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Rinnovo/Iscrizioni N.B.T.H.K. Italian Branch 2024

La Branch italiana è un piccolo organismo, sostenuto dall’impegno e dalla passione di pochi, ma risulta molto importante per lo sviluppo dei nostri studi sulla token. Vi esortiamo a prendere in considerazione l’idea di far parte di questo gruppo, non solo per progredire nello studio ma anche per diventarne sostenitori attivi. Oltre ad essere economicamente vantaggioso per chi vuole essere socio N.B.T.H.K., permette di avere un contatto privilegiato con la Sede Centrale a Tokyo, dando l'accesso a canali di studio altrimenti impensabili per un occidentale, come accaduto durante l'ultimo Special Meeting.
Chi è interessato e desidera avere maggiori informazioni, che sia già Socio INTK o meno, può contattare il Presidente Gianluca Venier entro il 20 marzo direttamente via email: nbthk.italianbranch@gmail.com

Manuel Coden

Museo d'Arte Orientale - Venezia

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Sono stato a visitare il museo.

La roba, perché così possiamo chiamarla, è esposta in maniera assolutamente inadatta.

Ammassata un po' approssimativamente, senza valorizzare i pezzi esposti. Praticamente assente la sorveglianza, che nella fattispecie non è stato un difetto perché si poteva togliere l'astuccio agli yari più interessanti, per dare un'occhiata alle lame (ma dico, vi pare possibile?).

Ma la collezione è davvero ricca, interessanti i portaspada in lacca, le farete ed una stupenda collezione di ya, con diverse punte ornamentali che sono spettacolari.

Mai visto niente di simile.

Bellissimi i cappelli da guerra ed una vetrina di archibugi arabescati, stile portoghese, molto ben conservati. Stupenda la collezione dei finimenti sella e staffe in lacca. Anche qui, poco da invidiare a chiunque in Europa.

Insomma, un piccolo Stibbert, che vale il viaggio a Venezia.

Non ho visto la parte di Sumatra, forse in restauro?

Piccolo appunto per gli appassionati d'arte.

Non scordatevi di fare anche un giretto al primo piano. La Cà Pesaro ospita nel suo splendido palazzo anche una mostra di arte moderna. A gusto mio, un meraviglioso Klimt e il Pensatore di Rodin i pezzi più belli. Ma c'è tanto tanto di più. 

Da non perdere.


 

月の道

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3 ore fa, getsunomichi ha scritto:

Ammassata un po' approssimativamente, senza valorizzare i pezzi esposti. Praticamente assente la sorveglianza, che nella fattispecie non è stato un difetto perché si poteva togliere l'astuccio agli yari più interessanti, per dare un'occhiata alle lame (ma dico, vi pare possibile?)

quando abbiamo fatto la conferenza la sorveglianza c'era, e se provavi ad avvicinarti ti riproveravano subito.

Forse questo anno e mezzo di pandemia non ha aiutato le già forse non ottime risorse del museo.

In ogni caso non so te, ma io in un museo non sono abituato a toccare i pezzi esposti...

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Siamo in due a non sapere, Enrico. C'è differenza tra poter fare una cosa e poi farla per davvero.


 

月の道

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 Piccolo aggiornamento. Ho visitato il museo tre settimane fa e la sorveglianza era lì in rapporto di una persona ogni 2/3 sale.

In generale devo ammettere che la sistemazione è un po' caotica e ammassata, ma credo che questo dipenda, oltre a quanto riporto sotto, anche dagli spazzi comunque ridotti rispetto alla dimensione della collezione. 

Credo inoltre, da quello che ho visto (qualora mi dovessi sbagliare prego di correggermi e magari darmi elementi per una più corretta lettura), che la collezione, per quanto pregevole nel suo complesso, non abbia un numero sufficiente di pezzi veramente importanti. Questo in qualche modo scoraggia una diversa modalità di esporre la collezione. Il museo Rietberg di Zurigo, ad esempio, espone nelle sale “pochi” pezzi selezionati mettendoli in giusta in evidenza per la loro importanza ed ha reso al contempo accessibile parte il magazzino rendendolo visitabile così da rendere fruibili al pubblico anche i pezzi che non troverebbero spazio nelle sale. 

