Vai al contenuto

Khuran

Membri
  • Numero di messaggi

    124
  • Registrato dal

  • Ultima visita

messaggi di Khuran


  1. Sempre più appassionato alla questione mi sono messo a setacciare internet in cerca di antiche foto e stampe.

    Per la precisione cercavo quelle postate da Sandro che avevo visto tempo fa, senza però trovarle :sweat:

     

    In compenso ho trovato un lungo articolo ( http://www.shibuiswords.com/japanesearthistory.htm ) che sul finale spiega accuratamente i cambiamenti nel Bujutsu, soprattutto dal 1800 in poi.

     

    Oltre ad esso, una serie di foto di quello che su internet è noto come "old Kendo", dove si notano atteggiamenti molto differenti da quello moderno, a partire dalla posizione dei piedi (praticamente sempre una sorta di Hanmi) per passare a azioni praticamente inginocchiate simili a quelle che si vedono in alcune stampe.

     

    vintagekendogeneve1.jpg

     

    oldphoto4.jpg

     

    csamurai.jpg

     

    (curioso il busto visibilmente inclinato all'indietro)

     

    oldphoto5.jpg

     

    2postcards.jpg

     

    tranne la 2°, tutte sono relativamente moderne, vista la presa degli shinai. Comunque la posizione dei piedi ben differente da quella 'tipica' odierna avrà, penso, una qualche forte relazione con il nanba aruki e tutte le meccaniche relative (da quando me ne avete parlato mi ci sono fissato :laugh: )

     

    :arigatou:


  2. Mi permetto di riesumare la discussione ponendo un'altra domanda, sempre relativa all'argomento.

     

    Abbiamo stabilito che il mochikata largo è un'invenzione relativamente moderna, adatta all'uso di shinai e bogu.

    A questo punto però mi viene da chiedere: come mai le lame giapponesi hanno, fin da periodi molto antichi, una tsuka lunga, che suggerisce appunto una presa delle mani distanziata?

    Una spiegazione simile a quella data per le Daab thailandesi mi pare poco appropriata, dal momento che la sezione di tsuka che 'avanza' dalla presa è decisamente corta, sicuramente troppo perché servisse a proteggere l'avambraccio.

    Che servisse a bilanciare mi sembrerebbe comunque strano, visto che si poteva ricorrere a un pomello.

    Qualcuno ha la soluzione dell'arcano? :biggrin::arigatou:


  3. Ciao Sandro, figurati, anzi ti ringrazio della cortesia :arigatou:

     

    Capisco, in effetti il discorso torna. Certo resta una rivelazione piuttosto pesante per chi non si è mai posto la questione, ma che appunto non fa altro che stimolare a praticare con più consapevolezza e 'curiosità' :)

     

    Riguardo alla scherma occidentale... non sono assolutamente un esperto ma solo un appassionato, di essa come di quella orientale.

     

    Grazie ancora per la discussione e le delucidazioni. :arigatou:


  4. Grazie mille Sandro per l'intervento che tutti (immagino) stavamo aspettando :arigatou:

     

    Non sapendo nulla di ciò che hai detto sono un po' "sconvolto", e mi ritrovo a dover rivedere un po' delle convinzioni che avevo, ma del resto fin da quando ho fatto quelle prove sapevo che qualcosa sarebbe dovuto cambiare (in meglio, ovviamente).

     

    Ci sono solo due cose che mi sembrano 'strane'.

     

    La prima è che sia bastata l'introduzione del bogu e dello shinai geiko per cambiare nettamente il modo di impugnare la spada anche nei kata di kenjutsu e di iai\batto. Se gli unici vantaggi di questa presa si ottengono usando tutto l'armamentario di cui sopra, perché modificare anche la tradizione riguardante il combattimento reale?

     

    La seconda è un po' più estemporanea e si connette con le tradizioni marziali occidentali, in particolar modo la spada lunga come insegnata dal Fiore dei Liberi e dai maestri tedeschi quali Talhoffer, Liechtenauer eccetera. (mi rendo conto di uscire parecchio OT sia dalla discussione che dall'intero forum, ma perdonatemi un istante)

    Negli insegnamenti di questi ultimi, la spada lunga\langschwert viene tenuta con le mani distanziate (anche più che in Giappone), e non è che sia qualcosa di 'moderno', come si può notare da immagini come questa:

     

    300px-Talhoffer1467_25.jpg

     

    (per trovarne di simili basta cercare il nome di uno dei maestri sopra citati, ce ne sono a bizzeffe).

     

    Ora, io interessandomi di entrambe le tradizioni ho sempre notato diverse somiglianze fra di loro (non tanto nella tecnica 'meccanica \ corporea' ma nel ritmo e nelle tattiche comuni ai vari stili) e questa era una di esse. A questo punto mi viene da chiedere come mai in Europa usava tenere le mani distanziate. Un paio di spiegazioni che vengono subito in mente sono i guanti d'arme europei che probabilmente creavano problemi simili a quelli del bogu, ed il fatto che in Occidente si tendesse a colpire più di punta che di taglio già all'epoca...

     

    Ad ogni modo ringrazio ancora Sandro (e tutti gli altri) per la discussione estremamente interessante che ne è venuta fuori :arigatou:

     

     

    EDIT: Mi permetto di allungare un po' il post per condividere con voi alcune impressioni che ho avuto facendo altre prove con bokken e iaito.

