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Rinnovo/Iscrizioni N.B.T.H.K. Italian Branch 2024

La Branch italiana è un piccolo organismo, sostenuto dall’impegno e dalla passione di pochi, ma risulta molto importante per lo sviluppo dei nostri studi sulla token. Vi esortiamo a prendere in considerazione l’idea di far parte di questo gruppo, non solo per progredire nello studio ma anche per diventarne sostenitori attivi. Oltre ad essere economicamente vantaggioso per chi vuole essere socio N.B.T.H.K., permette di avere un contatto privilegiato con la Sede Centrale a Tokyo, dando l'accesso a canali di studio altrimenti impensabili per un occidentale, come accaduto durante l'ultimo Special Meeting.
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Hyoho Niten Ichi Ryu

Bushidō ed errori

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Ed ecco un altro dei miei pensieri notturni. :arigatou: Stavo, appunto, riflettendo su quanto sia, a mia modesta opinione, necessario sbagliare per migliorarsi anche moralmente. Il Bushidō è una filosofia di vita e un codice di condotta davvero interessante, se non fosse che sembra che non ammetta errori. Il disonore portava, nel migliore dei casi, a una morte onorevole.

La mia è un'impressione stereotipata o era davvero un codice di condotta tanto intransigente?


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più in alto che mai.

 

Soseki

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Ciao Hyōhō Niten Ichi Ryū. Il tuo quesito è senz’altro interessante. Quello che oggi noi chiamiamo Bushidō, altri non è che un concetto nato dopo la scomparsa della classe samuraica. Il famoso libro del professor Nitobe, scritto tra l’altro in lingua ingelse e pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti agli inizi del XX Secolo, aveva sostanzialmente due scopi: mostrare all’occidente che anche in Giappone era presente un codice cavalleresco simile a quello di stampo europeo (nonostante in quello nipponico l’influenza religiosa sia ridotta al minimo) e dare al popolo giapponese un codice morale da seguire, sul cui modello si sarebbe dovuto sviluppare uno stato moderno, forte ed indipentente. Nonostante la parola bushidō appaia in testi come il “Kōyō Gunkan” del periodo Azuchi-momoyama e nel “Buke Jiki” di epoca Edo, essa aveva un significato diverso rispetto a quello attuale. Anche il famoso “Hagakure” era un codice di comportamento per i samurai del feudo di Saga, e dunque ben lungi da essere una dottrina seguita a livello nazionale.

 

La storia militare giapponese, volendo analizzarla dal periodo Kamakura alla fine della guerra del Pacifico, è costellata di errori, tradimenti e tutta quella serie di contraddizioni proprie dell’essere umano. Basti considerare che, ad esempio, due dei più importanti tesi di etica di epoca Tokugawa giudicano in maniera totalmente differente la vendetta dei guerrieri di Akō: in uno sono presi a modello di fedeltà ed esempio da seguire, nell’altro vengono additati come traditori per aver infranto il divieto del bakufu che gli impediva di uccidere il loro nemico. Molte volte l’immaginario collettivo ci porta ad idealizzare figure ben diverse da quelle che la storia ha conosciuto. :arigatou:

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La storia militare giapponese, volendo analizzarla dal periodo Kamakura alla fine della guerra del Pacifico, è costellata di errori, tradimenti e tutta quella serie di contraddizioni proprie dell’essere umano. Basti considerare che, ad esempio, due dei più importanti tesi di etica di epoca Tokugawa giudicano in maniera totalmente differente la vendetta dei guerrieri di Akō: in uno sono presi a modello di fedeltà ed esempio da seguire, nell’altro vengono additati come traditori per aver infranto il divieto del bakufu che gli impediva di uccidere il loro nemico. Molte volte l’immaginario collettivo ci porta ad idealizzare figure ben diverse da quelle che la storia ha conosciuto. :arigatou:

 

Buongiorno Sandro e grazie per la pronta risposta. Io sono (ormai più per passione) un cultore della storia militare europea del Medioevo e della prima età Moderna ed ecco, nonostante il codice cavalleresco fosse altrettanto ferreo, in un certo senso vi era la consapevolezza del suo essere un ideale o comunque di non essere applicabile alla vita di tutti i giorni.

Anzi...la guerra medievale era poco abituata alle guerre campali, ma avvezza alle rapine e alle scorrerie. Nel Rinascimento, invece, le battaglie aumentarono, ma l'astuzia e il progresso tecnologico divennero importanti come il valore personale.

 

Conosco la storia e il pensiero nipponico in modo più blando (anche se sarei desideroso di approfondire) e l'unica disciplina da me praticata è il Karate, quindi è probabile che io mi sia fatto delle idee errate in merito. Il primo preconcetto è che il codice comportamentale di chi appartenenza alla classe dei Samurai fosse rigidamente applicato nella vita di tutti i giorni. Ciò non tanto nella guerra in sé, poiché, se non erro, la storia Giapponese è costellata da sublimi imboscate e intrighi politici, quanto piuttosto nel servire il proprio "signore" nel comportarsi dinnanzi agli errori.

