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rob

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  1. rob

    il Giardino Giapponese

    Scolpito dalla sabbia portata dal vento, in migliaia di secoli, su queste terre da molto prima dei nuragici
  2. rob

    il Giardino Giapponese

    alcune opere suiseki
  3. rob

    il Giardino Giapponese

    Vi ringrazio per aver visitato il mio giardino, anche se virtualmente. Ringrazio getsu per gli approfondimenti ineccepibili nel suo spaziare tra scienza, arte, filosofia e religione, argomenti non facili da trattare col realismo dell'uomo di scienza e l'obiettività del laico. Ringrazio beta per l'analisi che riprende principi dello Shinto e li usa per interpretare i vari spunti del mio karesansui, ti ringrazio ma non credo di aver voluto consciamente applicare tutto quanto hai scritto. Confesso la mia impreparazione nella materia e questo è stato in poche battute, un bell'approfondimento, un valore aggiunto che difficilmente avrei potuto trovare al di fuori di questo consesso
  4. rob

    il Giardino Giapponese

    già, è verissimo
  5. rob

    il Giardino Giapponese

    sono comuni pietre a tessitura liscia e chiara alcune, microporose le altre scure di roccia lavica. Le rocce vanno disposte in clusters dispari di pietre dispari(asimmetria) posizionandole ai vertici di un triangolo irregolare , se possibile. In ogni gruppo c'è una pietra dominante in altezza, una intermedia generalmente coricata ed una più piccola. Io ho preso a modello la disposizione di alcuni scogli presenti qui vicino nel mare: Lo scoglio del corno il pan di zucchero e altri raggruppamenti limitrofi e mi piace pensare che si tratti di quelli visti dalle vicine falesie. Le rocce più scure sono posizionate più prossime all'osservatore, come apparrebbero in realtà, quelle più chiare via via più lontane in grandezza decrescente, come sfumate nella nebbia. I cerchi stanno a figurare le onde. L'originale è composto da 15 pietre e gli osservatori guardando dal patio, ne possono vedere solamente 14, qualunque postazione scelgano
  6. rob

    il Giardino Giapponese

    Non è casuale, mi fa piacere che l'hai notata. La sequenza di Fibonacci e la sua rappresentazione grafica è la più efficace sintesi di come vanno le cose in natura e nell'universo. Era la prima osservazione che mi aveva colpito facendo un raffronto con la ricerca dell'armonia che da sempre perseguiamo in occidente e per contro l'asimmetria tanto cara agli orientali. Non poteva essere che uomini della stessa terra ricercassero sensazioni cosi divergenti. Avevo sempre accettato il fatto dell'ipotesi ricorrente che il cervello umano prediliga la simmetria. Alcuni studi fatti su bambini, per esempio, avrebbero dimostrato una preferenza non culturalmente indotta per oggetti simmetrici, piuttosto che asimmetrici. Il filosofo greco Plotino affermava: "La bellezza visibile nasce dalla simmetria delle parti, l’una in rapporto all’altra, e ciascuna in rapporto all’insieme; dunque la bellezza di tutti gli esseri è la loro simmetria e la loro misura" L’incontro con l’arte orientale di impronta taoista e zen, centrata sulla asimmetria come elemento destabilizzante e dinamico, essenza stessa del mutamento ha messo in discussione le nostre certezze. La sezione aurea col rettangolo perfetto sembrerebbe dar ragione a noi occidenteli ma nella stesse rappresentazione è possibile inserire il triangolo aureo che scompaia le carte in tavola La spirale inserita nella pianta del progetto, ha la funzione di indicare la posizione dei punti notevoli, le pietre in questo caso, perchè in fotografia, l'occhio è guidato in certi percorsi spontanei che obbediscono a certe regole e tanto più si rispettano queste ultime, tanto più efficace sarà l'impatto sull'osservatore. Mi potresti far notare che è un effetto un pò studiato, che contrasta con alcuni passi del discorso sinora fatto, ma io sono sicuro che gli antichi progettisti del Ryōan-ji non abbiano buttato le pietre a caso nello spazio del giardino. Il fascino di quel giardino sta forse proprio nell'incertezza della certezza o viceversa.
  7. rob