    Il post sulla 'meccanica' di Isononami mi ha fatto riflettere e ripensare ad alcuni degli insegnamenti ricevuti, in particolare riguardo al discorso del fulcro del movimento. Come ho risposto prima, nello stile che pratico la sinistra tira e la destra spinge intorno a un fulcro che sta circa a metà tsuka.

    Mi sono reso conto che, non allenandomi da qualche mese, avevo smesso di muovermi in questo modo, semplicemente tirando con la sinistra e accompagnando 'mollemente' il movimento con la destra.

    Ripescando dalla memoria muscolare il metodo che mi è stato insegnato, e confrontandolo con il mochikata stretto, ho notato pochissime differenze: l'unica veramente tangibile è il peso percepito della spada, che con le mani vicine è più leggera durante il taglio, mentre con le mani distanti è più leggera stando in chudan-no-kamae.

    Mi viene quindi da pensare che un'altra ragione per usare il mochikata largo stia nel fatto che provoca meno fatica negli avambracci stando prolungatamente in guardia. :arigatou:


  5. Beh, oltre alle cose che ho detto prima, 'a pelle' direi che tenendo le mani distanziate possa esercitare più pressione in tsubazeriai, ma potrei sbagliarmi (ancora non ho modo di provare :tongue: ). Inoltre, sempre parlando di tsuki, le mani distanziate consentono di usare la destra come perno per deviare un affondo e tornare velocemente in guardia.

     

    Comunque per mia esperienza personale rispondo ad Isononami dicendo che, almeno nella scuola che pratico, la 'meccanica' del movimento si avvicina al primo esempio fatto (la sinistra tira, la destra spinge).

     

    :arigatou:


  6. Grazie della risposta, anch'io sono convinto che Sandro ci potrà illuminare :tongue:

    Comunque volendo aggiungere elementi alla discussione, un altro motivo per cui il video inizialmente non mi ha convinto per niente è: per quale ragione si dovrebbero costruire spade con la tsuka così lunga se poi vengono impugnate in quel modo? Per bilanciare la lama in maniera corretta basterebbe un kashira più pesante, all'occidentale...

    Poi però guardando un video sul Krabi Krabong (la tradizione marziale armata thailandese) ho visto che le loro spade, le Daab, hanno un'impugnatura molto lunga ma vengono addirittura usate a una sola mano. La spiegazione data nel video era che l'impugnatura lunga permette di difendere l'interno dell'avambraccio, che essendo una zona ricca di vene, arterie e tendini è in effetti un bersaglio importante. :arigatou:


  7. Innanzitutto salve a tutti, era un po' che non tornavo sul forum ed è un piacere notare che è sempre attivo :)

     

    Scrivo questo topic sperando di risolvere, con l'aiuto di chi è più esperto di me, un dubbio che mi si è insinuato negli ultimi giorni - e magari di tirarne fuori qualcosa di interessante.

     

    Tempo fa, guardando video su Youtube, mi sono imbattuto in un singolare 'documentario', ovvero questo:

     

    http://www.youtube.com/watch?v=3WH_bBr1Rkg

     

    Per la precisione dal minuto 04:44.

     

    Come potete vedere dal video, il signore giapponese - di cui non ho capito il nome, anzi neanche ci ho provato, ora cercherò - mostra un vecchio manuale (di gekken, direi) nel quale sono presenti figure dimostrative di vari waza. Si fa notare come in tali figure la spada venga impugnata con le mani adiacenti l'una all'altra, al contrario degli insegnamenti di praticamente tutte le ryu-ha, almeno quelle che conosco io. In seguito, questo signore 'dimostra' come l'impugnatura delle mani adiacenti (che viene classificata come appartenente al 'Classical Budo', in opposizione all'impugnatura conosciuta ad oggi, classificata come 'Modern Budo') sia più efficiente e permetta un uso maggiore delle varie leve corporee.

     

    La prima volta che ho visto il video non sono rimasto molto colpito. Innanzitutto la dimostrazione è facilmente truccabile, basta agire di proposito più lentamente utilizzando la tecnica che si vuole dimostrare meno efficace. In secondo luogo, mi ero già imbattuto in immagini tratte da quel manuale, e notando l'impugnatura diversa ho sempre pensato che fosse un errore del disegnatore.

     

    Inoltre, come ho detto prima, quel manuale sembra proprio di gekken, ed in caso lo sia veramente sarebbe quantomeno controverso affermare che si tratta di una presa 'antica'. Però essendo molto dell'audio in giapponese, magari c'è una spiegazione che non ho colto.

     

    Comunque, oggi, facendo un po' di tagli a vuoto con il bokken, sono stato curioso di provare questa 'presa antica'. Il risultato mi ha stupito: effettivamente mi sembrava di colpire con più potenza e naturalezza. Provando in seguito con una iaito, ho notato che il taglio produce un fischio più netto e potente tenendo le mani adiacenti invece che distanziate.

     

    Questo ha sicuramente risvegliato la mia curiosità, e cercando su google immagini delle stampe antiche di kenjutsu, ho notato che in effetti in diverse immagini (non tutte, comunque) i kenshi vengono raffigurati mentre tengono la spada con le mani adiacenti.

     

    Ad esempio: http://www.antiques....iyoshi-ichi.jpg

     

    Detto questo, mi interessa sapere cosa ne pensate a proposito. :arigatou:


  8. Mia opinione personale: ci può essere progresso solo tramite un incremento graduale della difficoltà.

    Per questo è il maestro (di norma) a fare Uke. In caso contrario c'è qualcosa che non va.