La collezione di Venezia risulta essere interessante per il numero e la varietà degli oggetti che permette una carrellata su un ampio spettro di aspetti culturali orientali, il che è probabilmente in linea con la modalità in cui i pezzi sono esposti.

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Il catalogo non era disponibile (in ristampa, mi hanno detto). Non ho potuto capire se è stato analizzato oggi pezzo in dettaglio, verificandone il kaji.

Senza una corretta e dettagliata catalogazione di ogni pezzo, come si fa a dire se quanto è stato raccolto ed esposto è di valore?


 

月の道

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Capisco (e non capisco) eppur tuttavia comprendo che questo Forum si occupa dello studio e della preservazione della spada giapponese.. la Token.

Tuttavia occorre sempre rammentare che per la maggior parte degli studiosi e appassionati l'ambito di studio si amplia.. dipinti, incisioni, ceramiche, tessuti, mobilia, avori ... entrano a piè sospinto nel patrimonio storico artistico che comprende il Giappone.  (se ben ci pensiamo è "di più facile" appeal La Grande Onda che lo stupefacente hamon..)
La Fondazione Bauer ne è dimostrazione.

Come tutti ben saprete al Ca' Pesaro è contenuta la Collezione Bardi, ben 17mila e spicci opere racolte (son oltre le 30mila) dai coniugi nel loro amplesso d'arte orientale.
Le sale del piano elevato son troppo piccole per contenere tutto (e la conservazione e lo studio la fan da padrone, ovvero tengono, o provano a tenere, al riparo del tempo il parimonio acquisito.
C'è un testo reperibile in alcune biblioteche locali ed estere che cataloga tutto, ovvero il Quaderno della Soprintendenza ai beni artistici e storici di Venezia ; n. 16  (Museo d’Arte Orientale : la collezione Bardi : da raccolta privata a Museo dello Stato / [testo di Fiorella Spadavecchia Aliffi].  

Qua un piccolo estratto da un non recente articolo..
La pregiata collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia fu costituita circa centotrenta anni fa, durante il viaggio intorno al mondo intrapreso dal principe Enrico Carlo Luigi Giorgio di Borbone-Parma, conte di Bardi (Parma, 1851 – Mentone, 1905) tra il 16 settembre 1887 e il 15 dicembre 1889. Appena giunta in Europa, la collezione Borbone vantava circa 30˙000 pezzi di cui due terzi acquistati in Giappone, prova evidente di quanto il principe e la moglie Adelgonda di Braganza (1858–1946) fossero rimasti entrambi affascinati da quel Paese. A seguito di varie vicissitudini, una volta divenuta proprietà dello Stato italiano, la raccolta contava nel 1926 poco meno di 17˙400 oggetti, una quantità comunque troppo grande perché fosse possibile un’esposizione integrale nelle stanze al terzo piano di Ca’ Pesaro, tuttora sede del Museo.

Fra le tante pregevoli opere d’arte ancora mai mostrate al pubblico figura anche un gruppo di tre dipinti giapponesi del XIX secolo firmati "Hōen" e accomunati dallo stesso aspetto alquanto inusuale.
Testi di riferimento..
ANON, A pictorial encyclopedia of the oriental arts. 4: The late Edo period-the post-war period, (1716-1968), New York, Crown Publishers, 1969.
MASON, Penelope, History of Japanese Art, New York, Harry N. Abrams, 1993.
ROBERTS, Laurance P., A Dictionary of Japanese Artists: Painting, Sculpture, Ceramics, Prints, Lacquer, Tōkyō, Weatherhill, 1976.
Society of Friends of Eastern Art, Index of Japanese Painters, Tōkyō, Charles E. Tuttle Company, 1941.
il già citato SPADAVECCHIA ALIFFI, Fiorella, Museo d'Arte Orientale - La collezione Bardi: da raccolta privata a museo dello Stato, “Quaderni della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Venezia”, n. 16, Venezia, s.n., 1990.
TAZAWA, Yutaka, Biographical Dictionary of Japanese Art, Tokyo, International Society for Educational Information, 1981.

