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Rinnovo/Iscrizioni N.B.T.H.K. Italian Branch 2024

La Branch italiana è un piccolo organismo, sostenuto dall’impegno e dalla passione di pochi, ma risulta molto importante per lo sviluppo dei nostri studi sulla token. Vi esortiamo a prendere in considerazione l’idea di far parte di questo gruppo, non solo per progredire nello studio ma anche per diventarne sostenitori attivi. Oltre ad essere economicamente vantaggioso per chi vuole essere socio N.B.T.H.K., permette di avere un contatto privilegiato con la Sede Centrale a Tokyo, dando l'accesso a canali di studio altrimenti impensabili per un occidentale, come accaduto durante l'ultimo Special Meeting.
Chi è interessato e desidera avere maggiori informazioni, che sia già Socio INTK o meno, può contattare il Presidente Gianluca Venier entro il 20 marzo direttamente via email: nbthk.italianbranch@gmail.com

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Cari amici come da titolo del treath vi do una piccola anteprima del lavoro di traduzione di "In the dojo" che sto facendo assieme all'amico Luca. E ' un estratto del capitoli dedicato alle armi .Poichè trattasi di lavoro ancora da limare, ancora troppo letterale, non consideratelo come testo definitivo

.........Non importa di che forma siano queste armi – e nel menzionare bokuto, shinai e jo, abbiamo citato solo le più comuni; ce ne sono dozzine di tipi – abitualmente custodite in rastrelliere, o kake, affisse ai muri del dojo. Fuori del Giappone, queste rastrelliere si trovano anche sulla parete di shomen, a fronte dell'entrata. Non dovrebbe essere così. Come detto nel capitolo sul kamidana, la parete frontale del dojo è uno spazio speciale; dovrebbe essere sgombra e non dovrebbe esserci nessun andirivieni di allievi che prelevano o ripongono le armi usate per la lezione. Questi supporti dovrebbero essere dislocati lungo i muri laterali o sul muro opposto a Kamiza. In alcuni dojo, vigono regole specifiche sulla collocazione delle armi nelle rastrelliere. Esistono delle varianti, come varie sono le motivazioni che le originano. In alcuni luoghi, l'impugnatura dell'arma è orientata in modo da essere più vicina a chi si avvicina alla rastrelliera o proviene dall'entrata. La ragione, in questo caso, è la praticità d'uso di una tale disposizione. In altri dojo, la regola è opposta. La presa della spada o di qualunque arma sarà posta lontano dall'entrata o dal verso di avvicinamento alla rastrelliera e la ragione, storicamente, risale alla guerra civile giapponese, durante la quale si voleva evitare che un intruso avesse prontamente a disposizione un'arma all'entrata del dojo. Notate qual è l'uso in auge nel vostro dojo e conformatevi. E non preoccupatevi troppo che qualcuno piombi dentro e crei scompiglio con un'arma afferrata entrando. Non capita spesso nei dojo di oggi.

 

Se non ci sono rastrelliere, le armi vanno lasciate sul pavimento, disposte lungo i muri per tenerle lontane da dove si cammina e per evitare che qualcuno le calpesti. Questo sembra semplice buonsenso. Ma, se si usa un'arma e non si è prudenti, la si lascia nel bel mezzo del pavimento nelle pause dell'insegnamento o mentre ci si scambiano i ruoli di attaccante e difensore, presto o tardi qualcuno finirà con l'inciamparci sopra. Quando deponete un'arma ai margini del pavimento o dell'area di allenamento, assicuratevi che la punta, se si tratta di una lama, eviti di puntare la parete principale.[1] La maggior parte delle volte, sarà lo studente a provvedersi delle proprie armi. Esse vanno considerate "sue, " e non dovrebbero essere toccate senza il suo permesso. Una spiegazione era che "la spada è l'anima del samurai" ed era da tenere in conto come un'estensione della sua persona, e quindi il bokuto e le altre armi da addestramento sono considerate estensioni del proprietario o come un simbolo quasi sacro. Esistono dojo, può darsi in buona fede, ma nondimeno pretenziosi nelle loro applicazioni, che hanno rituali complessi per avvicinarsi alle rastrelliere delle armi, come rivolgere ad esse un saluto formale, o cose di questo genere. Questo è un nonsenso intriso di romanticismo. Le spade erano utensili. Esse erano, proprio come le sgorbie o la sega per il carpentiere, i dogu per il lavoro di samurai. Erano, comprensibilmente, di importanza critica, dato che la vita dei proprietari dipendeva da esse. Come il soldato moderno non vorrebbe che nessuno maneggiasse il suo fucile, il samurai voleva essere sicuro che la sua arma fosse in buone condizioni ed efficiente, e poteva riuscirci meglio se si assicurava di essere l'unico a toccarla. Il suo interessamento al riguardo era quindi più pratico che spirituale. In ogni caso, è comunque importante che il Giappone ha una lunga storia nell'attribuire qualità speciali ai dogu d'ogni sorta, e quest'atteggiamento si accentua nel caso delle armi.

