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Klaus

Manutenzione koshirae

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Ahah grazie getsu!

 

Vero quanto dici, i raggi uv a lungo andare sono dannosi per le lacche.

 

Si confermo che viene usato lo tsunoko, polvere o meglio carbone di corna di cervo.

 

Se oggetti da pratica e di poco valore anche il polish da auto va bene.


"Indiana Jones e la lama perduta"

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Un vero artista è Roman Urban, sia nella realizzazione di nuovi kodogu che nel restauro degli stessi!

 

Potete dare un occhio al suo sito: http://tosogu.cz

 

Questo un restauro che mi fatto: ha risaputo creare la patina identica all'originale, vi posso assicurare che è tutt'altro che un'operazione semplice!

 

FB_IMG_1530205431627.jpg

FB_IMG_1530205563064.jpgFB_IMG_1530205560044.jpg


"Indiana Jones e la lama perduta"

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molto bella ................ ma un tempo non c'era anche qua un tale che restaurava ed anche realizzava tsuba, fuchi e kashira ??


Sii immobile come una montagna ...
ma non trattare le cose importanti troppo seriamente.

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Di certo questo è un artista, che ha saputo utilizzare dei metodi e tecniche di restauro professionali.

In altri settori (restauro di ferri antichi, anche di scavo) c'è chi sa usare prodotti chimici e fenomeni fisici magari anche semplici e alla portata di tutti (WD40, acidi vari o bagno in olio minerale, per esempio) ma io non me la sentirei mai di rischiare su un oggetto come una tsuba...

Anche se fosse la peggiore è più scalcinata delle tsuba del mondo...

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normalmente nella rimozione della ruggine e nella manutenzione di superfici ferrose con patina naturale viene utilizzato olio di lino cotto diluito al 50% con alcool etilico. Si imbeve la ruggine per ammorbidirla e poi con gli attrezzi di osso/corno già citati e con un altro tipo di olio (quello di gomito...) si asporta la ruggine. Attenzione in questa fase alla posizione di lavoro ed all'uso di attrezzi di adatte dimensioni, poichè tendiniti e problemi alle dita ed alle mani son frequenti. Molto utili sono i pennelli cilindrici "Udukuri" di crine di cavallo per asportare bene la ruggine anche nelle incisioni.

Ripatinare chimicamente una tsuba è un lavoro complesso, soprattutto su asportazioni parziali. Normalmente i giapponesi asportano completamente la patina dalle tsuba in ferro per poi ripatinarle interamente.

Qui sotto la rimozione della ruggine con una maschera per mostrare la differenza

tsuba3.jpg

Per quanto attiene l'urushi, la luce del sole e i raggi UV sono il principale nemico, evitate di esporre le lacche alla luce diretta.La lacca nuova, anche se sembra dura, continua ad asciugare per mesi ed il tempo la tonalizza senza altri artifici. "lucidare" una lacca (nera) vecchia ed opacizzata non è così immediato usando abrasivi, poichè non stiam parlando della verniciatura di un'automobile..la lacca opacizzata è così per microsfogliature superficiali e per un indebolimento del colore dovuto appunto agli UV assorbiti. Il restauro ideale, dopo la politura, sarebbe una passata con urushi trasparente (tipo suki o kijomi) diluita al 50%, da rimuovere immediatamente con un panno, in modo che penetri e stabilizzi la superficie, ridando lucentezza e colore.

Gli abrasivi fini, tipo tsunoko (la polvere di corno di cervo) oppure la pasta San-Jet, la più usata dai laccatori giapponesi, vengono utilizzati per la lucidatura finale delle nuove laccature

 

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Grazie mille! All'olio di semi di lino non avevo pensato!

Mi rendo conto che quello dell'arte orientale è un universo diverso e lontano dal nostro...

In Occidente una patina di antico ricreata ex novo è pressoché inammissibile, ma se è ben fatta può essere l'idea giusta...

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...anche da noi spesso... non è tutta brunitura quella che non luccica.