    Uke (o Uchidachi) deve portare l'attacco o comunque l'opportunità per la tecnica con una perizia proporzionale al livello di chi gli sta davanti... con un principiante sbaglierà apposta e metterà facilitazioni, di modo da dargli la possibilità di 'sentire' la tecnica (il suo ritmo, il suo dinamismo, etc). Poi via via diventerà sempre meno collaborativo, fino ad arrivare ad una sorta di combattimento. Alla fine credo che il kata in sé andrebbe praticato in quel modo: si sa chi deve fare cosa, e quando: ma dev'essere fatto sinceramente e con 'spirito combattivo'. Come se fosse un combattimento libero... che poi, in alcune scuole, si fa. :)


  9. ...ho saputo poco fa che nella prefettura di Miyagi si stimano 10.000 morti.

    Sono un po' sconvolto... ma comunque felice di sentire che Sandro sta bene e che in altre zone i danni sono stati (relativamente) limitati.

    Massima solidarietà.


  10. Cito un intervento su un'altro forum che frequento.

    L'utente che l'ha postato è stato personalmente in Cina e personalmente mi sembra una persona molto onesta e preparata.

    Nonostante questo mi sento di avvertirvi che il testo è piuttosto caustico e venato di risentimento.

    Inoltre è estremamente lungo, quindi lo metto come spoiler.

     

     

     

    Ho letto altrove che certa gente insiste a divulgare una "verità" su Shaolin molto lontana dalla realtà storica e basata solo e unicamente sulle solite favole di propaganda: a mio avviso ognuno è libero di credere a ciò che vuole, ma siccome questi personaggi spacciano le loro credenze per verità assolute accusando allo stesso tempo di ignoranza o peggio di agire in malafede chi presenta una realtà diversa dalla loro, mi sembra opportuno approfondire un po' l'argomento.

     

    Nonostante le assurde smentite dei diretti interessati, vedi l'affermazione a dir poco ridicola contenuta in un'intervista rilasciata da Shi Su Xi (pace all'anima sua) secondo cui il monastero non sarebbe mai stato distrutto, tutte le fonti storiche, addirittura quelle cinesi disponibili presso la biblioteca nazionale di Beijing, parlano chiaramente delle varie distruzioni di Shaolin, in particolare quella del 1736 ad opera dei Qing e quella del 1928 ad opera dei Signori della Guerra. L'altrettanto documentata invasione giapponese dell'Henan del 1944 e successivamente la rivoluzione culturale di cui credo tutti siamo a conoscenza, completarono l'opera.

     

    Molto probabilmente la vera fine di Shaolin risale proprio alla dinastia Qing quando vennero distrutti tutti i monasteri appartenenti o in qualche modo legati all'ordine in quanto individuati come covi di rivoluzionari: definisco tale ipotesi molto probabile poiché, dopo la distruzione del 1736, benché ricostruito il tempio di Henan e le attività in esso svolte rimasero per quasi 200 anni in uno stato di costante e profondo declino culminato con la distruzione del 1928, mentre il tempio di Fukien distrutto nel 1768 non venne mai più ricostruito.

    Questa situazione viene testimoniata sia da fonti ufficiali quali la dichiarazione promulgata dal governo nel marzo 1842 in cui veniva denunciato lo stato decadente di Shaolin e ciò veniva attribuito all'incapacità degli abati di esercitare la propria leadership ed alla cattiva condotta dei monaci, fatti che esponevano il monastero a numerosi attacchi e furti da parte di ufficiali, soldati e briganti, sia da fonti letterarie come il poema "Shaolin Si Canguan" ("visita al tempio Shaolin") in cui l'autore Shi Yi Zan scrive:

     

    "Who is there to know the doctrines of our Founders? For long the fine tradition of the temple has been abandoned. The enchanting martial arts are without their spell, to speak less of Buddhist doctrines being expounded!".

    Non è un caso, infatti, che tutti gli stili tradizionali Shaolin e derivati da essi giunti fino a noi attraverso discendenze laiche, trovino origine e diffusione proprio a partire dal XVIII secolo quando i monaci sopravvissuti alla distruzione dei templi iniziarono a divulgare le proprie conoscenze alle popolazioni presso cui si rifugiarono.

     

    Anche volendo tralasciare tale ipotesi per soffermarsi sull'ultimo secolo di storia, la situazione è comunque fin troppo chiara ed evidente.

    Nel 1928 il Signore della Guerra Fang Cheng Xue usò il monastero come base e successivamente Shi You San, un ufficiale subalterno del Signore della Guerra Feng Yu Xiang, ordinò al proprio esercito di incendiare il tempio: l'incendio durò più di 40 giorni e distrusse la quasi totalità degli edifici, inclusa la biblioteca contenente moltissimi testi religiosi, medici e marziali.

    Successivamente, come detto, il poco che restava del monastero, dei monaci e delle loro tradizioni venne spazzato via prima dall'invasione giapponese dell'Henan del 1944 (la situazione disastrosa e di totale abbandono in cui si trovava il tempio in tale periodo viene descritta dai resoconti del generale Pi Ding Jun inviato nell'Henan con le sue truppe a combattere gli invasori giapponesi) e poi dalla rivoluzione culturale durante la quale le pratiche marziali e religiose vennero proibite ed i monaci imprigionati, uccisi o nel migliore dei casi costretti alla fuga.