 

Durante il lungo periodo feudale giapponese, un samurai che camminasse per una strada affollata poteva essere immediatamente sfidato anche solo per aver permesso al fodero della sua spada di urtare l'arma di qualche altro guerriero. Toccare una spada o qualunque altra arma senza permesso era una grave infrazione dell'etichetta. Ed è vero che esistevano prescrizioni su maniere e comportamenti nel maneggiamento della propria spada che a noi potrebbero sembrare un poco esagerati. Quando un samurai era impegnato nel pulire e lubrificare la propria spada, ad esempio, poteva reggere un foglio di carta tra i denti per impedire che l'umidità del respiro potesse anche solo leggermente inumidire la spada, rischiando di macchiarla di ruggine. Quindi, per dare la giusta prospettiva alla questione delle armi nel dojo, dobbiamo apprezzare il bilanciato rapporto tra le qualità pratiche e quelle spirituali che esse rappresentano. Il perché sia così nel budo, e come questo differisca in qualche misura dall'attitudine verso gli utensili che esiste in Occidente, è cosa interessante.

 

Se tracciamo una linea temporale, manca il punto definito in cui, ad un certo punto della rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo, in Occidente scompare del tutto il concetto di utensile come oggetto estetico. Prodotti in catena di montaggio ed in massa, tutti gli oggetti, dal martello alla penna per scrivere, persero la loro individualità. Si perdette l'unicità personalizzata che esisteva negli oggetti prodotti singolarmente, spesso dal loro possessore, o prodotti tenendo conto delle sue peculiari necessità. Coloro che usarono questi prodotti di serie, parimenti, persero il senso di empatia e l'affezione per i loro utensili. Il pioniere Americano, per esempio, dava una considerazione al suo fucile a pietra focaia che suo nipote, minatore nelle miniere di carbone della Pennsilvanya, non poteva certo tributare al suo piccone. In Giappone, in misura notevole, questa transizione da dogu, con tutte le peculiari caratterizzazioni che la parola comporta (letteralmente dogu, tradotto, significa "un utensile per la Via"), non avvenne fino ai tempi moderni. Ciò accadde perché il Giappone non sperimentò l'esteso cambiamento causato dalla rivoluzione industriale se non dopo la Seconda Guerra Mondiale. In più, il "Giappone feudale", fra le altre cose, fu un periodo di due secoli di celebrazione dell'artista e dell'artigiano, perciò gli utensili godettero di una posizione all'interno della cultura che non ha riscontri nel resto del mondo. Tutto questo, naturalmente, si applica al dogu, l'utensile del guerriero. Negletti dal processo di produzione di massa che li avrebbe spogliati delle loro qualità individuali, e con una popolazione in larga parte rurale che esprimeva di continuo una varietà di bisogni, gli attrezzi giapponesi rimasero per secoli prodotti fabbricati a mano. I dogu hanno rappresentato un solido ponte tra arte e utensile, a cavallo tra estetica e utilità.

 

Il Giapponese ha risposto a questo collegamento investendo sentimento in questi oggetti usualmente piuttosto ordinari, il che rivela uno degli aspetti più straordinari della cultura giapponese. Non sorprende che questo sentimento fosse drammaticamente evidente nelle armi della classe dei samurai. Fin dal primissimo periodo in cui si forgiarono spade in Giappone, fu coinvolto nel processo un che di religioso e spirituale. La fucina è invariabilmente dotata di un kamidana Shinto esattamente del tipo descritto nel capitolo che tratta di quel tema. I fabbri continuano a sottoporsi ad abluzioni e pregano prima di mettersi all'opera. Nella loro manifattura c'è, in qualche caso, qualcosa di mistico. Ma, pur se abbandoniamo leggende apocrife e superstiziose o rivendicazioni pseudo – magiche, dobbiamo essere consci del ruolo del ruolo giocato dalle spade e dalle altre armi, e ci rendiamo conto che questo ruolo non era interamente pratico.

 

La presenza di armi in un dojo dovrebbe indurre una sobria consapevolezza del pericolo insito in tutto il budo. Non importa che le armi siano affilate o siano semplici versioni lignee. Battete bruscamente il vostro indice sul tavolo: non causerà danni e, a meno che non abbiate il misterioso potere del "tocco della morte", non infliggerà ingiuste e dolorose ferite a nessuno. Ma pensate per un momento a cosa avrebbe potuto provocare la stessa piccola forza sul vostro polso o sul pollice se applicata, per esempio, attraverso un bastone di tre piedi. Le armi moltiplicano enormemente la forza e la velocità dei movimenti. Anche esercitato senza di essi, il budo può essere pericoloso. Quando si aggiungono le armi all'allenamento, bisogna essere sempre vigili e considerare che possono provocare danni seri. Oggi, molti budoka non sono così meticolosi come i samurai d'un tempo riguardo ai loro buki. Bisognerebbe invece che continuassero a trattare le loro armi con considerevole cura e, se sono seri praticanti della loro arte, è naturale che attribuiscano alle loro armi qualità che vanno ben oltre quelle di un oggetto normale. Potrebbe trattarsi in parte di superstizione, in parte di senso estetico e, sì, in parte anche di spiritualità. In tutti i casi, questo accade alle armi presenti nel dojo, e la tradizione dovrebbe essere rispettata.

 


[1] L'arma può essere quindi disposta con la punta in direzione parallela od opposta a Kamiza (N.d.T.)

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...uuuuhhmmmm, gia' mi piace... :ok: attendo fiducioso :popcorn:

 

PS: bel lavoro, complimenti!

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bello molto interessante.


"come le belle donne, anche le spade, ad un certo punto si stancano di essere solo osservate"

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La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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