodo Edo. Una scherma già lontana dal katageiko, in cui quasi tutti facevano del combattimento con il bōgu e lo shinai il punto fisso della loro pratica. Per chi fosse interessato, al link sottostante è possibile leggerne la traduzione (in inglese). https://archive.org/details/DiaryOfWanderingSeveralProvinces
  18. sandro

    Un saluto da AkaiHana

    Benvenuta sul forum.
  19. Salve Giulorus, purtroppo la spada che ci mostri non risale al periodo che ti è stato indicato, ne tantomeno si tratta di una spada originale giapponese. Considera che la scritta incisa sulla lama nell'ultima foto significa "arte marziale giapponese", leggendo le altre discussioni su questo forum ti accorgerai che una cosa simile non si trova su nessuna opera autentica.
  20. Ciao Pica, scusa per il ritardo con cui rispondo. La firma è davvero stranissima, non mi è mai capitata di vederne una così. Quella incisa sul lato ura dovrebbe essere il nome della nata 初永反 Shoeihan, mentre sul lato omote abbiamo presumibilmente il forgiatore 貞冢 Sadatsuka oppure 貞家 Sadaie. Tuttavia, come puoi vedere, nel caso di Sadaie mancherebbe il tratto più in alto del kanji 家. Quello che viene prima, ossia 月巡, si legge Tsukimeguri, che potremmo tradurre come "visitare la luna". Come vedi il tutto è piuttosto ambiguo, potrebbe trattarsi anche di qualche poesia cinese di cui, però, ignoro la provenienza. MI dispiace non riuscire ad essere più preciso di così, scusami.
  21. Di nulla Pica. Ho osservato bene la mei, recita Bizen no Kuni Kanehira 備前國包平.
  22. Ciao Betadine. Purtroppo, come ti aveva premesso Mauri, la spada non è originale giapponese. La firma è in cinese, ma non è questo l'unico elemento che ci permette di capirlo. La trama dell'acciaio, lo hamon, il nakago con quei yasurime sono piuttosto indicativi. Mi dispiace non averti potuto confermare quello che speravi.
  23. Ciao Pica, se gli ultimi duei ideogrammi sono davvero quelli che hai disegnato 住来 allora significano "Rai...abitante in...". La mei riportata sul fuchi, invece, recita Nara Toshimitsu.
  24. sandro

    Wakizashi

    Ti ringrazio molto Lucky, in tal caso quel "dodici" potrebbe indicare una misura. 12 rin, infatti, corrispondono approssimativamente a quei 33 millimetri esterni che ci hai comunicato. Non possiamo tuttavia averne la certezza matematica.
  25. sandro

    Wakizashi

    Di nulla Yama, ci mancherebbe. Già che ci siamo, vorrei chiedere al nostro amico di indicarci anche la larghezza del bordo della tsuka se possibile.

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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