    Solo nel 1974 venne ricostruita l'entrata principale del monastero, successivamente nel 1979 venne avviato un progetto di rinnovamento della zona seguito nel 1980 dall'ingresso nel tempio di quattro presunti monaci sopravvissuti e dalla nomina di una commissione tecnica governativa incaricata di reinventare le arti marziali di Shaolin ormai perdute, nel 1985 dall'investitura del nuovo abate Shi Yong Xin da parte del governo cinese e nel 1989 dalla costruzione del Wushu Guan seguito negli anni successivi da molti altri istituti sorti nella zona di Deng Feng dove da allora viene insegnato ad allievi locali e turisti di tutto il mondo il wushu partorito dalla commissione di cui sopra spacciato per "shaolin tradizionale", nonché il wushu moderno, il sanda ed in alcuni casi anche altre discipline non cinesi come ad esempio il Taekwon-Do.

    Visto tutto quanto sopra, come ho già scritto in un altro mio post, basta guardare i dati anagrafici dei 4 presunti monaci sopravvissuti per rendersi conto che la versione ufficiale sulla "rinascita" di Shaolin non regge: Shi De Chan (1907 - 1994) lasciò il monastero a 21 anni e vi fece ritorno a 73, Shi Xing Zhen (1914 - 1986) se ne andò quando aveva 14 anni e al suo ritorno ne aveva 66, Shi Su Yun (1923-1999) all'abbandono aveva 5 anni ed al ritorno ne aveva 57, Shi Su Xi (1924 - 2006) se ne andò a 4 anni mentre al suo ritorno ne aveva 56.

    Da questi dati emerge che l'unico tra questi signori a poter essere realmente entrato a Shaolin prima della sua distruzione del 1928 imparando anche qualcosa di concreto è Shi De Chan, dalla cui biografia si possono trarre interessanti informazioni.

    Nato nel 1907 presso il villaggio di Zuo Zhuang (Deng Feng - Henan), nel 1916 entrò nel monastero di Shaolin dove, come da tradizione, nei primi anni della sua permanenza venne sottoposto ai lavori più umili.

    Vista la sua perseveranza e devozione, nel 1921 il maestro anziano Zhen Jun dispose che De Chan venisse inviato a studiare la medicina tradizionale con il monaco Ji Xue presso il monastero Huang Wan. Nel 1924 De Chan tornò a Shaolin dove studiò il buddismo chan con il monaco Shi Su Gang e nel 1927 venne ordinato monaco ordinario e medico, pertanto di suoi eventuali studi marziali non c'è traccia.

    Dal 1928 al 1980 visse sulle montagne circostanti il monastero raccogliendo erbe e producendo con esse medicinali per le popolazioni locali.

    Nel 1980 fece ritorno a Shaolin dove, dal 1981 al 1983, si dedicò alla stesura di due opere: "Shaolin Quan Pu" consistente in 38 volumi contenenti quanto prodotto dalla commissione tecnica di cui sopra presieduta dallo stesso De Chan evidentemente per dare al tutto maggior credibilità visto che dai dati oggettivi citati le sue conoscenze marziali risultano essere nulle, e "Shaolin Ben Cao" consistente in 5 volumi dedicati alla medicina tradizionale del tempio.

    Nel 1983 iniziò l'insegnamento della medicina tradizionale ai discepoli del monastero.

    Shi De Chan morì nel 1994.

    Da tutto ciò si può facilmente notare come, se a Shaolin esiste ancora qualcosa di autentico, riguarda solo e unicamente la medicina tradizionale, non certo le arti marziali per i motivi ampiamente illustrati, o il buddismo chan trasformato dal governo in una vuota filosofia privata di ogni contenuto religioso.

     

    Anche in questo caso, oltre a fonti storiche, ci sono fonti letterarie che ben testimoniano la reale situazione di Shaolin successiva alla sua "rinascita" degli anni '80, come ad esempio il già citato libro "La Porta Proibita" di Tiziano Terzani, noto giornalista e scrittore italiano prima "rieducato" e poi espulso dalla Cina proprio per le scomode verità che portò alla luce e denunciò attraverso i propri scritti.

     

     

    La rinascita delle arti marziali*

     