    il Giardino Giapponese

    lo chiamo software ma non è altro che l'aspetto meno concreto e più coinvolgente della storia Nel mio lavoro ho avuto modo di notare la stretta e costante interazione tra mente e corpo, quasi mai percepita dal soggetto ma con cause ed effetti evidenziabili sperimentalmente. Gli studi in questo campo sono avanzati di pari passo con la maggiore conoscenza nell'arte medica e con la scoperta di principi chemioteraci più mirati, che permettono di curare la maggior parte delle affezioni conosciute. L'aggettivo "conosciute" non è usato casualmente e vuole sottolineare il lapalissiano concetto che non possiamo riparare qualcosa prima di sapere come funziona. Alcune menti aperte attive in varie branche della medicina, avevano notato il verificarsi di fenomeni non spiegabili con le conoscenze correnti, fenomeni capaci di deviare il corso di patologie di tipo fisico e psichico e che ne modificavano l'evoluzione senza apparente spiegazione. Se ne cominciò a parlare dapprima sottobanco e al di fuori di ambienti ufficiali deputati alla celebrazione del sapere certificato. C'era il rischio di essere tacciati di cialtroneria e quindi la conoscenza tardò ad emergere in qualche consesso scientifico con studi e lavori pubblicati coraggiosamente dai primi pionieri e non sto parlando di ere antiche ma dei giorni nostri o poco più addietro. Le varie esperienze interagirono trovando una reciproca e progressiva conferma e si arrivò ad ottenere i risultati oggi ritenuti incontestabili: era nata la psiconeuroendocrinoimmunologia. Ma la cosa stupefacente è che tutto questo fosse già conosciuto ed utilizzato in pratiche comportamentali fin dal passato. Volendo semplificare, si sapeva che un particolare atteggiamento mentale era in grado di influenzare non solo l'umore di un individuo ma anche le sue funzioni ormonali, il metabolismo, la capacità di rispondere alle aggressioni virali o batteriche attivando più o meno la risposta immunitaria e modulando quelle catecolamine cosi importanti per le reazioni difensive in condizioni di pericolo o più in generale per la risposta agli stress di varia natura. In altre parole, si erano resi conto empiricamente con la sola osservazione, che chi seguiva certe pratiche comportamentali aveva più probabilità di sopravvivere e star bene nel fisico e nello spirito. Tornando al mio piccolo karesansui, la sfida era quella di superare lo scetticismo facendo sperimentare di persona il "miscredente", portandolo lassù, su quella terrazza, senza però fare l'errore di accennare a filosofie zen, influssi metafisici di natura non meglio precisata ma mettendoci a sedere su comode poltroncine da giardino, sorbendo un the e parlando del più e del meno, poi far finta di non notare le sue fugaci occhiate a quella distesa di graniglia candida discretamente percorsa da cerchi appena tracciati che circondavano dei cluster di pietre disposte apparentemente senza motivazione o criterio ecc. ecc. Dopo un pò l'amico non resistette e cominciò con domande di tipo progettuale (fa l'architetto) che ben prestò deviò su storia, motivazioni, cultura e alla fine, dopo due ore, mi salvò un acquazzone che lo riportò al presente: era partito per la tangente con la fantasia. Ci si rivide dopo qualche settimana e mi confidò che aveva scoperto un mondo sconosciuto. La reazione più incredibile l'ha avuta il mio nipotino all'età di tre anni. Quando gli ho dato un rastrello di legno e l'ho invitato a superare il bordo del giardino per camminare sopra la distesa di graniglia candida e minuta, si aggirava tra quei disegni circolari e tra le rocce. Ha poi rastrellato, cancellato e ha iniziato a tracciare da solo arretrando affascinato dalle figure che si andavano delineando, inciampando su qualche pietra per rialzarsi e ricominciare. Ho dovuto portarlo via di peso dopo tre ore con la promessa di ritornarci al più presto. Credo che questo sia solo uno dei tanti modi con cui si manifestano gli influssi positivi del distacco, inteso come il considerare tutto necessario ma niente indispensabile in moda da poter scegliere le cose veramente importanti. Ci creiamo o ci vengono indotti dall'esterno troppi bisogni, pensiamo di avere già fatto molto perchè magari siamo stanchi, stressati e sentiamo che di più non ci si può chiedere. Ma forse, abbiamo dato troppa importanza e spazio a cose che non lo meritavano. A livello di coscienza probabilmente non lo percepiamo ma il nostro organismo sa bene cosa gli può servire e di cosa può fare a meno. Si innescano meccanismi che possono far affiorare emozionini stressanti o conflituali, in poche parole uno stato di disagio che può cronicizzarsi in malattia. Io vi posso dire della sensazione percepita stando da solo, in estate nelle prime ore dopo l'alba o nel tardo pomeriggio o anche la notte alla luce dei vicini lampioni, è una sensazione appagante, non saprei definirla altrimenti e penso che ogni altra definizione sarebbe superflua, perchè le mie sensazioni sono le mie, ma so di cosa sto parlando per esperienza di vita e di lavoro. Un'ultima considerazione: tutto quanto sopra detto va inquadrato in una recentissima acquisizione in neuroscienze: l'ambiente modifica la trasmissione genetica delle caratteristiche non solo somatiche ma anche comportamentali e tutto quanto si verifica in tempi rapidissimi nell'arco di una o due generazioni, non è la mutazione darwiniana che richiede millenni e non è induzione educativa: un figlio può ripetere i comportamenti acquisiti come retaggio dei genitori anche nell'ipotesi di non averli mai conosciuti e di essere allevato da genitori adottivi: questa branca si chiama epigenetica. Qualcuno diceva "siamo quello che mangiamo", è verissimo ma oggi si sa per certo che noi tutti siamo prima di tutto quello che facciamo
  8. rob

