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Kikuyo

Eroi O Kamikaze? Il Giappone

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Riporto questo interessante reportage di PHILIPPE PONS,

Giornalista, fotografo e scrittore, Pons è il corrispondente di 'Le Monde' in Giappone

 

Eroi o kamikaze? Il Giappone

ci ripensa

 

La propaganda imperiale non fa più presa: erano soltanto dei ragazzi

 

di Philippe Pons

 

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CHIRAN

Sono pochi quelli che accennano un sorriso. Hanno tra i 17 e i 28 anni. La maggior parte indossa un casco d’aviatore e occhiali sulla fronte. Alcuni sono in tenuta da sottufficiali. Moriranno e lo sanno. Un migliaio di fotografie, in posa, occupano le pareti della prima sala del museo della pace alla memoria «dei piloti-suicidi» nella piccola città di Chiran, a sud di Kyushu, dove si trovava una delle loro basi.

 

Una poesia prima dell’attacco

Di tutte le età, silenziosi, i visitatori osservano i volti di questi adolescenti, si avvicinano alle didascalie per leggere i loro ultimi messaggi o le loro ultime poesie scritte a mano con cura e lasciano spazio all’immaginazione guardando i loro oggetti: mascotte in chiffon e un «tessuto ai mille punti» porta fortuna accompagnavano chi aveva ricevuto il «foglio rosso»: l’ordine di partire al fronte. In una fotografia si vede un gruppo di cinque giovani piloti dall’aria allegra. Uno di loro tiene per il collo una donna che potrebbe essere sua madre e si chiama Tome San. Aveva in città un piccolo bistrot ed era un po’ la madre di tutti: davanti a lei non avevano paura di avere paura. Alla vigilia della loro partenza, un giovane pilota le scrisse un messaggio d’addio: «Ti dono la mia giovinezza». «Fino alla sua morte, a 89 anni, Tome San se l’è ricordato: è per questo che ho potuto vivere così a lungo...». Poco prima della sconfitta, un altro gli aveva detto che sarebbe ritornato trasformato in una lucciola. In futuro, Tome San avrebbe chiamato il suo piccolo bistrot «Locanda delle Lucciole».

 

La retorica del super-patriota

Il piccolo museo di Chiran suscita un interesse nuovo nei giapponesi. Un lavoro di memoria, ancora traboccante e troppo a lungo allontanato, ricomincia. Libri e pellicole hanno inoltre cercato di scovare gli uomini dietro i soldati. Ricostruire l’immagine del «super patriota»: il kamikaze («vento divino», in riferimento alle burrasche che fermarono l'invasione mongola del XIII secolo). Ammirati per il loro coraggio, i piloti-suicidi sono sempre più considerati come giovani sacrificati a una causa persa. È il caso del film tragicomico «The Winds of God: Kamikaze» (titolo in inglese), uscito nell’estate 2006, che Masayuki Imai ha scritto prendendo spunto dall’opera teatrale «Reincarnazione» della fine degli Anni ‘80. «L’operazione kamikaze è stata disumana: erano giovani normali mandati a morire», spiegavano all’uscita del film.

 

«Nulla a che fare con gli arabi»

La ricostruzione della figura del kamikaze è stata stimolata dagli attentati dell’11 settembre. Sono molti i giapponesi che si sono indignati per l’appropriazione della parola «kamikaze» al di fuori del contesto storico e culturale. «Quest’omologazione è insensata», insorge Iwao Fukagawa, che a 21 anni comandava una piccola unità di kamikaze: «I terroristi agiscono per odio e prendono di mira civili. Noi eravamo soldati che eseguivano un ordine e i nostri obiettivi erano militari». Iwao è sopravvissuto solo perché la sconfitta è arrivata prima dell’ordine di partire. Quasi 10.000 giovani morirono in queste operazioni. Eppure nel codice d’onore del guerriero non c’è traccia della tradizione di attacchi-suicidi. Lo Stato maggiore ricorse a questa tattica alla fine del 1944, quando la guerra iniziò ad andare male. La maggior parte delle forze navali e aeree era stata distrutta a Leyte, alle Filippine. È là, il 20 ottobre 1944, che i kamikaze fecero la loro comparsa. I soldati erano arrivati per combattere fino alla fine e preferivano una «morte d’onore» alla cattura: era la prima volta che piloti ricevevano l’ordine di gettarsi sul nemico. I kamikaze si moltiplicarono tra aprile e giugno 1945, in occasione della battaglia di Okinawa. Più di 3.000 presero parte e praticamente tutti morirono. Il tasso di successo fu misero: appena il 10 per cento raggiungeva l’obiettivo. «I piloti avevano talvolta meno di 100 ore di volo - ricorda Iwao Fukagawa - Spesso, i loro apparecchi erano “bare volanti”, in cattivo stato e senza abbastanza combustibile per il rientro».