    Maestro... Sono pronto. Nessun sacrificio mi scoraggerà. Nessuna privazione mi fermerà. Lasciatemi venire e sarò vostro devoto discepolo... La lettera era arrivata dalla lontana Europa e il vecchio abate del monastero di Shaolin, nascosto tra le aride, rocciose scarpate di Song Shan, la montagna sacra della Cina centrale, nella provincia di Henan, non poté leggerla e così la passò alla polizia. Lì la lettera si perse tra la massa di altre lettere simili, scritte da giovani di tutto il mondo per supplicare di essere accolti come discepoli dai monaci del famoso tempio dove più di 1400 anni fa nacquero il buddismo Zen e l'arte mortale dei Kung fu. L'aspirante europeo non ricevette mai risposta. Tanto meglio per lui. Se gli fosse stato permesso di venire a Shaolin, avrebbe ricevuto un duro colpo: gran parte dei monastero è in rovina, le statue di Budda sono nuove e di gesso dipinto, i pochi monaci sopravvissuti sono vecchi e tremanti, incapaci di alzarsi dal letto e ancor più di spaccare mattoni coi loro pugni o di saltare a piè pari al di là di alti muri. i giovani novizi sono deboli e pallidi, alcuni persino storpi. il Kung fu non è più praticato nel tempio; la famosa sala, dove attraverso i secoli monaci in addestramento hanno battuto i loro piedi callosi per terra facendo avvallare il pavimento di pietra, è coperta di polvere. Gli undici pali di legno alti due metri, sulla cima dei quali i vecchi maestri facevano saltare e rincorrersi i novizi per aumentare la loro agilità e rafforzare il loro senso dell'equilibrio, sono fuori uso, sepolti nella sabbia. Gli unici monaci lottatori che si vedono in giro sono quelli dipinti negli affreschi dei tempio che, in passato, gli apprendisti usavano come fossero un libro di testo per imparare i colpi mortali tra una seduta di meditazione e l'altra. Shaolin Si, il Monastero della Giovane Foresta, oggi non è un centro né di meditazione buddista né d'arte marziale. E' semplicemente un'ennesima attrazione turistica dove ogni giorno centinaia di cinesi, e per ora solo alcuni turisti stranieri, vengono portati a curiosare tra i poco ispiranti cortili del tempio, tra le bancarelle gestite da monaci che vendono cianfrusaglie e souvenir, tra cui - colmo dell'assurdità - dei piccoli crocifissi con la parola "Cristo" sul retro. I monaci di Shaolin vennero meno alla loro reputazione di grandi lottatori al tempo della Rivoluzione Culturale. Quando le Guardie Rosse, nel 1966, arrivarono qui per "eliminare le vestigia del passato", nessuno dei duecento monaci che erano sopravvissuti sotto il regime oppose resistenza. Le statue di Budda furono abbattute e fatte a pezzi, i muri vennero impiastricciati di slogan maoisti, la maggior parte dei monaci fu mandata a lavorare nei campi, un gruppo dei più vecchi venne messo sotto chiave in un cortile separato del tempio, e Shaolin fu chiuso. Tutta la letteratura cavalleresca concernente Shaolin finì alle fiamme, e anche la semplice pratica dei Kung fu venne attaccata dagli ideologi del tempo come "immondizia feudale". La tradizione di Shaolin, però, sopravvisse, anche se fuori della Cina. "Tutte le arti marziali dei mondo sono nate a Shaolin", è un vecchio modo di dire cinese; ed è vero che gli esperti di varie forme di lotta, dal judo al karate giapponese, al gumdo coreano, considerano il vecchio tempio nella provincia di He-nan come il sacro luogo d'origine della loro arte. All'inizio degli anni '60, King Wu, un regista di Hong Kong, lanciò con il film "Un tocco di zen" un nuovo genere di western cinese, appunto basato sulle avventure dei monaci di Shaolin. L'industria cinematografica di Hong Kong prese la palla al balzo e una dozzina di film, che avevano per protagonista Bruce Lee, fecero diventare il Kung fu uno sport popolarissimo prima nel Sud-Est asiatico, poi in tutto il mondo. Dopo la morte di Mao e la caduta della Banda dei Quattro nel 1976, i nuovi dirigenti cinesi si resero conto che il Kung fu era una vera miniera d'oro e che era assurdo lasciarla sfruttare ad altri i quali, dopotutto, non avevano neppure il tempio di Shaolin. Fu cosi che Pechino decise di investire denaro per la riparazione e la riapertura del tempio, che alcuni monaci vennero ripescati, riabilitati e rimessi a vivere a Shaolin. E fu cosi che la povera, grigia Deng Feng, la cittadina ai piedi del Song Shan, la montagna sacra che nel frattempo era stata spogliata di tutte le sue celebri foreste, fu messa sulla carta turistica della Cina. La sonnolenta contea di Deng Feng, a sud del Fiume Giallo, è stata invasa da una marea di persone che volevano vedere il tempio sacro e imparare i segreti che vi si conservavano. Per accogliere i gruppi turistici, le autorità del luogo hanno costruito un motel, mentre sono comparse per i viaggiatori meno abbienti una dozzina di gan dian (alberghi asciutti, cioè senza il servizio dell'acqua) gestiti da privati. Un'autostrada larga dieci metri è stata aperta fra Deng Feng e il tempio; un "negozio dell'amicizia" ha cominciato a funzionare, accanto all'ingresso di Shaolin, vendendo Coca Cola e birra. L'Associazione per le arti marziali è stata costituita per addestrare giovani lottatori e per organizzare speciali rappresentazioni di Kung fu per i turisti, ovviamente a pagamento. Al momento, i lottatori mettono in scena il loro spettacolino nello spiazzo per gli autobus davanti al motel. Per far fronte alle migliaia di lettere, alcune scritte col sangue, di giovani che vogliono imparare il Kung fu, le autorità hanno consentito l'apertura di scuole e palestre a Deng Feng. "E gli stranieri?" chiedo. "Abbiamo ricevuto lettere da tutti gli angoli del mondo", dice il direttore degli Affari Esteri della contea. "Alcuni sono disposti a tutto pur di venire qui, ma questa è una cosa che non possiamo decidere noi. Il permesso deve venire da Pechino." per il momento Pechino permessi simili non li dà. Nelle scuole cresciute attorno al tempio ci sono 500 bambini che studiano le arti marziali: 300 sono di qui, 200 vengono da altre parti, anche lontane, della Cina. "Ho visto il film e ho supplicato i miei genitori di mandarmi qui. Voglio studiare bene, e forse un giorno potrò anch'io essere in un film", dice un ragazzino timido e magro arrivato qui un anno fa da un villaggio nella provincia di Guizhou, a duemila chilometri di distanza. Rimarrà a Deng Feng per cinque anni. La scuola si trova in una fornace abbandonata ai piedi della