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Rinnovo/Iscrizioni  N.B.T.H.K. Italian Branch 2025

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sandro

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  1. sandro

    Wakizashi

    Ciao Lucky, non mi ero accorto della tua richiesta in merito ai caratteri scritti sul bordo della tsuka. Ad ogni modo, questi riportano Sayū Jūni Kore 左右十二之 (Sinistra e destra: dodici). Come già anticipato da Yamaarashi, questa informazione non ci è molto utile ai fini della valutazione della tua spada. Con molta probabilità si tratta di un appunto dell’artigiano che ha realizzato il koshirae. Una curiosità: saresti così gentile da indicarmi le due misure che ho evidenziato nella fotografia sottostante? Grazie
  2. Ciao bluesoul, la domanda che ci poni può risultare piuttosto ostica. Altri utenti prima di me ti hanno già fornito delle indicazioni grazie alle quali avrai capito che non esiste uno standard predefinito che sia possibile applicare a tutte le scuole. Iniziamo con il dire che i dan (letteralmente “gradi, livelli”) sono stati introdotti nelle arti marziali in Epoca Meiji, precisamente da Kanō Jigorō che ne fece sistema di valutazione per il Jūdō. Kendō e Kyūdō seguiranno il suo esempio pochi anni più tardi. Di conseguenza, possiamo affermare che questo metodo di graduzione si sviluppò insieme al Gendai Budō. Il Kenjutsu, il quale rientra nelle arti marziali tradizionali giapponesi (chiamate koryū), presenta invece un sistema di graduazione decisamente più complesso dei dan, in cui ogni livello indica un tipo di apprendimento più o meno approfondito all’interno di una data scuola. A grandissime linee, i livelli fulcro di una tradizione schermistica sono il Kirigami, il Mokuroku ed il Menkyo, di cui il nostro Francesco ti ha spiegato dettagliatamente il significato. A tutti questi vanno poi sommati dei livelli intermedi che una scuola può avere oppure no, come puoi ben vedere con l’esempio fornito sulla Katori Shintō Ryū. Alcune scuole ne presentavano un numero molto elevato, altre uno decisamente più ridotto. Ad esempio la più grande scuola di Epoca Edo, la Hokushin Ittō Ryū di Chiba Shūsaku, era composta solamente dai tre livelli di Hatsu Mokuroku (Shoden), Chūmokuroku Menkyo (Chūden) e Daimokuroku Menkyo (Okuden). Oggigiorno, ci sono molte scuole tradizionali che conservano gli antichi livelli, ed altre che hanno deciso di adottare il sistema dei dan. In merito ai kyū nel Kenjutsu, sappi che questi vengono probabilmente adottati soltanto nei dōjō occidentali. Anche nel Kendō, il solo esame kyū che si sostiene è il 1°, per il quale bisogna avere undici anni. Al compimento dei tredici anni è possibile tentare l'esame per il 1° dan. In definitiva, credo che potremmo essere più precisi se ci dicessi a quale scuola in particolare sei interessato.
  3. sandro

    Wakizashi

    I caratteri della firma risultano molto strani, il primo è Rai 来. Il secondo non è leggibile.
  4. sandro

    Consiglio

    Sul fatto che la spada sia autentica (ossia realizzata in Giappone con tecnica tradizionale) non penso ci sia alcun dubbio. Per determinare se essa sia stata prodotta da uno degli Akihiro riportati nel sito indicato da Mauri andrebbe eseguita una politura (togi) e poi, con l'aiuto di un esperto, verificati tutti quei parametri che sono propri ai forgiatori sopracitati.
  5. sandro

    Consiglio

    Ciao MemeArchi, la firma riportata sul nakago della tua spada reca inciso Sōshū Jū Akihiro 相州住秋廣 (Akihiro, residente nella provincia di Sagami). Qualora fosse autentica (difficile dirlo basandosi solamente su delle fotografie), si tratterrebbe di una lama kotō.
  6. sandro

    simbolo tsuba

    Scusatemi, mi accorgo soltanto ora del messaggio. Quelli riportati sulla tsuba sono ideogrammi scritti nello stile del grande sigillo (tensho), e si leggono Noriyuki 矩随. Probabilmente si tratta di una gimei, se osservi altre opere e firme di questo artista ti accorgerai della differenza.
  7. sandro