 

Shigeyoshi Hamazono, un sopravvissuto, non nasconde il rancore covato verso i capi che non partivano: ricorda, nel quotidiano Asahi Shimbun, che dirigendosi verso il suo apparecchio, il 6 aprile 1945, bevve del sakè dalla bottiglia e si mise ai comandi urlando: «Banda di c...». Ai sopravvissuti spettava un altro calvario: mandati in un campo di rieducazione «sopportavano le umiliazioni peggiori», racconta Kenichiro Onuki, che passò i mesi più orribili della sua vita con un centinaio di altri compagni in uno di questi centri, a Fukuoka. Avevano dato la loro vita e, poiché per miracolo l’avevano conservata, venivano privati della dignità. Gli ultimi messaggi dei giovani piloti di Chiran o le prove dei rari sopravvissuti restituiscono un’immagine ben diversa da quella di fanatici. Indubbiamente vi erano alcuni illuminati, ma la grande maggioranza partì perché non aveva scelta. «Ci confortavamo cullandoci nell’idea che quanto meno saremmo stati degli eroi», annota uno di loro nel suo diario. Secondo Hideo Den, sopravvissuto, «era la disperazione che ci faceva andare avanti». Volontari? «Credevamo di esserlo. In realtà, eravamo stati scelti ed era impossibile sfuggire. La pressione sociale era troppo forte», dice Iwao Fukagawa.

 

La metafora del fior di ciliegio

Come la Germania nazista amava Wagner, il Giappone imperiale mise al servizio della sua ideologia l’estetica del fiore di ciliegia, simbolo dello «spirito giapponese». Le prime unità di kamikaze furono battezzate con nomi che evocavano i fiori di ciliegia, i cui delicati petali sono portati via dalla brezza: così doveva comportarsi l’uomo di fronte alla grandezza dello Stato. Dopo la sconfitta, il Giappone si liberò dei kamikaze come di un fastidio. Alcuni, dispersi in una società in rovina che li rinnegava, diventarono dei delinquenti. «Avevano 20 anni e avevano imparato a morire, non a vivere - spiega Iwao Fukagawa - altri si sono fusi nell’anonimato».

Chiusi in loro stessi

I giovani piloti erano, per la maggior parte cadetti o studenti soldati. Prima di partire, dovevano scrivere un testamento ufficiale ed evocare la «grande causa» per cui andavano a morire. Ma negli ultimi messaggi alle famiglie, che affidavano di nascosto ai giovani dipendenti della base, non c’era traccia di enfasi. «Non è vero che voglio morire per l’imperatore... Ma è stato deciso così per me», scrive uno di loro. E aggiunge che i suoi compagni non avevano che un desiderio: tornare a casa. Una volta designati, ricorda Shigeyoshi Hamazono, «si chiudevano in se stessi, e i loro compagni non osavano nemmeno andare più a parlare con loro». Morte inutile? «Erano coraggiosi e sinceri. Ed è per questo che bisogna onorare la loro memoria», ritiene Iwao Fukagawa. I diari lasciati dai kamikaze, lunghi soliloqui di domande sul senso della vita, sono infarciti di citazioni di autori giapponesi, di Kant, Rousseau... Alcuni erano idealisti, altri romantici, a volte marxisti. «Che cosa significa patriottismo? Milioni di morti e la privazione della libertà per milioni di altri», scrive Hachiro, morto a 22 anni, nell’aprile 1945. [La stampa.it]

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Grazie Kiku, i tuoi articoli sono sempre interessantissimi.

 

Meno male che ci sono ancora giornalisti che sanno avere obiettività.

La parola kamikaze è stata usata così male che ormai ha perso il suo significato originario.



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Grazie per l'articolo! Riflessioni sacrosante che dovrebbero essere note a chiunque si avvicina alla cultura nipponica. :arigatou:


Mani fredde, schiena curva, odore di pietre bagnate. Questo è il togi.

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Concordo, a me viene da scuotere la testa ogni volta che sento usare il termine kamikaze a sproposito.. I terroristi suicidi islamici andrebero chiamati col loro nome, che se non erro è Shahid...ma tanto si fa sempre di tutta l'erba un fascio, in allegria..


Nel disegno tracciato dall'invisibile nastro divino, tutte le costellazioni crolleranno a una a una con estrema eleganza. D'allora in poi le stelle dimoreranno nella nostra anima, e forse torneranno ancora quei giorni in cui gli uomini erano dolci e meravigliosi come gli Dei.

 

Yukio Mishima

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Complimenti kiku! Grazie di aver postato l'articolo!

Anche a me ha sempre dato fastidio sentir chiamare Kamikaze un terrorista che si fa saltare in aria al mercato..ripugnante..

 

Sono riflessioni davvero importanti quelle contenute nell'articolo...