Ora mi permetto di allegare una tesi di una appassionata d'arte, tal Denise, che oltre a raccontare la sua visione di studio sul Giappone, parla -nel secondo capitolo- della Collezione Bardi riferita alle amate armi..   anche se analizzate da un punto di vista un pò più distante di quello in cui vorremmo essere..
La velocità e l’immediatezza erano quindi i requisiti che vengono richiesti alle armi bianche ..  (anche se il moschetto cominciava a prendere il sopravvento ..)

Per chi volesse perdere qualche minuto, direttemanete da Ca' Foscari..  Più simile a un guerriero.._Ca Foscari_ Collezione Bardi.pdf

 


Sii immobile come una montagna ...
ma non trattare le cose importanti troppo seriamente.

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Beh @getsunomichi per la verità sfido anche con un catalogo a capire se la collezione è di valore, salvo essere uno studioso o, se si vuole badare all'aspetto venale della cosa, un mercante d'arte. In fondo se non conosco l'influenza del pezzo sulla storia dell'arte e dello stile puo' aver anche scritto V secolo A.C., ma questo poco mi dice del suo effettivo valore.

Sempre relativamente a Venezia, non metto in discussione la consistenza numerica e neppure la piacevolezza della collezione. Da privato farei follie per una collezione simile.

Tuttavia la mia sensazione, per la mia piccola esperienza, è sia una collezione più basata sul numero che non sulla qualità intrinseca di ogni singola opera. Ci sono sicuramente pezzi importantissimi, ma affogano un po’ nel resto. A parte alcuni pezzi, che, ripeto, ci sono ma, almeno per quanto concerne quanto esposto, in misura limitata, mancano ad esempio opere importanti di statuaria. Oppure per quanto ci interessa qui spade importanti o armature (quelle esposte sono di epoca Edo e non mi pare di livello estremamente alto).

Ripeto, la collezione è sicuramente importante se la consideriamo come ex collezione privata e come lascito, ma in quanto a valore museale (che credo debba cercare di essere di un livello più alto anche in termini filologici) continuo a nutrire dubbi. Certo può essere solo una questione di esposizione e percorso, ma questo è quello che mi trovo a valutare.

Ancora una volta, non voglio fare per forza il bastian contrario, ma mettere la cosa in prospettiva. Se vedo il percorso espositivo e le opere di un Chiossone o di un Giuseppe Tucci (che tra l’altro credo abbia ancora la sezione giapponese in allestimento dopo il trasloco, amici romani fateci sapere), mi pare che il confronto non regga. C’è una filologia e opere che spaziano dall’antico al moderno con pezzi selezionati di importanza indiscutibile laddove Venezia, molto spesso, presenta multipli pezzi della medesima categoria e più che altro di uso comune e non sempre una valenza artistica intrinseca.

Sempre in tema di selezione dei pezzi mi pare abbiano fatto di più Trieste e Torino.

Credo possa dipendere dallo stato di maturazione della collezione quando è passata in mano pubblica. Quello che succede spesso nelle grandi collezioni è una prima fase di bulimia e poi una raffinazione successiva che permette di selezionare i pezzi e di creare, spesso con la consulenza di mercati d’arte, un filo logico e una sua specificità. Ecco, mi sembra che in questo caso sia mancata.

Spero di potermi sbagliare, ma questa è la mia umile impressione dopo la visita e senza aver potuto prendere un catalogo perché non disponibile. Come detto all’inizio forse non avrebbe aggiunto o tolto molto, ma almeno un aiutino avrebbe fatto piacere.

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Non concordo. C'è ne faremo una ragione.

🤣🤣🤣

Una minimale scheda da kantei permetterebbe di vedere la lama, assegnandogli un contesto storico, un autore o almeno una scuola, un valore artistico e conseguentemente economico. Queste schede semplicemente mancano.