    Lama con sugata unico

    Ricordiamo che queste spade vengono chiamate Tsurugi (in pronuncia giapponese) e non semplicemente ken (pronuncia on dello stesso ideogramma 剣, ma più generico).
  8. sandro

    Lama con sugata unico

    Di seguito la traduzione del cartellino fotografato dal nostro Francesco. Spada sacra Importante proprietà culturale indicata dalla Prefettura di Okayama. Epoca Edo (XVII secolo). Museo storico della città di Takahashi. Mizunoya Katsumune, signore del feudo di Bicchū Matsuyama, in occasione della fine lavori di restauro del castello di Bicchū Matsuyama durante il 3º anno dell'era Tenwa (1683), fece realizzare la presente spada sacra ad uno spadaio del luogo chiamato Mizuta Kunishige. Venne dunque posta sull'altare situato nella torre del castello, dove fu venerata dalle successive generazioni di daimyō come divinità protettiva. Presenta una forma particolare di cui non si hanno simili, se ne contano soltanto tre che presentano una forma e grandezza pressoché uguali. Anche il koshirae in dotazione è piuttosto singolare, il saya è finemente decorato con lacca colorata. La firma, sul lato omote, riporta "spada votiva offerta in dono al castello di Bicchū Matsuyama, per un Paese pacifico e giustamente amministrato".
  9. Condivido pienamente il tuo pensiero Te-do, in poche righe hai sintetizzato uno dei grandi dilemmi della pratica odierna nelle arti marziali.
  10. Grazie mille, Shoto, per il video che ci hai mostrato. Era esattamente il tipo di comportamento a cui mi riferivo nel mio primo intervento. In questo caso la parte sportiva prende totalmente il sopravvento su quella marziale, ed anche il rispetto per l'avversario viene meno. Anche nella scherma olimpica si verifica spesso la stessa cosa, nonostante si presuma che anche questa disciplina provenga da un'arte militare. Concordo inoltre con quanto detto da Gianluca e Marco: una pratica in cui non vengano osservati minimamente degli incontri con qualcuno che sia al di fuori del proprio dōjō avrà probabilmente delle lacune. Come ho scritto anche nell'altra discussione, a partire dalla seconda metà del periodo Edo il combattimento in armatura ed i confronti tra le varie scuole erano una prassi comune a tutti. Oggi definiamo erroneamente kenjutsu soltanto un allenamento che preveda il katageiko, mentre appelliamo Kendō l'esercizio con il bōgu ignorando che fino all'epoca Taishō esisteva soltanto la prima denominazione. Dal secondo dopoguerra in poi c'è stato un grande impegno da parte delle federazioni giapponesi affinché le due cose fossero ben distinte, creando il divario e la disinformazione che esistono oggi.
  11. Vi ringrazio per i vostri commenti, esse sono davvero gratificanti. Quello enbu ha un significato particolare per me dal momento che fu l'ultimo a cui partecipai insieme al mio caro maestro, purtroppo scomparso quasi un anno fa. L'anno scorso ho inoltre avuto l'onore di prendere parte alla dimostrazione di arti marziali tenutasi al tempio di Kashima, ed anche quest'anno farò altrettanto. Se può interessare sarà mio piacere mostrare qualche fotografia.
  12. sandro

    Fighting Spirit?