Ma dato che da noi quel tipo di restauro si chiama "tarocco", si fa ma non si dice.

Avevo un amico che ha sfornato in Spagna un numero di pugnali baionetta da SS, che il triste corpo militare tedesco avrebbe dovuto almeno raddoppiare i suoi membri. Gli acquisti maggiori erano fatti da intenditori tedeschi (Quanto intenditori non saprei dirvi) per il mercato interno.

 


 

月の道

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.. volendo nel "csd.occidente" ci sono fior fiore di istituti di restauro... tipo l'ISCR (istituto superiore conservazione e restauro .. )

 

 

 

@@Renato :arigatou:


Sii immobile come una montagna ...
ma non trattare le cose importanti troppo seriamente.

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Come già ripetuto più volte sul forum, la concezione di "restauro" per i giapponesi era assai diversa dalla nostra (le lame antiche si "piallano" senza problemi). Lacche, spade, armature rovinate dovevano ritrovare la completa funzionalità pratica ed estetica, se ti tagliavano senza problemi un nakago con una buona firma solo per montare l'ultimo koshirae di moda immaginatevi il restauro. Clamoroso fu il caso di una delle armature regalate dallo shogun nel 1600 al re inglese e custodita nella torre di Londra: fu inviata alcune decine di anni fa in Giappone per un restauro conservativo e tornò indietro completamente trasformata. Oltre ad averla interamente rilaccata e riallacciata in un colore diverso, i giapponesi avevano modificato il kabuto ed asportato alcune parti (maniche e gonnellino!) per loro non coerenti. Il caso provocò non poco imbarazzo tra i curatori inglesi e fece iniziare il ripensamento, ora giunto anche in Giappone, su quanto deve essere invasivo il restauro.

Ancora adesso l'approccio è comunque diverso; i restauratori privati, sia giapponesi che occidentali, tendono a privilegiare le metodologie di intervento antiche, considerando anche che la maggior parte del loro lavoro è svolta su oggetti di media qualità in mani private. I conservatori dei musei, avendo a che fare con opere normalmente di alta qualità, cercano di evitare le ricostruzioni privilegiando la conservazione, pur anche utilizzando tecniche giapponesi.

Nella collaborazione che INTK sta svolgendo con il Museo di Arte Orientale di Torino, lavorando a fianco dei conservatori del museo ci siam resi conto di quanto è rigoroso il loro approccio e a che livello i restauri son ponderati ed eseguiti.

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Personalmente amo i segni che il tempo lascia sugli oggetti, perché ritengo che impreziosisca l'oggetto.

Pertanto sono un sostenitore dell'approccio europeo.

Ma non a tutti i costi.

Qualora l'oggetto sia stato maltrattato, credo che l'approccio giapponese, che tende a restaurare non solo l'oggetto ma anche (forse soprattutto) la sua anima, abbia più senso rispetto a mostrare un moncherino di un ferro vecchio del tutto irriconoscibile.

 

E del tutto ovvio che esistono oggetti che esulano da tutto ciò.

L'esempio dell'armatura riportato da Renato è davvero emblematico.

Ciò che i restauratori giapponesi, nella loro smania di coerenza ed efficienza, hanno perso di vista è il fatto che la cosa davvero importante non era la coerenza dell'armatura.

La cosa importante era cosa lo Shogun avesse regalato al Re.

L'episodio storico incarnato in quel preciso oggetto andava assolutamente oltre a tutto.

Cambiare anche solo il tipo di intreccio di un cordone era una stupidaggine enorme.

Figurarsi che importanza può avere in quel caso la coerenza o la funzionalità.

Zero.


 

月の道

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È quello che intendevo.

Anni fa un mio conoscente restauratore di altissimo livello (aveva lavorato, tra l'altro, nell'equipe di restauro del Marco Aurelio e di atri bronzi importanti) si stava occupando di alcuni restauri al Museo di Arte Orientale di Roma e mi restauro' quella che all'epoca era la mia unica tsuba...