    il Giardino Giapponese

    due sorelle,due figli
  9. rob

    il Giardino Giapponese

    piccoli accenni di hardware: prendere esempio da quello che funziona (nel mio caso il giardino del tempio Ryōan-ji, 800000 visite l'hanno) cercando anche di capire perchè e cercare modestamente di riprodurlo rispettando le poche regole di asimmetria e spazi e utilizzando possibilmente materiali simili senza nessuna presunzione di farne copia ma solo di fare qualcosa che mi piaccia. La bordura è un granito cinese a basso costo che sembra molto simile all'originale, le pietre sono rocce nere arrotondate da millenni di usura e reperibili online con poca spesa. La "sabbia" e qui ho volutu metterci una connotazione tutta italiana, è graniglia 4/6mm di marmo di Carrara, stupenda nel suo candore e trasparenza, ordinata in una cava toscana e recapitatami con una spesa di meno di 300 euro in un big bag da 1500 litri. C'è poi un tappetino plastico che crea un sollevamento dal piano d'appoggio necessario per evitare ristagni d'acqua e formazione di muffe o muschio, una protezione di tessuto non tessuto e sopra la graniglia. Avrei potuto usare una grana più fine ma qui da me, il vento soffia forte e la grana 4/6mm non la sposta. Allego un paio di immagini del giardino originale e di quanto realizzato da me con lo schizzo progettuale. L'originale Ryōan-ji il mio Poi ci sarebbe il software, quello se avete pazienza lo posto nel pomeriggio
  10. rob