    Durante la seconda parte dell’epoca Edo, ed in particolare nel Bakumatsu, i cosiddetti taryūjiai (competizioni tra le varie scuole) si svolgevano spessissimo. Quasi tutte le tradizioni schermistiche avevano approvato il combattimento con bōgu e shinai, in particolar modo dopo l’istituzione del Kōbusho da parte del governo centrale. Scuole come la Katori Shintō Ryū o la Kashima Shintō Ryū, nonostante fossero riconosciute come gli stili originari e più importanti, venivano oramai considerate anacronistiche per il fatto di essere legate a dei santuari e non permettere il confronto libero. Basti pensare che durante il 1°anno dell’era Man’en (1860), mentre ad Edo il più grande dōjō di spada della storia giapponese (il Genbukan del maestro Chiba Shūsaku, scuola di Hokushin Ittō) contava oltre tremila praticanti al giorno, la Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū sembra che avesse un solo allievo registrato ufficialmente. Credo che un dato del genere sia estremamente significativo per determinare l’importanza che un praticante di kenjutsu dava alla pratica in armatura.
  13. Questa discussione si sta rivelando molto interessante, ringrazio tutti i partecipanti per il loro prezioso contributo. Non volendo divulgarmi ulteriormente su concetti che richiederebbero molto tempo per essere affrontati in maniera appropriata, mi limiterò a citare quella che personalmente ritengo la più grande differenza tra le gare di Kendō e di Jūdō. Prima di ciò, comunque, è opportuno fare una premessa. Come giustamente detto da altri utenti, il Jūdō ha subito profonde modifiche da quando è divenuto sport olimpico. Nonostante i principi di quest’arte siano rimasti pressochè inalterati, il fine ultimo dell’allenamento è quello di vincere una gara. In passato ci si concentrava sullo studio di tutte le tecniche del gokyō, ora ci si specializza su quelle due o tre che meglio si confanno al nostro corpo (tokuiwaza) e ci danno una maggiore possibilità di prevalere sull’avversario. Anche l’esame di cintura nera non verifica tanto la conoscenza delle tecniche base, quanto piuttosto la capacità di applicare quelle conosciute nel migliore dei modi. Non a caso la prova, tolta la parte del Nage no Kata, volge esclusivamente sul combattimento: su cinque incontri bisogna vincerne il più possibile o comunque, in caso di sconfitta dovuta ad un divario troppo grande con il nostro avversario, mostrare grande spirito combattivo. Queste, perlomeno, furono le direttive che incontrai io presso la federazione di Saitama. Quel che tuttavia fa esulare parzialmente, perlomeno a mio avviso, lo shiai del Jūdō dalla sfera delle arti marziali è piuttosto la mancanza di zanshin da parte degli atleti che risultano vincitori in un torneo. Sarà capitato a tutti voi di guardare delle gare in televisione, probabilmente anche quelle olimpiche non più tardi di due anni fa. Gran parte dei medagliati, non appena messo a segno lo ippon decisivo, si è profuso in una serie di esultanze che ricordavano più quelle di altri sport come il calcio, la pallavolo, la pallacanestro, il tennis e via dicendo (tenendo bene a mente che nessuno di essi deriva da arti militari). Con questo non voglio assolutamente criticare quei Jūdōka che meritatamente hanno trionfato in una competizione importante come quella olimpionica, credo che abbiano tutto il diritto di manifestare la loro gioia dopo gli immensi sacrifici che hanno dovuto fare per giungere sin li. Ma questo lo dico come amante dello sport in genere, come studioso del budō la faccenda è diversa. Lasciate che vi spieghi il perchè. Alcuni anni fa, durante il mio periodo di ricerca all’Università di Tōkyō, presi parte ad un torneo di Kendō; durante la finale accadde una cosa che mi fece riflettere tantissimo. Uno dei due contendenti mise a segno un perfetto men che venne immediatamente riconosciuto da tutti e tre gli arbitri, conferendogli quindi la vittoria. Egli, sicuramente preso dall’entusiasmo e dalla gioia, si girò di scatto verso i suoi compagni che lo avevano incitato ed applaudito durante tutto l’incontro ed in segno di trionfo urlò divaricando le braccia. Questo gesto gli costò carissimo; il punto venne immediatamente annullato e la garà proseguì. Il ragazzo, probabilmente preda della rabbia verso il suo stesso atto, non riuscì a concentrarsi nuovamente e perse l’incontro poco dopo. Più tardi chiesi ad uno dei maetri presenti il perchè dell’annullamento. Mi fu risposto che uno spadaccino deve sempre dimostrare zanshin e mai essere sopraffatto dalle emozioni; il kendō è la perfetta stilizzazione del binomio vita/morte. Se si fosse trattato di uno scontro armato reale, il contendente che aveva messo a segno il men avrebbe potuto essere ucciso da un compagno del suo avversario poichè aveva abbassato completamente la guardia concentrandosi soltanto sui festeggiamenti per il risultato ottenuto. Oltre a ciò, con il suo gesto egli non aveva neanche mostrato rispetto per lo sconfitto. Il concetto di nasake è fondamentale nella cultura giapponese, soprattutto in quella guerriera. Il non osservarlo è qualcosa di inaccetabile per un Kendōka. In base a quanto esposto mi si potrà obiettare che un torneo universitario non è la stessa cosa di un’olimpiade. Lungi da me voler asserire il contrario, ma posso confermare che nemmeno colui che vince il torneo nazionale giapponese (con molta probabilità stiamo parlando del più forte kendōka al mondo) lascia intravedere qualsiasi emozione quando la sua vittoria è decretata. In definitiva, nonostante anche il Kendō si sia mosso in una direzione sportiva, esso conserva ancora quello spirito originario proprio dell’arte della spada giapponese. Scusatemi se ho scritto più del dovuto, spero che sia chiaro quello che volevo far intendere.
  14. sandro

