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Rinnovo/Iscrizioni N.B.T.H.K. Italian Branch 2024

La Branch italiana è un piccolo organismo, sostenuto dall’impegno e dalla passione di pochi, ma risulta molto importante per lo sviluppo dei nostri studi sulla token. Vi esortiamo a prendere in considerazione l’idea di far parte di questo gruppo, non solo per progredire nello studio ma anche per diventarne sostenitori attivi. Oltre ad essere economicamente vantaggioso per chi vuole essere socio N.B.T.H.K., permette di avere un contatto privilegiato con la Sede Centrale a Tokyo, dando l'accesso a canali di studio altrimenti impensabili per un occidentale, come accaduto durante l'ultimo Special Meeting.
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betadine

il Giardino Giapponese

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Allora.. dopo la storia e un po' di letteratura e considerato che ne abbiamo parlato diverse volte,
volevo fare con voi quattro passi in giardino, condividendo racconti e curiosità (forse)..

Vi avviso che partirò da molto lontano per arrivare nei fascinosi, misteriosi e allegorici giardini del Giappone.

Confido nella vs. pazienza e per non annoiarvi ulteriormente comincerei con una leggenda..

 

Matsue.jpg

 

Si dice che il castello di Matsue fosse stato costruito su un sacrificio umano.. sepolto sotto le mura di pietra del castello.
Il suo nome non è mai stato registrato, non si ricorda nulla di lei, tranne che si pensa che sia stata una bellissima giovane fanciulla che amava ballare… venne definita semplicemente come la fanciulla di Matsue.
Dopo che il castello fu costruito, fu approvata una legge che proibiva a qualsiasi ragazza di ballare nelle strade di Matsue perché, ogni volta che una ragazza ballava, la collina di Oshiroyama sussultava e il grande castello tremava da cima a fondo.

Il grande stratega Horio Yoshiharu fece ricostruire la città per rendere il castello una fortezza inespugnabile, grazie ai canali.

Eretto dopo gli scontri feudali del tardo XVI secolo, tra il 1607 e il 1611, il castello di Matsue non vide mai una battaglia.
Meno di duecento anni dopo la sua costruzione il castello fu occupato dal Clan Matsudaira, il ramo più giovane dei Tokugawa, che mantenne il castello nel suo stato originale e modernizzò la città.

Il castello feudale a Matsue, nella prefettura di Shimane, è molto spesso paragonato a un piviere, un uccello marino con piume scure, che decolla... è quindi a volte indicato come Chidori-jo, o come il "castello nero".
Arroccato su una collina, ai piedi delle rive del lago Shinji, è uno dei tre castelli del grande lago del Giappone.

Il castello è una struttura complessa, costruita in stile "torre di guardia", che sembra essere a cinque piani dall'esterno, ma ha, in effetti, sei livelli all'interno. La maggior parte delle pareti del castello sono dipinte di nero.
E' una struttura forte, costruita per resistere alla guerra, maestosa e solenne, che ricorda lo stile Momoyama.

Dopo la Restaurazione Meiji del 1868, un gran numero di castelli furono demoliti o messi all'asta per i loro materiali da costruzione, ma quando nel 1875, tutti gli edifici all'interno del castello cominciarono ad essere smantellati, i residenti locali misero insieme i soldi per preservare la Torre del Castello, consentendo a questa ricca parte della storia locale di Matsue di sopravvivere.

Il castello subì una ricostruzione completa tra il 1950 e il 1955, che conservò tuttavia l’impianto originale.
L'ultimo piano del mastio offre una splendida vista della città e del lago Shinji.
Il castello è stato annoverato come Tesoro Nazionale nel luglio del 2015, uno dei soli cinque castelli a mantenere tale designazione.
Gran parte dell'area intorno al castello, conosciuta come “il quartiere del fiume”, conserva edifici e altre strutture del periodo Edo, tra cui una residenza samurai che ora è un museo, oltre alla casa-museo di Koizumi Yakumo..

 

M.png

(ah, dimenticavo di dire che Koizumi Yakumo altro non è che il ns. Lefcadio Hearn)

 

Nell'epopea di Gilgameš (siamo in piena epoca babilonese, 2500a.c.) viene narrato di una residenza di questo tipo.


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I parchi erano considerati il più grande ornamento ed erano la prima cosa che veniva devastata in guerra.

I boschi assiri erano delle enormi riserve di caccia con canali e vasche per l'allevamento dei pesci.
Non ci sono incisioni o raffigurazioni di tali parchi, i bassorilievi mancano quasi del tutto di sfondi paesaggistici fino al IX secolo a.C. e solo a partire dall'VIII secolo a.C. i ricchi e potenti signori assiri iniziarono a far rappresentare le loro dimore e i parchi.
Per gli antichi persiani il mondo era diviso da una croce in quattro parti, con al centro una sorgente.

Il simbolo del numero 4, rappresentante i quattro elementi sacri (fuoco, aria, acqua e terra), era di origini mazdaiche, forse ancora più antico.

