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rob

divagazione off topic tra uttsushi ed originali

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in un'altra discussione si cercava di inquadrare una lame nel corretto periodo e forgiatore, cosi, cercando documentazione, mi ha colpito come i fabbri, i più talentuosi, riuscissero a creare copie quasi perfette degli originali di qulace secolo prima, quindi permettetemi una divagazione off topic( rispetto alla discussione originaria), osservate questi due tanto dei quali uno è un utsushi e l'altro una lama del kamakura. Io non saprei dove aggrapparmi per riconoscerli :confused:Yamato hocho tanto.jpgYamato  Hocho tanto -.jpg

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In effetti Rob a volte può essere molto difficile distinguere un buon utsushi dall'originale. Da una foto in modo particolare, poichè è difficile valutare il reale l'aspetto della lavorazione. In un kantei su carta sarebbe, in certi casi, praticamente impossibile cogliere le differenze senza particolari aggiuntivi tipo "kesho yasuri" oppure "mei with title", tralasciando ovviamente i casi in cui il sugata per qualche motivo non torna oppure vi sono hataraki non "congruenti" (come i sempre utilissimi "very long ashi").

 

Se il sugata è riprodotto fedelmente (in un felice "esercizio di stile"), anche un kantei dal vivo può essere estremamente difficile (dato che il nakago è coperto), quindi non resta che possedere un alto grado di perizia e sensibilità (nonchè lunga esperienza de visu) per togliersi dall'impaccio.

 

Qui un interessante articolo di Sesko sull'argomento "copie e riproduzioni".

https://markussesko.com/2015/09/19/copies-homages-and-reinterpretations/

 

Vorrei aggiungere (anche se in questa sede ne abbiamo parlato all'infinito...) che la "ripetizione" di un grande classico è gesto tipico di quasi tutte le tradizioni artistiche e di alto artigianato. Personalmente inserisco la "forgiatura della nihonto" tra le tradizioni di alto artigianato, esattamente come la nostra liuteria. In liuteria, ed è un esempio luminoso, moltissimi grandi artisti non hanno fatto altro che "copiare" i celeberrimi modelli di Stradivari e Guarneri (magari con piccolissime variazioni personali) per tutta la loro carriera e nessuno si è mai sognato di definirli dei semplici "imitatori".

Semmai, dei grandi "interpreti".

Da quello che mi pare di capire, andando avanti con lo studio, anche la storia della nihonto è caratterizzata da relativamente pochi "geniali innovatori" seguiti da un fiume imponente, e ramificato, di "interpreti" (di qualità, ovviamente, assai variabile).

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Vorrei aggiungere una piccola cosa a quanto così ben riportato da Gianluca, che è poi la splendida spiegazione di ciò che si definisce Tradizionale anche in occidente: tramandare da una generazione all'altra La Sapienza acquisita, aggiungendo, se possibile, quanto si è appreso nel percorso.

 

La tradizione giapponese ha tuttavia un concetto proprio e originale di ripetizione (ossimoro fortemente voluto).

Avrete già capito che sto parlando del concetto di Kata.

In genere tradotto con forma o con stampo, ma il concetto si trova già nell'iperuranio platonico, nel problema degli universali affrontato dagli scolastici medievali e, più di recente, dagli architetti del software nelle definizioni di classi astratte e design pattern.

Il desiderio di catturare non tanto il disegno di un predecessore, ma l'ambizione, nella ripetizione, di arrivare a scorgere almeno uno scorcio del disegno divino.

Di colui che ha disegnato l'archetipo.

Beh, la tradizione giapponese ha fatto proprio un modello didattico Tradizionale importato dalla Cina basato sulla ripetizione di un modello, aggiungendo un particolare piccolo, ma rivoluzionario.

L'illuminazione.

 

La ripetizione ossessiva di un modello non ha solo il fine di creare un oggetto uguale.

Lo scopo è nella pratica.

Il processo ripetuto all'infinito permette di bypassare, almeno in parte, la coscienza, trovando una sorta di unità con la natura stessa, oltre che con la natura dell'oggetto ripetuto.

La ripetizione permette quindi di comprendere qualcosa di così profondo dell'oggetto ripetuto da far provare all'artista una sorta di comunione con il divino.

Talvolta, nella tradizione zen, si usa un termine specifico per indicare questa sensazione: Satori.

 

Credo sia chiaro che tutto ciò ha ben poco a che vedere con la cosiddetta 'ricerca della perfezione'.

La capacità di ripetere un oggetto in modo preciso diventa una sorta di sottoprodotto.

Non si ha nemmeno più l'orgoglio di essere capaci di realizzare qualcosa di eccezionalmente bello.

Si ha l'umiltà che si prova quando si è entrati in comunione con Dio.

Un sentimento squisitamente religioso.


 

月の道

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Lo stesso concetto che in Europa si applicava alle Gilde o confraternite dei mestieri nel medioevo, dove il singolo, migliorando se stesso aumentava il prestigio della sua confraternita e dove il proprio nome non veniva applicato sul manufatto perché la sua realizzazione era considerata frutto di un percorso comune dove i più meritevoli pareggiavano le problematiche dei meno capaci.

Il concetto di Satori invece ho impressione che si possa applicare da noi solo alla riproduzione tradizionale delle Icone, specialmente nella tradizione Ortodossa.

In questa alcune Icone erano considerate "non realizzate da mano umana" e anche in questo caso, pur essendone in parte conosciuti i loro realizzatori, il nome di questi viene riportato verbalmente e non appare quale firma.

Il firmare una cosa realizzata perché in grazia del proprio Dio sarebbe una forma di arroganza inaudita, una blasfemia.

 

Per approfondire in italiano c'è un piccolo volume di Pavel Florenskij Le porte regali ed. Adelphi


"accorciati la firma". Ernst Jünger

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Interessanti considerazioni, grazie Getsu e Mauri.

 

Anche se questi temi sono già stati affrontati diverse volte, è sempre prezioso cogliere il punto di vista, squisitamente individuale, di ognuno.

Aiuta pure a conoscersi meglio. :arigatou:

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Condivido pienamente le osservazioni di getsu* con riguardo al modello-forma e ripetizione, così gli spunti di mauri e segnatamente intorno al tema delle firme.

 

Quanto alla realizzazione ed al riconoscimento di utsushi, ovviamente c'è sempre un nakago "parlante", se questo dovesse essere coperto al più ci si potrebbe rifare - prescindendo da tutti gli altri indici - al colore dell'acciaio che, comunemente, sulle lame più antiche dovrebbe essere bluastro, in altre di un bruno profondo.

A tal proposito mi sovvengono le parole del maestro Shigetsuna che, per interposta persona, mi faceva sapere come anche lui si dilettasse in utsushi del primo koto e come, per tali lame, utilizzasse - a guisa di additivo al tamagahane - del ferro vecchio (chiodi, assi, ecc...) per conferire alla lame la colorazione voluta.


<!-- isHtml:1 --><!-- isHtml:1 --><em class='bbc'>Insisti, Resisti e Persisti...Raggiungi e Conquisti!<br /><img src='http://www.intk-token.it/forum/uploads/monthly_11_2008/post-34-1227469491.jpg' alt='Immagine inserita' class='bbc_img' /><br /></em>

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A volte bisogna spingersi oltre a quello che cita vikipedia.

Anche questo è studio.


"accorciati la firma". Ernst Jünger

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