    Buona estate a tutti

    Buona navigazione Gianluca!
  15. sandro

    Katana gendaito

    Ciao Daniele, complimenti per il tuo acquisto e grazie per avercelo mostrato. Di seguito la traduzione della sayagaki, qualora possa essere di tuo interesse: “Kaneyoshi, forgiata secondo lo stile della scuola Mino Yoshisada. Firma sul lato ura: un giorno di Aprile del 18° anno dell’epoca Shōwa (1943). Lunghezza: 2 shaku, 2 sun e 8 bu. Proprietà della famiglia Sonobe” Il certificato è intestato al Signor Sonobe Masamitsu, che a quanto sembra è stato il comandante del 6° stormo delle forze di difesa aeree giapponesi durante gli anni settanta. Con buona probabilità la spada venne fatta forgiare dal padre di questi, forse anch’egli pilota da caccia durante la guerra del Pacifico.
  16. sandro

    Hajimemashite!!!

    Benvenuto sul forum.
  17. I miei migliori complimenti Matteo! Ti chiedo cortesemente di estenderli a tutti i tuoi compagni e, in particolare, al maestro Forconi.
  18. Di nulla, è un piacere.
  19. Ciao Daniele, il libro è il sesto volume dell’Opera Completa sulla spada giapponese (Nihontō Zenshū in originale), il cui titolo recita “Norme ed etichetta della spada giapponese” (Nihontō no Fūzoku). Per quel che riguarda la data, posso confermarti che il 41° anno dell’Epoca Shōwa corrisponde al 1966.
  20. Attenzione ragazzi, la firma è Ietsugu Saku 家次作 e non Yasutsugu Saku. Oltre ad essere ben chiara sul codolo, è riportata in maniera corretta anche sul documento di detenzione.
  21. Ciao Pica. Quello che ci mostri oggi è il nakago di una lama Takayama (Takayamatō), ossia un tipo di guntō che venne fatta produrre agli spadai di Seki da Takayama Masakichi. Costui fu istruttore di scherma della marina imperiale giapponese, ma la sua abilità gli diede molta fama anche presso l’esercito. La scuola da lui codificata rispondeva al nome di Takayama Ryū Battōjutsu. Veniamo ora alla mei. 謹作髙山刀 刀匠服部正廣 砥師山田昭二 Kinsaku Takayamatō Tōshō Hattori Masahiro Togishi Yamada Shōji (Spada Takayama diligentemente prodotta. Spadaio: Hattori Masahiro. Politore: Yamada Shōji). Spero di esserti stato d’aiuto, per qualsiasi altra cosa chiedi pure. 
  22. sandro

    Buongiorno a tutti

    Benvenuto sul forum, spero ti troverai bene qui.
  23. sandro

    Kankyuto

    Come giustamente detto da Renato, umabari e bashin significano la stessa cosa. Anche gli ideogrammi sono gli stessi 馬針, letti rispettivamente in pronuncia kun (umabari) e on (bashin).
  24. sandro

    Salve ragazzi.

    Paolo, non puoi immaginare la mia gioia di rivederti qui. Sono davvero felice e ti auguro una pronta e veloce guarigione!
  25. sandro

    Kyudo in armatura

    Ti ho fatto già i complimenti altrove, te li rinnovo anche qui. Lavoro eccellente, indice della passione che muove la vostra pratica e ricerca.

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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"Una singola freccia si rompe facilmente, ma non dieci frecce tenute assieme."

(proverbio popolare giapponese)

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