montagna, sulla via della pagoda di mattoni di Song Yeu, il più vecchio edificio di questo tipo in Cina. La vita dei ragazzi è spartana: tutti e tredici (due sono ragazze) dormono su un pancone di legno e mangiano in un refettorio. Sveglia alle sei, corsa e, tutto il giorno, esercizi e studio. Benché i "novizi " non facciano più alcuni degli esercizi dolorosissimi dei novizi di un tempo, le loro mani e i loro piedi sono pieni di piaghe, vesciche e graffi causati dal ripetuto picchiare contro i sacchi di sabbia. La scuola è gestita da una cooperativa agricola, la quale ha pensato bene di impiegare uno dei suoi contadini che era stato monaco di Shaolin fino all 1949. La retta che gli studenti pagano, e che comprende vitto, alloggio e lezioni di Kung fu, è di 30 yuan al mese. Per la cooperativa agricola è un buon affare, per gli studenti che la frequentano è un investimento (30 yuan corrispondono alla metà di uno stipendio medio operaio): in un paese dove la disoccupazione fra i giovani è in aumento, essere maestro di Kung fu, ora che i vecchi si stanno estinguendo, vuol dire certezza di lavoro ed eventualmente anche di fama. Di queste scuole gestite dalle cooperative ne esistono una dozzina, mentre altre tre sono amministrate dalle scuote della contea. Inoltre ci sono alcuni contadini che, affermando di essere stati monaci nel tempio, hanno cominciato a prendere a pensione dei giovani e a dare loro lezioni private per 25 yuan al mese. Non tutti gli allievi sono soddisfatti. "Volevo imparare ad attraversare i muri e a saltare sui letti, ma qui tutto quello che mi fanno fare è ginnastica", dice un ragazzo di quindici anni venuto dalla manciuria. gli istruttori di Kung Fu di Deng Feng dicono che la delusione fra gli studenti è comune nelle prime settimane, ma che poi passa e che quasi nessuno se ne va, una volta che è stato ammesso. "il problema è che molti giovani arrivano con idee sbagliate. Pensano che il Kung fu sia quello che vedono al cinema", dichiara il preside della scuola numero 15 di Deng Feng. " Noi non possiamo insegnare a fare miracoli." A parte i " miracoli", le scuole di arti marziali di Deng Feng, ora, sotto la supervisione delle autorità locali, non insegnano nemmeno alcune mosse classiche del Kung fu, tipo il "colpo assassino della tigre" e il "calcio mortale dei bue", con cui si può uccidere un avversario. "Queste mosse sono troppo pericolose e lo Stato non incoraggia simili attività", afferma Liang Yichang, vicedirettore dell'Associazione per le arti marziali, discendente da una famiglia di grandi maestri di Kung fu. "Ora dobbiamo addestrare dei bravi lottatori, ma anche dei bravi cittadini." Certo è che il Kung fu si è reso utile a Deng Feng, dove, secondo il piano approvato da Pechino, il Kung fu sarà al centro dello sviluppo economico di questa regione, sarà la grande attrazione turistica, la merce più importante per l'esportazione in questa povera contea fino a poco tempo fa sconosciuta, isolata e arretrata. Le attrezzature turistiche della contea verranno ingrandite con l'aiuto di società di Hong Kong. Tra cinque anni* Deng Feng comincerà a sfornare i primi "laureati" in Kung fu (ci vogliono dai sei agli otto anni per diventare un buon professionista) e si prevede che allora il totale degli studenti si aggirerà attorno ai 15.000. "Sarà Deng Feng a fornire all'intera Cina i maestri di Kung fu", dichiara con orgoglio Wu Chende, della commissione provinciale per lo sport. Che cosa ha a che fare tutto questo con il monastero Che cosa con i monaci? "Le arti marziali non hanno bisogno del buddismo per vivere", dice Wang, dell'ufficio Esteri. "I monaci si occupino della religione ché noi ci occupiamo dello sport." In verità, gli undici monaci che vivono ora nel complesso di Shaolin non sono neppure liberi di occuparsi della religione perché lo Stato, che incoraggia e finanzia la rinascita del Kung fu, non incoraggia affatto la rinascita del buddismo, anzi non la vuole. Il monastero di Shaolin è ora controllato da tre unita diverse (l'ufficio per i Beni Culturali, l'Associazione patriottica buddista e... l'ufficio per i Parchi e i Divertimenti): tutte tre le unità sono sotto il controllo del Partito e i monaci che vivono di nuovo nel tempio non hanno il permesso di fare proseliti, di insegnare la religione, o di scegliere i loro discepoli. "Molti giovani sono venuti qui perché volevano diventare monaci, ma abbiamo dovuto rifiutarli" , afferma l'abate De Chan. "Solo lo Stato può fare questa scelta, e allo Stato piacciono coloro che hanno una buona motivazione e buona faccia." Negli anni passati quattordici novizi sono stati reclutati dallo Stato per il monastero: tre sono stati mandati a studiare il buddismo a Nanchino, gli altri lavorano come assistenti dei vecchi monaci. Quello assegnato a De Chan è zoppo e tonto, e sembra che lo Stato lo abbia mandato qui perché non sapeva altrimenti che farsene. "I vecchi monaci stanno morendo e ce ne occorrono di nuovi per tenere in vita Shaolin", dice in tutta onestà un funzionario della provincia. Ovvio: il monastero è un elemento indispensabile per la rinascita e lo sfruttamento dei Kung fu, sia come sport sia come attrazione turistica; ed è per questo che Shaolin è stato riaperto, che sono stati fatti investimenti e che i vecchi monaci sopravvissuti alla Rivoluzione Culturale sono stati riportati qui a far da comparse su questo palcoscenico rimesso a nuovo. L'ultimo ad arrivare è stato l'abate Hai De, ottantaquattro anni, famoso perché da giovane era capace di restare in aria appoggiandosi solo con due dita per terra e perché da sessant'anni a questa parte non ha mai dormito in un letto, bensì seduto come, nella sua caverna, fece Da Mo, che 1400 anni fa creò questa inseparabile combinazione di Kung fu e di meditazione. Ora, questa tradizionale unità di meditazione e azione è finita proprio qui dove nacque. Buddismo e Kung fu debbono per forza avere un destino diverso. Seduto sul suo letto, l'abate De Chan si accarezza le lunghe sopracciglia e, guardando nel vuoto, sorride come ci scoprisse cose che io non riesco a immaginare: "Il futuro dei buddismo, con i miei occhi, non riesco a vederlo, ma vedo quello del Kung fu. Ce l'ho tutto attorno". Accanto alle mura rosso-sangue del tempio, squadre di operai - patrioti stanno tirando su le pareti di una palestra di Kung fu, mentre altri scavano le fondamenta di un nuovo albergo per turisti.