Queste erano le origini del chahar bagh, il giardino persiano, diviso in quattro (chahar) parti, e del successivo cortile islamico, arricchito da una fontana centrale e racchiuso all’interno di mura. Questi cortili, di forma rettangolare o quadrata, erano presenti sia nei palazzi del califfo sia nelle case semplici, nei bazar, nelle moschee e nelle madrasse (scuole teologiche).
Questo “piano” onnipresente, di origine zoroastriana o mazdaica, descriveva l’unità, l’ordine e la serenità di uno spazio chiuso, centrato sul dono divino dell’acqua. Il giardino "paradiso" imperiale persiano era simbolo visibile della capacità ordinatrice del sovrano, contrapposta al resto del mondo caotico che sfuggiva al suo dominio.
La rigorosa geometria era temperata da vari alberi di modesta altezza, che conferivano un’atmosfera di pace e serenità.

Ogni elemento costituente il giardino persiano aveva una funzione allegorica: ogni pianta la sua simbologia.. (ad esempio il cipresso rappresentava l’eternità e poeticamente la bellezza femminile..)
Spesso le stanze della casa tradizionale non erano in comunicazione fra loro, si aprivano tutte sul cortile centrale, che con la sua bella vasca centrale e gli alberi da frutto, parte di un grande giardino che circondava tutto l’edificio.

Il giardino persiano è un ‘paradiso’ spesso delimitato da uno o più muri. ..anche lui..(

Da paradaiza, termine di origine avestica che designava una riserva di caccia reale, deriva anche il nome di Ferdowsi, sommo poeta persiano del X secolo, ma anche l'antica parola ‘giardino’. Le più importanti raccolte di poesie persiane si chiamano Golestan ‘roseto’ e Bustan ‘orto’.
Pairidaeza (iranico) è un composto di pairi- (attorno) e -diz (creare) la cui deriva porta a paràdeisos (greco), pardes (ebraico), partez (armeno) e paradisus (latino), da cui seguì in italiano la parola paradiso.

Ma come per tutte le cose ci sono molte sfumature.. come in eschimese esistono dozzine di termini per indicare i vari tipi di neve, e in arabo almeno altrettanti, per i vari tipi di sabbia, allo stesso modo la lingua persiana si sbizzarrisce a designare i vari tipi di giardino.

.. un po’ come quando in Africa ti spiegano che ogni acqua ha un preciso odore e colore.))


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Meravigliosi giardini esistevano già in Persia nelle regge dei re achemenidi molti secoli prima dell’Islam (+/-550-330ac.).
«.. in tutte le terre in cui va a soggiornare, si impegna affinché diventino giardini, i cosiddetti paradisi, pieni di tutte le cose belle e buone che la terra è solita produrre..» così si diceva del principe Ciro il Giovane, la fonte è l’Economico di Senofonte, che descrive lo stupore del generale lacedemone Lisandro, dinnanzi ai giardini, tra i primi della storia.

A Pasargadae, vicino all’attuale città di Shiraz, antica via di accesso a Persepoli, in Iran, dove Ciro il Grande aveva impiantato i suoi giardini, rimangono ancora vestigia del tracciato ortogonale dei canali di irrigazione.
A poche centinaia di metri si erge la sua tomba, maestosa nella sua semplicità.

Dal 6° secolo aC. in poi, il giardino persiano come recinto, come speculum mundi, ha stabilito un modello imitato senza soluzione di continuità in tutto l’Islam, dagli estremi lembi occidentali del Marocco e ddella Spagna, fino ai lontani regni degli imperatori Moghul nel Rajastan indiano e di Tamerlano a Samarcanda, dove pare che la disposizione degli alberi tenesse conto perfino del colore e del profumo delle specie.

Lo schema del giardino persiano chaharbagh, quello diviso in quattro settori, si può fare risalire al dualismo zoroastriano (almeno così disse Zarathustra nell'Asia centrale,) ma anche ai mandala di origine indù e buddista e assecondava un profondo bisogno di organizzare la terra secondo un reticolo e di porre l’individuo al centro di quel cosmo concettuale.

La primissima testimonianza di chaharbagh si trova su una coppa in ceramica del 2000 aC trovata a Samarra, con canali che si incrociano formando quattro compartimenti, quattro settori, cioè le quattro regioni o i quattro regni del regno vivente: le acque che bagneranno il soggiorno dei Giusti portando vino, miele, acqua e latte.. ciascuno con un albero o un uccello: tuttora in molti giardini persiani in ciascun settore è piantato un diverso albero da frutta.

Nel giardino si inseguono canali, cascate e giochi d’acqua a rappresentare i quattro fiumi del paradiso menzionati nella Genesi.
In questa quadripartizione i mistici sufi videro le quattro tappe della progressione iniziatica: il giardino dell’anima, del cuore, dello spirito e dell’Essenza a cui il mistico aspira nella sua ricerca.