    il Giardino Giapponese

    Una terrazza, un borgo marino della Sardegna sud occidentale, di fronte all’isola di S. Pietro a migliaia di miglia dal Giappone. Cosa ci sta a fare un giardino zen in questa terra senza apparenti tratti in comune con le regioni del sol levante? E’ la prima domanda che mi sono posto quando ho iniziato a pensare di realizzarlo, la sorte ha poi voluto che in famiglia non ho trovato contrasto alla mia piccola impresa e questo si sa, se non è un consenso, è sicuramente un tacito assenzo, tutti quelli che hanno da mediare con una donna gli arredi della casa sanno bene di cosa sto trattando. Poi non è nemmeno vero che non vi siano contatti tra le due terre, non fosse altro per i tonni pregiati che qui si pescano da secoli e che per decenni i giapponesi sono venuti a scegliere uno per uno, con una attenzione e competenza sconosciute anche ai rais delle tonnare di Carloforte. Prelevati appena pescati, imbustati, imballati coperti da ghiaccio secco e coperte termiche, per essere spediti in aereo che in poco più di mezza giornata li portava a Tokyo dove all’alba erano già sui banchi degli astatori del mercato di Tsukiji. AncheYoshindo e Leon Kapp mi dissero di conoscere Carloforte per esservi stati pochi anni fa quando vennero in Italia ed ancora ricordavano con piacere queste terre. Inoltre il “giardino secco” era una sfida che avevo raccolto quando amici che sapevano della mia affezione per storia, arti e mestieri del Giappone, mi avevano chiesto dei giardini secchi di rocce e ghiaia e di cosa ci fosse di attraente in qualcosa che apparentemente era la negazione della mutabilità della vita, quindi in evidente contrasto con la natura e la sua bellezza celebrati dai giardini della tradizione italiana. Riflettendo mi sono reso conto che non c’era contrasto tra la concezione occidentale e orientale della vita e delle sue rappresentazioni artistiche. Il tratto d’unione tra le due culture si concretizzava nel concetto di “vuoto” che per noi ha ancora una accezione negativa, privativa mentre per gli orientali è l’essenza stessa del mondo conosciuto, senza il quale non potrebbe esistere quello che noi chiamiamo percettibile, tangibile, concreto. La scienza fisico quantistica ha dimostrato e continua a scoprire, che l’infinitamente grande è presente nell’infinitamente piccolo sia in termini di spazi che di energia, basti pensare a quella che può liberare la fusione dell’atomo. Per tornare a quel concetto cosi apparentemente estraneo alla nostra cultura, quel vuoto che noi apprezziamo cosi poco perché condizionati a volerlo riempire in continuazione, il più delle volte con un dispendio di energie immotivato, per poi sentirci frustrati se non ci riusciamo, senza renderci conto che giochiamo col tempo che la vita ci ha riservato e che magari avremmo potuto impegnarlo in altre occupazioni, quel vuoto è la metafora della vita moderna alla quale però neanche i giapponesi possono sfuggire con la loro frenetica attività da quando nascono a quando muoiono. Allora, se non ci riescono nemmeno nella patria della filosofia zen, come potremmo fare noi occidentali a rimanere fuori dal circo vorticoso della nostra società pur vivendo una vita appagante e serena che possa indurre gli altri a porsi la domanda: ma che ne sto facendo della