Io ho sempre pensato che ci fossero due soluzioni ad un atto disonorevole: il suicidio rituale oppure divenire ronin (è probabile che "Shogun" di Calvell mi abbia influenzato parecchio :confused: ).

Questi miei pregiudizio mi hanno sempre intimorito nell'avvicinarmi a un codice che per il resto è sicuramente molto profondo...nonostante abbia, grazie a te, scoperto che è di recente codificazione :arigatou:


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Soseki

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Voglio proporre una mia visione personale, assolutamente discutibile..

Secondo me il codice morale dei samurai, per assurdo, era molto rigido ma non strettamente legato al bushido o almeno al "bushido" che è giunto fino a noi e per come lo possiamo comprendere noi.

 

Il legame di obbedienza dei samurai al daimyo era sicuramente profondissimo è qualcosa che emerge da tutto il contesto sociale e storico giapponese.

Un concetto comunque che possiamo traslare sul rispetto delle caste e a una fenomenologia di collettivismo che sicuramente è lontano dalla cultura occidentale.

Insomma, non solo il samurai che obbedisce al proprio padrone, ma una intera società che vive e lavora nell'interesse del proprio Han, a favore del proprio signore.

Un concetto che in occidente si vede negli eroi e nei patrioti ma molto meno nella gente comune e praticamente mai fuori da contesti bellici.

 

Forse anche perchè nella storia giapponese, fino a Tokugawa, ogni daimyo era praticamente sempre in guerra con qualcuno...

 

Se aggiungiamo poi una cultura morale e spirituale dove la tutela della vita propria non aveva grande significato rispetto al bene collettivo, ecco che valori che attingono dalla morale pubblica come l'onore ad esempio, assumono a grande importanza tanto da travalicare l'interesse proprio della vita.

 

Credo quindi che il bushido sia nato dal comportamento dei samurai e non che i samurai seguissero una legge dettata dal codice del bushido stesso.

 

Insomma, secondo me, la vera legge a cui si attenevano i samurai ma anche tutte le altre caste di conseguenza e in proporzione , fosse la "appartenenza all' Han" cioè al territorio del proprio daimyo.

Appartenere a un Han significava, ad ogni livello, vivere per esso e il daimyo diventava termine ultimo a cui rivolgersi.

 

Per assurdo poi, i daimyo erano gli unici che incarnando e governando l'han avevano la possibilità di andare oltre e rimanere liberi da tale schema sociale, permettendo a loro di non rimenere legati troppo all'onore e ad altri concetti propri del bushido.

E' forse proprio questo fatto che ha fatto vedere tanti tradimenti e voltafaccia che noi vediamo tanto poco onorevoli, ma di fatto, sono strategicamente corretti e nel pieno interesse dell'han che il daimyo rappresentava.



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Un concetto che in occidente si vede negli eroi e nei patrioti ma molto meno nella gente comune e praticamente mai fuori da contesti bellici.

 

 

Lasciamo dire che questa frase è stupenda.

Quindi, se ho capito bene, tu dici che il vero codice di condotta di un samurai e degli altri appartamenti all'antica società nipponica, era quello di appartenenza all'Han? Ciò ha un senso se consideriamo le guerre in epoca Sengoku.

Rimangono, però, le mie perplessità riguardanti la rigidità con cui venivano visti gli errori dei samurai. Nella mia visione prettamente personale gli errori servono per imparare, per questo non riesco a comprendere una società dove le sconfitte e gli errori erano spesso fonte di un disonore da impedire di vivere.

 

​Poi queste mie considerazioni scaturiscono sempre dalla mia ignoranza, quindi correggetemi se dico qualche stupidata. :arigatou:


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L’analisi fornitaci da Simone è senz’altro ottima, e ci aiuta a comprendere quanto l’argomento in questione possa essere profondo. In effetti, parlare di un un codice di condotta che ha rappresentato una classe guerriera per circa otto secoli ci impone di studiare la storia giapponese in senso più ampio, e di non limitarla ad un determinato periodo storico piuttosto che ad un altro. In effetti, è molto improbabile che il concetto di bushidō di epoca Sengoku possa essere totalmente sovrapponibile a quello di fine epoca Edo. La teoria dell’appertenenza ad un determinato han è sicuramente valida. Ciononostante, se agli odierni giapponesi si domandasse quali siano quei samurai del periodo bakumatsu che più incarnano il bushidō ci verranno elencati probabilmente, tra gli altri, Ryōma Sakamoto, Takasugi Shinsaku e Yoshida Shōin: tutti e tre dei dappan rōshi, ossia dei samurai che avevano abbandonato il loro feudo senza autorizzazione del daimyō. :arigatou:

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Quindi il problema starebbe nel definire cosa s'intende per Bushidō?