     

    Tratto da "La porta proibita" di Tiziano Terzani, ed. Longanesi

    *Questo reportage risale al 1984

    Altra favola è quella secondo cui dall'incendio della biblioteca del monastero si sarebbero salvati numerosi testi oggi custoditi dai monaci ecc ecc… Dall'incendio del 1928 e dalla successiva distruzione sistematica della cultura cinese operata durante la rivoluzione culturale, si è salvato pochissimo: qualche scrittura buddista, qualche testo di medicina e, tra i testi storici e tecnici, i più rilevanti sono "Shaolin Si Wénjiàn" (Documenti sul tempio Shaolin) e "Shaolin Si Wu Gong Wénjiàn" (Documenti sulle arti marziali del tempio Shaolin) i quali descrivono le vicissitudini storiche del monastero, l'origine e le caratteristiche dei vari stili, ma non sono assolutamente manuali da cui qualcuno avrebbe potuto recuperare stili e forme antiche. E' curioso ad esempio notare come in questi testi si parli diffusamente dell'origine del Wu Xing Quan e del Tang Lang Quan, e come questi stili oggi esistano a Shaolin solo in forma moderna: l'ennesima dimostrazione eclatante che oggi, in ciò che viene praticato e diffuso dai monaci, le uniche cose autentiche rimaste sono solo ed esclusivamente i nomi di qualche stile e forma, sicuramente tratti dai testi sopra citati per dare a tutto una parvenza di autenticità.

    Per inciso, i più antichi volumi prettamente tecnici presenti e custoditi oggi a Shaolin, includono centinaia di forme e, come si apprende dalla biografia di Shi De Chan citata in precedenza, vennero compilati negli anni '80 successivamente all'opera della commissione di cui sopra, pertanto la loro attendibilità ed il loro valore storico è pari a zero.

    Va anche sottolineato come anticamente i "manuali" relativi alle CMA, non solo Shaolin, fossero compilati dai maestri per i propri allievi sottoforma di "poemi" in modo da contenere valide istruzioni per chi aveva studiato gli stili a cui si riferivano e risultare allo stesso tempo incomprensibili ed inutilizzabili per chiunque altro ne fosse entrato in possesso: i "manuali segreti" con disegnetti ed istruzioni tramite cui chi li trova impara dal nulla stili perduti, sono fantasie dei film di Hong Kong anni '70 …e di Shaolin dagli anni '80 in poi.

     

    Concludendo, preciso che sono di origine cinese, sono stato più volte e per lunghi periodi di studio a Shaolin - Deng Feng, ho studiato e pratico sia lo Shaolin dei monaci che le principali correnti laiche, non insegno e non ho attività legate alle CMA, pertanto non ho alcun interesse personale a promuovere o screditare una cosa piuttosto che l'altra.

     

    Alla luce di tutto quanto sopra, mi sembra palese che eventualmente l'ignoranza o la malafede finalizzata a denigrare gli altri per vendere meglio il proprio prodotto risiedono da un'altra parte, magari a casa di chi nella vita ha visto e praticato solo wushu moderno e, dopo essere stato un paio di volte a Shaolin, si atteggia a grande esperto cercando di colmare evidenti ed abissali lacune di conoscenza o di nascondere una scomoda realtà con favole proposte con arroganza e presunzione come se fossero verità inconfutabili.

    Questo mio intervento vuole essere unicamente la dimostrazione che chi esprime dei dubbi sull'autenticità dell'odierno monastero di Shaolin, delle attività legate ad esso e dei suoi monaci, lo fa con cognizione di causa e non certo per ignoranza od interesse: ripeto, ognuno è comunque libero di credere a ciò che vuole, ma chi propone qualcosa come "verità", invece di farlo basando tutto su luoghi comuni e slogan propagandistici ed etichettando come ignoranti od opportunisti gli altri dimostrando oltretutto profonda maleducazione, alla faccia del chan che qualcuno afferma non solo di conoscere e seguire ma addirittura di insegnare, farebbe meglio a fondare le proprie affermazioni su dati reali e concreti, e se non è in grado di farlo, farebbe meglio a tacere e riflettere.