mia vita? Un comune amico, grande esperto di token e molto altro, un giorno mi confidava che per lui era facile coltivare ad alto livello la sua passione per le spade giapponesi, di avere una collezione invidiata, di vivere serenamente e senza affanni. Vedi, mi disse, io non ho l’auto, non ho la patente, non vesto abiti firmati ma decorosi, non faccio viaggi se non per approfondire lo studio della spada, sono stimato in questo mio mondo e non cerco di invadere altri campi, non ho il telefonino di ultima generazione, mi sposto in motorino e vivo in una città che amo, non imperverso in forum facendo sfoggio della mia conoscenza e davanti ad una spada, tra i miei interlocutori so per certo riconoscere il carattere di ciascuno, per quello che è veramente, non per come si dipinge sui social. Mi andò la mente a questi concetti: “La disciplina del vuoto ci aiuta a cogliere fino in fondo la bellezza dell’opera esposta, fare il vuoto nell’opera d’arte, nel bonsai, così come sulla carta o sull’argilla, dipende dalla capacità di fare il vuoto dentro di sé liberando la mente. Significa diventare poveri, spogli e liberi da condizionamenti e da ogni proprietà” Col concetto di vuoto mi ero già confrontato nel bonsai-do, attività che non ostante il grande recupero culturale degli ultimi decenni, guarda ancor oggi come ad un faro verso la tradizione artistica giapponese che fin da ere antiche aveva apprezzato la semplicità e l’essenzialità dello stile Bunjin o Literati, sia nella impostazione della pianta che del suo vaso, quel namban, che richiama alla sobria e scarna eleganza del vissuto con dignità e tenacia, contro ogni avversità dell’esistenza, concetti poi ripresi dal monaco buddista Rikyū; Sakai, 1522 – 21 aprile 1591) nella cerimonia del the: uno spazio dedicato al ritrovarsi con se stessi e i propri, pochi e stimati ospiti in un ambiente modesto, una dependance della grande e sfarzosa casa, dove ci si poteva finalmente affrancare doll’obbligo di appariscenza dettato dal contesto sociale che la vita esigeva. Il concetto wabi-sabi tanto apprezzato in Giappone e purtroppo non spesso ricercato qui da noi. Però riflettendo, il vuoto permea profondamente anche la nostra cultura: nella musica se non ci fossero le pause non sarebbe possibile creare i tempi e le armonie, nello sport i tempi dedicati alla competizione richiedono un adeguato riposo, una casa non è abitabile senza quelle interruzioni dell’involucro, quei vuoti che chiamiamo porte e finestre e come accennavamo prima, il grande vuoto che ci accomuna, che la fisica ha dimostrato esistere anche nel metallo più tenace ove i cristalli e all’interno di essi atomi, elettroni ed altri componenti gravitano distanti tra di loro come la terra e la luna. “L'utilità del nulla”: trenta raggi si incontrano in un mozzo / e in quel che è il suo vuoto sta l'uso del carro si tratta l'argilla e se ne foggia un vaso / e in quel che è il suo vuoto sta l'uso del vaso si forano porte e finestre per fare una casa / e in quel che è il vuoto sta l'uso della casa Come dicevo prima, il mio giardino nacque come sfida, la sfida di fronte alla diffidenza di un amico che non credeva possibile trarre ispirazione e insegnamento da una natura “morta” Ora la chiudo qui ma, se vi interessa, la storia ha un seguito
  11. rob