In questo mondo, essere una lama shinto,  non significa affatto avere necessariamente valore inferiore. Esistono opere si importanza museale in ogni periodo ed un numero elevato di lame raccolte nel passato, aumenta (non diminuisce) la possibilità di trovare nel mucchio elementi di indiscutibile valore. Specie se parliamo di una collezione che non è stata messa assieme negli ultimi cinquant'anni. Specie se i pezzi arrivano da collezioni nobiliari, raccolte senza particolari vincoli di budget.

Ciò detto, la verità vera è che non abbiamo la minima idea di cosa sia contenuto nel 99% di quelle saya. La sua impressione che il numero nasconda una bassa qualità è del tutto soggettiva più che umile, specie se ci troviamo di fronte a vaste collezioni vecchie di secoli. 

L'Italica ricchezza purtroppo ci pone fin troppo spesso di fronte a problemi di questo tipo, un po' in tutti i campi. All'estero, con una penuria di oggetti, sono molto più bravi a valorizzare il loro patrimonio.

Ca' Pesaro e lo Stibbert fanno parte di quelle sconfinate raccolte ancora semi-sconosciute, in cui è ancora possibile cercare come si fa a Pompei... il gioiello potrebbe giacere incompreso nell'angolo di un magazzino, nascosto sotto una patina di ruggine.


 

月の道

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Effettivamente, considerando cosa fu scoperto da Massimo in una scatola del deposito nel Bargello in occasione della donazione della lama di Yoshindo ( lame che tristemente poi son ritornate nello scatolone dopo una breve esposizione  😪) chissà cosa potrebbe saltar fuori da migliaia di pezzi mai esaminati a dovere..... ho lontani ricordi di tsuba Nobuie (credo buone) nei depositi del Chiossone..

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11 ore fa, Renato Martinetti ha scritto:

chissà cosa potrebbe saltar fuori da migliaia di pezzi mai esaminati a dovere....

Non sarà di tanto aiuto, vista la confusione imperante nei miei archivi.. ma talvolta esce qualcosa., e visto che hai citato diverse collezioni museali.. ho ritrovato queste "note", dove -nei volumi 4 e 5- sono riportati armi e finimenti   (non v'arrabiate.. si parla solo di pregiati numeri, ma la lettura è interessante.)
Note on Japanese Bardi's Collections.pdf

 

e visto che continuo a girovagare nella Ca' Foscari.. questa, una recente tesi sulle armature del Museo d'Arte Orientale di Venezia ..  Armature al Ca' Pesaro.pdf


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Non so dove vai a beccarle, Beta, ma questi allegati sono davvero interessanti.

Qui ogni tanto qualche pseudo-samurai si collega per capire come recuperare una spada. Questo Borbone-Bardi è partito per farsi il suo corredo personale ed è tornato con decine di migliaia di pezzi, facendosi consigliare dai massimi esperti allora disponibili.

Peccato lo stato italiano non abbia avuto i mezzi per acquisire l'intera collezione dalla vedova. Mi consolo pensando alla gioia di tanti piccoli collezionisti che, negli anni, si saranno passati i preziosi pezzi della parte messa all'asta.

Ho la netta impressione che la collezione rimasta necessiterebbe di specialisti di vari settori per anni, prima di riuscire a fare un catalogo che non sia un mero elenco numerico dei pezzi raccolti. I costi di un catalogo di questo tipo sarebbero immensi, anche ricorrendo alla appassionata e gratuita manovalanza dei soliti laureandi e dottorandi.


 

月の道

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dove?? .. eppure tu dovresti immaginarlo..,))

Considerato l'interesse, aggiungo qualche altra notizia.

La collezione, contenuta in oltre 1500 casse arriva a Trieste.
Nel suo lungo viaggio il conte era ben visto, sia per le enormi spese che faceva, sia per l'entusiasmo nelle nuove terre per l'arrivo di questi "giovani ricercatori" (all'epoca Enrico aveva 36 anni).
La vita lo aveva già segnato.. la prima moglie, figlia di Re Ferdinando II e di Maria Teresa d'Asburgo, morì tre mesi dopo il loro matrimonio.. non restava –qualche anno dopo–  che sposare la figlia del Re del Portogallo e viaggiare.    (un viaggio che, in tutti i suoi anni, non diede prole.. restava il piacere per l'arte.).