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Soseki

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Quindi il problema starebbe nel definire cosa s'intende per Bushidō?

 

"semplicemente" un modus vivendi

 

Lo stare in una Società e per "rispetto del signore" e sopratutto di "te stesso" mettersi al suo servizio.... (perchè ognuno di noi ne è parte integrante ... - una tipa diceva che il mare è fatto di tante gocce.

 

ognuno fa la sua parte (e non sono così pochi come si narra.. è che "i maldestri" fanno più notizia) ma chi resiste fa la sua parte.

Poi stoicamente, nel senso di contesto, anche il valore della propria vita potrebbe essere relativo (vallo a dire al palestinese che si fa esplodere per liberare la sua gente) e tornando al codice .. alla morale comportamentale, anche leggendo qua e la mi pare si trovino esempi illuminati o sfocati in ogni dove.

 

 

Io nel mio piccolo bushido.. non parcheggio nel posto disabili, se non posso sterminarli tutti.. faccio pacatamente la fila alla posta e ....non dico bugie... quando mento.

 

... anche il buon Musashi si racconta leale (nei suoi confronti) e corretto (nel suo intento)

in fondo "il codice o la via" per come ci viene raccontato narra di "parole" dalla metà del 600 e solo quasi mille anni dopo Tsuramoto Tashiro e il suo mentore (il monaco Yamamoto) mette per iscritto ciò che si narava "all'ombra delle foglie", ma come il buon Sandro ci fa notare, è un frammento frammentato .. anche nella sua divulgazione.

Figuriamoci "nel racconto" .. dalle norme comportamentali ai consigli pratici, secondo alcuni o, secondo altri, attraverso una serie di esempi pratici nella comprensione "della morte" .. non quale punto finale di una vita, ma come parte di un percorso che può andare oltre nel momento in cui "ciò" entra appieno nella nostra esistenza, o per dirla alla Musashi: creando il vuoto - dopodiche tutto diviene molto secondario rispetto al fine.

 

 

 

.... forse la domanda andrebbe contestualizzata.

Penso che tutto sommato anche nell'ovest un buon ranger doveva difendere la sua old-city ed affrontare chi si metteva di traverso, altrimenti - se fuggiva dinnanzi ai problemi o agli attacchi dei rancheros, anche lui veniva spodestato e diventava "un ronin-ranger vagabondo", mentre, facendo il suo dovere divenne un eroe.... quando sconfisse la banda dei Clint - o un Valoroso Eroe quando - per difendere la sua cittadina.. con fervido valore e sprezzo del pericolo - veniva trucidato dal secondo Clan di turno.

 

Per un valoroso samurai che vinceva il duello c'è sempre stato un samurai che è morto

così come per un samurai che dava la vita per il suo "signore" ce n'era un altro che la vita al suo signore voleva togliere

 

 

poi ci narrano che taluni erano meglio di talaltri, ma se talaltri avessero vinto, forse, la storia ce la avrebbero raccontata diversamente.

 

E la dura Legge della giu.. -ops- del mondo: Onore ai Vinti (l'importante è "che sia illo a dirlo" ... e non viceversa).

 

 

un abbraccio


Sii immobile come una montagna ...
ma non trattare le cose importanti troppo seriamente.

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Come commentai in un'altra discussione, cosa emerge con evidenza scorrendo la storia giapponese è l'incredibile antinomia tra la fedeltà assoluta dei samurai al proprio signore, spinta quasi sempre all'estremo sacrificio magari proprio per un minimo errore compiuto e la totale inaffidabilità degli stessi signori nelle varie alleanze, con la maggior parte delle grandi battaglie decise da repentini cambi di schieramento ad ostilità già iniziate, con tradimenti e voltagabbana che col Bushido ci azzeccano assai poco. Non riesco a concepire come i suddetti signori e daimyo, allevati ed istruiti come samurai da altri samurai, arrivati al potere buttassero alle ortiche ogni principio per perseguire i propri fini, in un modo così sistematico. Anche i legami familiari a quei livelli mi sembra contassero poco, quando ci si doveva spartire il potere, la famiglia Minamoto docet..... Un altro aspetto della civiltà giapponese che ci deve far riflettere..

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betadine, sappi che ammiro l'applicazione del Bushidō nel tuo "piccolo". :arigatou:

Anche io cerco di applicare una certa morale nella vita di tutti i giorni, perché è quella la realtà dove dobbiamo "esistere", però, purtroppo, qualche volta ho errato. Ed è proprio qui che mi sorge un dubbio: è necessario sbagliare per imparare?