    il Giardino Giapponese

    il mio piccolo Karesansui sulla terrazza di casa
  12. scusandomi con Simone per ripetere quanto aveva già lui segnalato, io che avevo il vecchio e splendido "The Craft of the Japanese Sword" oggi ho ricevuto una fantastica pubblicazione degli stessi autori con foto di Yoshikazu Yoshihara e Aram Compeau "The Art of the Japanese SWORD - The craft of swordmaking and its appreciation" Pubblicato in China mostra una qualità di stampa superiore alla media e percorre l'arte dello swordmaking da ogni prospettiva, partendo dalla produzione del tamahagane fino alla realizzazione della shirasahia, documentando con immagini vivide ogni attività. E' un compendio di informazioni che svelano al lettore questa arte antica e lo fanno senza nulla nascondere. Tecniche custodite per secoli sono dettagliatamente illustrate e descritte dalla mano del maestro, si entra nella sua officina, lo si vede assiststito dai discepoli mentre forgia. Una pubblicazione che non può mancare nel percorso di studio della nihonto Con copertina rigida, dimensioni 32x24 256pag 33,63Euro su Amazon prime(spese sped.incluse)
  13. coinvolgiamo in un progetto di crowdfunding qualche stilista di fama per collezioni ispirate all'oriente con sfilate a tema su un moderno "Bushido" uno stile di vita alternativo alla degradante cultura dei social media, utilizzando però i social stessi per il proselitismo :samurai: (e con questo, Beta, non sto irridendo la tua proposta, tutt'altro! credo che i capitali in cerca di investimento in giro ci siano, sono le iniziative che scaseggiano)
  14. La location della mostra è sicuramente suggestiva, situato nella Marmilla, alle pendici della Giara su una altura immersa nel silenzio che sovrasta il vento e il gracidio discreto di corvi in lontananza. Mi hanno accompagnato i miei nipotini di 4 e 3 anni che si sono comportati egregiamente, incuriositi dalle suggestive armature e dalle maschere da guerra. La penombra illuminava le sale espositive e le opere erano protette da teche ben illuminate. Sottofondo, una discreta musica rimandava a recenti rappresentazioni di filmografia occidentale sul Giappone e i suoi guerrieri. Forse avrebbero potuto anche tralasciare questo tocco coreografico ma i visitatori non ne sembravano disturbati. A parte questo piccolo appunto, direi trascurabile, ho potuto notare un impegno notevole nel rimanere attinenti alla storia reale e alla sua valorizzazione con una esposizione che procedendo dal percorso creativo mitologico religioso del Giappone con la conseguente nascita della stirpe divina che avrebbe popolato le isole del sol levante, passava discretamente attraverso i vari periodi storici, Nara, Heian ed epoche successive, osservate e trasposte attraverso il succedersi delle innumerevoli stirpi guerriere, i samurai, che ne forgiarono gli eventi fino all'editto imperiale dell'ultimo terzo del XIX secolo che ne sanci la fine. Una ambientazione simile mi ha ricordato la qualità espositiva del Nezu Museum visitato a Tokyo e quindi onore al curatore e ai collaboratori della struttura museale di Sa Corona Arrubia, veramente impeccabili nella proprietà del linguaggio figurativo e attinenza descrittiva di storia, costumi e in particolare del senso profondo della via, il Bushido, costantemente presente nella esposizione delle guide. Un profondo rispetto per la storia di quel popolo è la sensazione che sono riusciti a trasmettere ai visitatori presenti. Detto questo, passando all'analisi tecnica delle opere esposte, ho osservato delle pregevoli e ben conservate armature, splendidi kabuto, pregevoli mempo, tsube di grande qualità che tutti i visitatori dello Stibbert hanno già avuto modo di apprezzare. Quello che mi ha deluso un pò sono state proprio le lame, sia per il limitato numero che per la qualità: a parte una Kanemoto di terza o quarta generazione datata fine 1500 con un hamon sambon sugi e koshirae shinshinto, bisognosa di una politura d'urgenza, le altre lame si presentavano in uno stato di conservazione penoso per una collezione tra le più cospicue al di fuori del Giappone , quale lo Stibbert rappresenta. Manca, è lampante, una attenzione alla conservazione e valorizzazione delle spade, assolutamente non all'altezza delle restanti opere in esposizione. Il museo di provenienza non l'ho visitato e non posso dire se qui è stato inviato un campione di lame secondarie, e nemmeno mi è sembrato che durante il passaggio tra le teche i visitatori abbiano percepito lo stato di degrado, per fortuna direi, perchè non erano all'altezza del contesto. Le opere più rappresentative del bushido, erano anche quelle più modeste qualitativamente. Ruggine, abrasioni, punte spezzate, lame di ignota fattura, rimaste come furono scoperte allora da quello straodinario collezionista ottocentesco che viaggiava per il Giappone dell'epoca in cerca di tesori ancora non conosciuti in occidente.
  15. non ancora, dovrei andare sabato prossimo
  16. complimenti vivissimi Massimo, onore per te e per l'associazione
  17. lo farò, se me la faranno usare. L'utima volta, ma era in quel di Tokyo e dintorni, fu un peso inutile
  18. ci andrò sicuramente con gli amici del bonsai club Sardegna
  19. Disinfettante valido ma un poco irritante su giovani tessuti in attiva rigenerazione. Azione batteriostatica efficace ma necessita di successiva detersione con soluzione fisiologica
  20. Molto interessante, grazie per la condivisione Betadine!
  21. rob

    Un Wakizashi speciale

    INTK sulla cresta dell'onda
  22. rob

    Un Wakizashi speciale

    Complimenti Massimo, te lo sei meritato
  23. rob

    Un saluto dall’Egeo

    bell'ormeggio pure il drone!
  24. rob

    occasione perduta?

    che meraviglia! dei chikei minutissimi, mi verrebbe da dire una nashi hada (ma è forse anche troppo fine considerando l'ingrandimento della foto), nel contesto di un tipico masame. Impressionante ed austera non ostanti le dimensioni contenute

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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"Una singola freccia si rompe facilmente, ma non dieci frecce tenute assieme."

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