     

     


  11. Esatto, la penso esattamente come voi. :arigatou:

     

    Personalmente ritengo che per "depurare" il mondo delle Arti Marziali dalle pratiche fasulle - che lo siano dal principio o che lo siano diventate in seguito - l'aspetto della pratica libera, il combattimento insomma, dovrebbe essere valutato meno severamente. Molto spesso si legge di maestri che guardano con occhio schifato al combattimento libero, come se fosse una contaminazione della pratica.

    Ma se si tratta di Arti Marziali, quindi di Marte, quindi della guerra... come si fa a non considerare il combattimento non solo parte integrante, ma anzi componente fondamentale della disciplina?

     

    Se poi uno è interessato alla propria Arte solo dal punto di vista storico, filosofico, eccetera, allora certamente dovrebbe essere libero di praticarla solo negli ambiti che gli interessano. Ma non vedo perché si debba 'schifare' il combattimento.

     

    Altrettanto spesso si possono vedere, nei video di combattimento libero di uno stile di AM, movimenti e "principi" che hanno ben poco a che vedere con quello che viene praticato nel kata o comunque nell'allenamento controllato. Personalmente ritengo tutto questo molto strano: è un po' come (paragone totalmente improvvisato e probabilmente poco calzante) fare mille sforzi per comprare una barca a vela e poi farla andare a remi :vecchiocinese:

     

    Ops... mi rendo conto di essere andato molto OT, forse sarebbe meglio aprire una discussione a parte sull'argomento.


  12. Non ho le competenze personali per esprimere sentenze, ma conosco chi le ha, e li cito:

    Purtroppo il mondo della arti marziali a Shaolin è scomparso da molto tempo, rimpiazzato da una versione circense-commerciale.

    Per chi volesse ulteriori chiarimenti posso rimandare a chi ne sa molto più di me :arigatou:


  13. Mi scuso per il doppio post.

    Facendo qualche ricerca, mi sono imbattuto in un forum di Aikido dove viene discussa la veridicità storica di questa famosa Ogawa Ryu.

    In realtà la discussione si snoda intorno a dei punti importanti di un'ALTRA discussione, proveniente dal forum di E-budo.

    Non so se il regolamento permette dei link a forum esterni, nel dubbio non lo metto e vi dico in due parole quel che è saltato fuori:

     

    Un loro ex-studente di vecchissima data, poi slegatosi, ha assistito a tutto il processo di creazione della Ogawa Ryu. Sì, creazione: il loro maestro si presentò inizialmente come maestro di Daito Ryu, per poi aggiungere altre discipline, modificare via via il nome sia della scuola che delle varie arti praticate, e correggere la storia della scuola ogni volta che gli venivano fatte notare delle incongruenze da persone in cerca di chiarimenti.

    Viene inoltre raccontato lo strano clima del dojo, con una estrema formalità ed una semi-adorazione verso il maestro, in presenza del quale bisogna stare zitti in seiza e evitare contatto visivo... insomma cose assai inquietanti.

     

    Conclusioni: lo stile è inventato, partendo dal Daito Ryu Saigo-ha ed integrando di tutto un po', addirittura cerimonia del tè (in cui un altro utente, praticante di cha-no-yu, nota svariati errori). Nonostante ciò, fra i praticanti "fake" sono di gran lunga i più preparati e abili sulla piazza.


  14. Ho diversi video di questa famosa "ogawa ryu" fra i preferiti.

    Sinceramente dubito molto della sua discendenza, ma nonostante ciò, apprezzo notevolmente il loro lavoro in quanto mi sembrano molto preparati.

    Ad occhio e croce dovrebbero avere un curriculum vastissimo (cosa che aumenta i dubbi sulla veridicità storica).

    Oltretutto pare che all'inizio si firmassero come Ogawa Ryu, per poi cambiare nome in Kaze no Ryu - Ogawa ha.

     

    Insomma, tirando le conclusioni credo che sia una scuola con un bel po' di rimaneggiamenti ed aggiunte moderne, ma che comunque fornisce un'ottima preparazione (anche se non credo che pratichino combattimento libero).


  15. Non posso che dirmi d'accordo! :)

    Avrei inoltre da dire una cosa riguardo al chanbara: per quanto ho potuto vedere, perché un colpo sia considerato valido è necessario solamente toccare l'avversario. Non si necessita di un colpo caricato, né di un movimento che possa in effetti 'tagliare', né di nient'altro: basta toccare.

    Questo, a mio avviso, svaluta enormemente la pratica di una qualsiasi disciplina, falsandone i contenuti.

    Ricordo addirittura di aver visto un video dove un praticante di chanbara vinceva su un altro perché il suo colpo, pur essendo stato parato, a causa della flessibilità del tubo toccava il braccio dell'altro praticante...

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

Come associarsi ad I.N.T.K.:

Potete trovare QUI tutte le informazioni per associarsi ad I.N.T.K..
Associandovi ad I.N.T.K. accettate in maniera esplicita il Codice Etico e lo statuto dell'associazione ed avrete accesso ad una serie di benefici:
- Accesso alle aree riservate ai soci del sito e del forum;
- Possibilità di partecipare agli eventi patrocinati dall'associazione (ritrovi, viaggi, kansho, ecc...);
- Riceverete il bollettino trimestrale dell'Associazione.

"Una singola freccia si rompe facilmente, ma non dieci frecce tenute assieme."

(proverbio popolare giapponese)

×
×
  • Crea nuovo/a...

Informazione importante

Si prega di accettare i Termini di utilizzo e la Politica sulla Privacy