Mi preannuncio' che avrebbe eseguito un restauro di tipo conservativo, come si usa in Occidente, consistente in una mera pulizia, ma mi disse che questo non coincide con la filosofia giapponese...

 

Detto questo, in non confonderei il restauro, su commissione, e le metodologie di restauro, con la frode nel commercio...

Poco importa e non mi sorprende se c'è chi fabbrica lame SS in cantina... il restauro è un'altra cosa...

Io sono d'accordo con pulizie e anche con lucidature tenui e rispettose, ma una patina artificiale, perdonatemi, ma non la ritengo desiderabile... né su una tsuba, né su un sesterzio...

Si fa sempre in tempo a farla...

 

Va anche detto che con tutta probabilità dal 1600 ad oggi l'armatura donata al re d'Inghilterra, comunque, potrebbe essere stata vittima di chissà quanti rimaneggiameni e contaminazioni... un tempo accadeva...

Dunque chissà se i restauratori giapponesi avessero tutti questi torti a togliere e modificare...

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Nel mondo delle lame giapponesi il confine tra restauro e tarocco è piuttosto labile.

...Il secondo non passa gli esami e non ottiene certificati.

In realtà, se posso essere sincero, tale confine è piuttosto labile anche da noi.

Spesso è il pezzo di carta, anche da noi, a sancire l’originalità... sempre che dei buontemponi non si documentino in precedenza nell'atto di generare delle teste di Modigliani ex novo, prima di buttarle nel Sacro Fosso di Livorno...

Quelle lame fabbricate in cantina sono davvero diverse dalle originali, quando il certificato di un antiquario specialista non le distingue?

 

Quando lascerò questo mondo, se dovessi scoprire che il vero paradiso è quello buddhista, farò certamente richiesta per il girone dei kaji.

(Se è quello Cristiano, nessun problema, pittori del rinascimento oppure liuteria barocca).

Sai le risate...


 

月の道

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qua poteve visionare nel dettaglio la citata armatura: https://collections.royalarmouries.org/object/rac-object-30423.html

 

 

 

( non hai finito una vita che già pensi alla prossima..... anche questo "é possesso"......) e invece sarà nuovamente tutto affidato al caso.. ahahahhahaaaargh


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In realtà la realtà (scusate..) sta, se non nel mezzo, ai tre quarti: I giapponesi asportarono parti dell'armatura probabilmente integrate in Inghilterra nei decenni precedenti con pezzi acquistati sul mercato antiquario ed applicarono la metodologia standard di restauro da loro in voga in quegli anni. Del resto ancora sull'interessante pubblicazione del Getty Museum del 1985 sulla conservazione degli oggetti in lacca, era chiaro che i restauratori giapponesi erano soprattutto artisti laccatori e le tecniche di restauro fondamentalmente erano le stesse impiegate per laccare nuovi oggetti. Io assistei anni fa al restauro effettuato da conservatori/laccatori (?) del museo Wajima su paraventi di un museo italiano (ovviamente esperienza per me assai formativa), con tecniche assolutamente giapponesi. L'unico problema di queste, assai efficaci come risultato se ben eseguite, è che sono irreversibili; quindi il restauratore deve conoscere bene il proprio mestiere. In occidente si utilizzano invece materiali reversibili, che a volte possono risultare non compatibili con quelli giapponesi. Inoltre non sempre gli occidentali hanno la mano leggera: nel restauro dell'armatura dell'Armeria Reale di Torino, a parte la postura in piedi della stessa, voluta per replicare l'allestimento ottocentesco, anche se per me discutibile (almeno gli avessero messo i pantaloni, peraltro presenti in mostra! Così sembra un disabile..), le parti metalliche doraten son state polite in modo assai "approfondito" come si vede nel video del restauro e sembran nuove di pacca, come quelle che vende Namikawa..

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... oltre al come, "il difficile" è capire quando fermarsi (e ve lo dice un esperto... ;-)


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