 

... anche il buon Musashi si racconta leale (nei suoi confronti) e corretto (nel suo intento)

 

Comunuque è una bella semplificazione quella hai scritto!


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"è necessario sbagliare per imparare?

 

Bella domanda.

 

(provo a coinvolgervi in un astruso ragionamento)

 

. Non si dovrebbe sbagliare mai se non forse da piccolissimi.

Dal momento che acquisiamo un minimo intelletto e la capacità di lettura possiamo studiare e approfondire praticamente tutto: saper leggere la storia e capire l'inutilità della guerra (ne parlava già anche Omero) e approfondire e approfondire seguire i "maestri" e applicarci e applicarci nello studio come nell'esercizio senza mai "agire" financo non si abbia la certezza del nostro agire.

Possibile?? Forse si

Nella miglior delle ipotesi resteremo immobili fino almeno ai 40 anni.

Nella maggio parte dei casi... avremo avuto veramente dei buoni maestri ??

 

Personalmente ho sempre creduto che quanto prima avessi toppato in quello che stavo facendo (con passione) prima avrei compreso taluni valori/comportamenti erroneamente sottovalutati.

 

Per ricontestualizzare "la via" o bushido ho sempre pensato che ognuno aveva il suo mentore/maestro (o zio) e questo talvolta può aver causato "una eccessiva rigidità" da una o da ambe le parti con conseguente punizione (mi viene da pensare al cilicio o alle punizioni corporali)

Nel mio percorso, pur avendo "delle preferenze" ho cercato molte vite e molti mentori)


Sii immobile come una montagna ...
ma non trattare le cose importanti troppo seriamente.

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Scusate la lungaggine, ma non volevo semplificare troppo.


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Non sei stato per nulla logorroico.

​Sai, anche io la penso come te per quanto riguarda avere molti mentori nella proprio vita. Tutt'ora io ne ho e so che bene troverò altri.

Però mi è anche capitato di sbagliare e di essere immorale, nonostante tutti gli insegnamenti ricevuti. Proprio in quel momento riconosciuto l'importanza degli insegnamenti.

Il mio codice di condotta ne è uscito rinforzato.

​Vi sembra un ragionamento che fila e che possa esser in linea con il Bushidō?


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Soseki

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Non fila

 

non a priori, ma secondo il Gi e il Meiyo tu e solo tu puoi giudicare.

 

 

(suggerirei di non prendersi troppo sul serio, pur nella propria fermezza e lasciarsi pervadere dal dubbio)

 

Se la vIta dev'essere degna di essere vissuta, non la si può umiliare con un eccesso di prudenza: è una partita che va giocata fino in fondo.

Ella Maillart


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​Ma infatti io non mi prendo troppo sul serio. O almeno, se si è giunti sino a qui e vi ho posto il dubbio è proprio perché anche io sono dubbioso.

​Solo io posso giudicare e giudico la mia convinzione fortificata e riflettendoci l'errore era necessario, per quanto io lo veda umiliante e spesso abbia paura di giustificarmi.

 

Quindi tu non ammetti errori in malafede (intesi come cadute morali) nel percorso di crescita di un individuo o di un guerriero? Non prenderla come critica, stiamo solo discutendo. :arigatou:


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Scusate il doppio post, ma ci tengo a sottolineare due aspetti a quanto scritto precedentemente:

  • il primo è che quando parlo d'immoralità mi riferisco a un solo episodio in particolare che mi ha fatto comprendere dove sbagliavo, continuare a errare e a pentirsi non è certo una processo di maturazione ma solo di automistificazione.
  • e poi...ehm..prima che qualcuno sul forum si faccia strane idee...l'episodio a cui mi riferisco non è nulla di grave in sé, ma io l'ho visto come disonorevole e mi ha disgustato.

:arigatou:


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"dico sempre che sono le parole scritte ad essere fredde"

 

anch'io nella mia vita ho tolto diverse vite... a volte le zanzare sono insopportabili.

 

L'errore fa parte del percorso sta a noi analizzarli cercando di farlo sempre prima.. quando mi capita di star per mare diversi giorni l'errore non è concesso, l'acqua ti sostiene e il vento dev'essere il tuo alleato.

 

L'analisi e il miglioramento sono piccoli gesti che debbono accompagnarci per tutta la vita e che prevedono da noi stessi, e solo per noi stessi, una severità massima. Nessuna indulgenza.

.... tanto impegno e una riflessione continua.

 

e per dirla in linea col bushido ho sempre pensato: tuttalpiù muoio.

 

(dal telefono non riesco a metter faccine)

una bella chiacchierata seduti su un sasso.

Luciano, detto Orso


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Ma un samurai come dovrebbe comportarsi di fronte a un errore?

L'approccio è del tutto personale? :arigatou:


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