L'epoca Meiji si apriva al mondo.. (pensate che oltre ad essere stato invitato presso l'imperatore Mitsuhito, lo stesso Imperatore lo andò a trovare nella sua residenza privata.)
Le principali città visitate, come riportato nei suoi dettagliati diari di viaggio, furono Tokyo, Kyoto, Kamakura, Nagasaki, Osaka e Nikko.


Ma torniamo alle vicissitudini della collezione..

Dopo la scomparsa del conte di Bardi, la sua collezione ebbe diverse vicende che ne dimezzarono la consistenza.

La sua vedova ed erede, Adelgonda di Braganza, la cedette in blocco – non si sa se per la vendita o per semplice affidamento – all’antiquario viennese Trau, il quale provvide a stilare sia un inventario che un catalogo, avvalendosi della consulenza del Direttore del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo e del suo assistente giapponese.
In seguito si avviò la vendita della raccolta con il sistema della trattazione privata che dal 1907 si protrasse sino al dicembre 1914.

Herr Trau diligentemente segnò su un registro i nomi degli acquirenti, descrivendo  il tipo e la quantità degli oggetti venduti con il relativo prezzo, per cui oggi si può avere un’idea della importanza e ricchezza della collezione originaria.

Dato il gusto del tempo per tutto ciò che era orientale, non  meraviglia il fatto che la vendita richiamasse molti acquirenti italiani e stranieri e suscitasse l’attenzione dei musei privati e pubblici, fra i quali l’Etnografico di Roma, allora diretto dal prof. Luigi Pigorini.

La Soprintendenza – già interessata alla collezione – sostenne presso il Ministero della Pubblica Istruzione l’opportunità di acquistarla in toto, per la cifra richiesta dal Trau, con l'avvallo e il supporto anche di importanti personalità fra cui il Direttore Generale del Ministero della Pubblica Istruzione, Corrado Ricci, il giornalista Ugo Ojetti, la scrittrice Margherita Sarfatti., ma la somma richiesta di 1.800.000 lire superava di gran lunga le possibilità del Ministero e non se ne fece nulla.  (considerate che oggi staremmo parlando oltre 7milioni di euro.))

Nel frattempo la contessa Adelgonda chiese all’Ambasciata d’Austria di intervenire presso il Ministero della Pubblica Istruzione Italiana al fine di ottenere agevolazioni per l’esportazione in Austria degli oggetti giappponesi di sua proprietà, ma ebbe un deciso rifiuto.

La Collezione Borbone, ormai dimezzata a causa delle vendite di cui sopra, rimase bloccata per tutti gli anni del primo conflitto mondiale.
Nel dopoguerra si avviò a divenire pubblica, sia pure tra infinite difficoltà.

Risolte varie questioni –tra cui le rivendicazioni della Casa Borbone-Parma e dell’antiquario Trau, sorse il problema di trovare alla Collezione, anche se orami ridotta, in una idonea sede.

Alla fine si decise di collocarla – sia pure provvisoriamente – in parte a Cà Pesaro ed in parte nel Fondaco dei Turchi, dove era in corso di formazione un Museo di Storia Naturale, ma .. prima del trasferimento della Collezione da Palazzo Vendramin-Calergi passarono altri anni a causa dei lavori di adattamento delle sale di esposizione che richiesero trasformazioni, abbattimento di pareti, apertura di lucernari, messa in opera di vetrine, ecc. ecc.

Il Museo, che avrebbe dovuto essere un grande istituto statale di arte orientale, e al quale era stato dato inizialmente il nome augurale di “Marco Polo” (denominazione peraltro caduta in disuso dopo pochi anni), fu inaugurato il 3 maggio 1928 alla presenza di S.A.R. il Duca di Bergamo (ovvero sua altezza reale Adalberto Luitpoldo Elena Giuseppe Maria di Savoia-Genova)), delle più alte autorità dello Stato e del Comune di Venezia, ma, poco tempo dopo, era già chiuso non tanto “per lavori di riordinamento e di pulizia” quanto perché i fondi stanziati non bastavano nemmeno per pagare le spese vive.