10.000 ragazzi mandati a morire, schiacciati dalla pressione dello stato, che tirava in ballo l'ormai mitica figura del samurai..pensare che alcuni di loro partivano con il tachi e una copia dell'hagakure...

E'stata devvero una triste faccenda.. come minimo bisognerebbe imparare a rispettarne la memoria

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Attenzione però a non fare di tutta un'erba fascio neppure nella direzione opposta. Se è vero che i soldati non sono tutti eroi non è nemmeno vero che siano tutti demotivati. Molti anni fa parlavo di questa questione con il mio primo maestro di kendo e iaido.

Lui aveva firmato e stava per partire come kamikaze durante l'università. Poi la guerra terminò.

Alla domanda di come si era sentito alla notizia di non dover più partire, lui ci pensò un attimo e poi disse "vergogna". Quindi non sollievo, ma disonore per aver perso la guerra e per non poter aiutare la propria patria.

Oggi concetti come la patria e l'onore sono quasi superati - specie avendo a che fare con democrazie che propongono politici come i nostri - ma ai tempi delle due guerre mondiali le cose stavano diversamente e molti soldati, in tutto il mondo, erano contenti di poter morire per la propria nazione.

Probabilmente ognuno l'ha vissuta a modo proprio, a prescindere dalle propagande nazionalistiche dell'epoca e da quelle pacifiste di oggi...


______________________
Giuseppe Piva
www.giuseppepiva.com

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Attenzione però a non fare di tutta un'erba fascio neppure nella direzione opposta. Se è vero che i soldati non sono tutti eroi non è nemmeno vero che siano tutti demotivati. Molti anni fa parlavo di questa questione con il mio primo maestro di kendo e iaido.

Lui aveva firmato e stava per partire come kamikaze durante l'università. Poi la guerra terminò.

Alla domanda di come si era sentito alla notizia di non dover più partire, lui ci pensò un attimo e poi disse "vergogna". Quindi non sollievo, ma disonore per aver perso la guerra e per non poter aiutare la propria patria.

Oggi concetti come la patria e l'onore sono quasi superati - specie avendo a che fare con democrazie che propongono politici come i nostri - ma ai tempi delle due guerre mondiali le cose stavano diversamente e molti soldati, in tutto il mondo, erano contenti di poter morire per la propria nazione.

Probabilmente ognuno l'ha vissuta a modo proprio, a prescindere dalle propagande nazionalistiche dell'epoca e da quelle pacifiste di oggi...

 

 

Non posso che condividere le tue parole...


<!-- isHtml:1 --><!-- isHtml:1 --><em class='bbc'>Insisti, Resisti e Persisti...Raggiungi e Conquisti!<br /><img src='http://www.intk-token.it/forum/uploads/monthly_11_2008/post-34-1227469491.jpg' alt='Immagine inserita' class='bbc_img' /><br /></em>

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Probabilmente la vita come la morte, o piu' precisamente la visione della stessa, è tutto una questione di punti di vista personali

ifluenzati, piu' o meno massivamente, dal momento storico in cui la propria vita si svolge.

Il budda ha detto che ognuno deve trovare la propria personale visione delle cose e non farsi influenzare dalle opinioni

comuni, comprese quelle dei parenti e degli amici piu' stretti, o dalle ideologie del presente.

Andare contro l'imprinting educativo e visionario ricevuto è comunque sempre difficile, e lo è particolarmente in epoca di regimi

e nazionalismi autoritari come è stato il giappone del passato.

Ma di una cosa si puo' star certi; e cioe' che la storia si ripete ciclicamente, seppur con diverse sfumature.

Eroi o Criminali ? Era un loro punto di vista, è un nostro punto di vista. Loro in regime e in epoca di guerre noi in democrazia

e in epoca di pace. Facile è guardare e commentare, difficile è vedere e capire.


Giuro sul mio Onore di Cintura Nera; di Preservare anziché Distruggere; di Evitare lo scontro anziché Confrontarmi; di Confrontarmi anziché ricevere del Male; di fare del Male anziché Storpiare; di Storpiare anziché Uccidere; di Uccidere anziché di Morire; di Morire anziché disonorare la mia Cintura.

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concordo pienamente con giuseppe e gli altri e ringrazio Kiku per averci offerto la lettura di questo articolo.

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Il Giappone già ad Aprile del 1945 era un paese devastato, eppure trovò le forze per continuare a combattere. Concordo con Giuseppe Sensei quando parla dell'onore e della patria ma, devo anche dire che se il Giappone avesse seguito diverse politiche durante alcuni periodi della Guerra avrebbe ottenuto molto di più per se se stesso e per il suo Popolo, invece di ritrovarsi ad essere il paese più martoriato di sempre in una guerra.

Ciononostante onore a chi combattè fino al 15 di Agosto :arigatou:

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