Nel frattempo molti pezzi non ancora esposti, perché considerati di minor interesse artistico o non pertinenti, vennero assegnati a vari Istituti governativi italiani di Padova, Venezia, Firenze ed allo stesso tempo si cercò di potenziare il Museo mediante scambi di doppioni, donazioni private e acquisti.

Nel 1935 si rese necesssario il suo riordino perché le condizioni statiche dell’edificio che ospitava la Mostra erano pericolose e la nuova chiusura durò ben due anni.

Nel giugno del 1940 (rifacendosi ad una circolare del 1930 del Ministero della P.I. che invitava a redigere un progetto di studio puramente teorico dei problemi relativi ad un’eventuale sgombero per motivi bellici) si attuò il piano richiesto.   Pertanto il Museo dovette spostare e nuovamente imballare gli oggetti più preziosi ed importanti.. oltre 600 pezzi, chiusi in nove casse, furono portati nei depositi previsti (a Sassocorvaro nelle Marche, poi nella Città del Vaticano), ma anche accatastati al piano terra dello stesso edificio.
Al termine del II° conflitto mondiale, si impose la risistemazione di tutti gli oggetti, previa pulitura e restauro di quelli rimasti danneggiati dalla permanenza in ambienti inadatti.

Negli anni successivi il Museo di Cà Pesaro alternò periodi di apertura ad altri di chiusura, sia a causa della scarsità dei fondi erogati, sia per lo scarso afflusso di pubblico.
Più numerosi erano stati i visitatori nel passato, attratti, più che dal desiderio di conoscere aspetti di quel mondo affascinante e misterioso che era l’Estremo Oriente, dalla possibilità di acquistare qualche oggetto della Collezione Trau: un ventaglio, una ciotolina, una veste.

Oggi, se confrontato con le maggiori raccolte italiane contemporanee di arte orientale – il Museo Edoardo Chiossone o il Frederick Stibbert, intitolati ai due studiosi che durante la lunga permanenza in Oriente avevano avuto modo di affinare la loro conoscenza e cultura, risulta più evidente la diversità dei criteri seguiti nella raccolta e acquisto degli oggetti avviati in Italia.

Malgrado tutto questo, la Collezione Bardi fu ed è importante e, se fosse stata attuata un’accorta politica di scambi, avrebbe potuto trasformarsi in un ampio Museo di Arte Orientale.
Invece oggi, purtroppo mantiene per dirla con le parole stesse di Fiorella Spadavecchia Aliffi, già ispettrice del Museo ed ora responsabile del laboratorio di restauro “pur senza alcun spirito riduttivo, la sua matrice di collezione privata.. la Collezione di arte orientale di Enrico di Borbone, conte di Bardi”.
(dedotto e trascritto da uno degli ultimi articoli di Carmen Artocchini, una anziana e piacevole proferossa studiosa di Storia italiana.. il suo archivio e la sua biblioteca furono donate all'Archivio di Stato di Piacenza nel 2016, anno della sua scomparsa.)

 

[tanto per... ovviamente, visto che m'è saltata la mosca al naso, ho già scritto al Museo di Amburgo oltre che alla Soprintendenza di Venezia, per riuscire a reperire il famoso quaderno n.16/90.]

La dott.ssa Fiorella Spadavecchia nel 2016 riceve dal governo del Giappone l'alta onorificenza "The Order of the Rising Sun, Gold Rays with Rosette", già direttore di questo Museo per molti anni, per lo straordinario lavoro svolto.
(la prossima "vittima" sarà la dott.ssa Marta Boscolo Marchi, attuale direttore del Museo.. della quale mi incuriosisce il restauro di 4 tsuba col metodo del plasma freddo... ma questa sarà un'altra storia..)


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