Era anche previsto che il paesaggio circostante includesse luoghi appositamente rialzati per permettere sia il godimento temporale che la contemplazione mistica. Nella stretta associazione fra giardino e architettura, tutti i giardini orientali, persiani in modo particolare, erano abbelliti da varie tipologie di padiglioni e chioschi (dal persiano kioshk), specchi d’acqua e isolette, osservatori panoramici e torri di guardia.

Ogni giardino era anche orto botanico, uccelliera e zoo, un microcosmo che replicava in scala ridotta e "domestica" i grandi parchi reali.
I migliori esempi di ‘natura artificiale’ arrivati fino ai nostri giorni sono il giardino Finn a Kashan in Iran, il "generalife" all’interno dell’Alhambra di Granada e lo Shalimar a Lahore in Pakistan.

Un principe o una coppia regale stanno comodamente seduti tra aiuole lussureggianti, altre volte un giovane raccoglie frutta o fiori da un albero: immagini in apparenza mondane che in realtà nascondono i profondi significati metafisici espressi dalle preziose miniature persiane. Su questi sfondi incantati, fiorì un genere letterario specifico, la ‘poesia del giardino’, il cui più illustre rappresentante, nel 13° secolo, fu Ibn Khafaya de Alzira, detto appunto ‘il giardiniere’.

Tutta l’arte islamica è permeata da motivi vegetali: fiori e rami si arrampicano non solo sulle mattonelle dipinte di tutte le moschee, ma anche nelle decorazioni in stucco delle case patrizie. Incantevoli racemi assimilano ad arbusti maestosi i giganteschi bulbi a forma di ferro di cavallo delle cupole.. evocano l’albero Thube, albero del piacere e della gioia,che Maometto aveva visto in sogno.. un albero confine, dove si trova il giardino della dimora eterna.. sura 53, 14-15.

Le poesie non sono le uniche espressioni d’arte in cui i popoli irano-timuridi hanno espresso il loro amore per i fiori: moltissimi tappeti persiani ne sono cosparsi e riproducono all’infinito un meraviglioso fiabesco giardino, la stessa architettura è spesso concepita come un bouquet multicolore.

Il tappeto persiano.... simbolo della vittoria sulla natura selvaggia del deserto... è spesso un tappeto-giardino cosparso di fiori, a volte diviso in quattro settori da un disegno cruciforme, come un vero ‘tetragiardino’ (chaharbagh) è una sorta di giardino che si può portare all’interno, in un continuo effetto dentro-fuori.. al pari di un pezzo di casa che si può portare all’esterno.

 

(per oggi può bastare.. se avrete avuto pazienza, e ne porterete ancora, sarà più "semplice" leggere l'altro giardino.)
p.s. se vi sto annoiando troppo o sono troppo geograficamente lontano, ditemelo.. che taglio tutto e mi sposto sull'isola.


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ora passiamo dai cugini, riportando un vecchio frammento d’Oriente.

Un padiglione che appare attraverso i rami, le rocce imponenti di una montagna, i meandri di un ruscello e ovunque, all’ombra o al sole, fiori dalle tonalità cangianti... No, non si tratta di un dipinto bensì di una veduta paesaggistica così “costruita” da sembrarlo.

D’altra parte in Cina, quella dei giardini è un’arte che ha una lunga storia e il loro stile è veramente particolare.. attraverso uno sviluppo che si è protratto nei secoli, i cinesi hanno elaborato al riguardo una teoria estetica del tutto originale.

L’origine del giardino tradizionale risale molto indietro nel tempo, alle dinastie Qin e Han (221 aC.-220 dC.).

Tra i numerosi palazzi e padiglioni di quel periodo il Shang Lin Yuan, il Palazzo d’Estate dell’imperatore Wu, della dinastia Han, rappresenta qualcosa di affascinante: lo componevano un giardino, palazzi e templi e, al suo interno, fra alberi e fiori, vivevano daini, cani, cavalli ed elefanti insieme ad altri rari animali e molti specchi d’acqua - stagni e laghi - il più famoso dei quali era il Lago Kunming.

L’ampio spazio destinato allo svago e la disposizione degli edifici fanno dello Shang Lin Yuan un esempio fra i più significativi dei giardini architettonici di epoca Qin-Han.
Fra il II e il VI secolo d.C., causa dilagante corruzione fra la classe politica, si innestano significativi mutamenti, che coinvolgono tutti i settori, tra cui quelli di progettazione e realizzazione di giardini.
Nasceva così una nuova generazione di giardini.. Le colline riproducevano perfettamente picchi e precipizi, gole e vallate, torrenti e cateratte.. gli alberi e i numerosi rampicanti riempivano l’aria di profumi agresti.

Sotto la dinastia Tang (618-907 d.C), quella dei giardini era già un’arte matura la cui storia oggi abbraccia un arco di oltre duemila anni, un lungo periodo che ha visto uno sviluppo continuo di abilità e di tecniche ed un progressivo arricchimento concettuale. Attraverso scambi culturali, la tradizione cinese ha influenzato lo sviluppo dell’architettura dei giardini di molti altri paesi, fra cui il Giappone, dove l’arte del giardino paesaggistico fu importata nel corso del VI secolo dell’era cristiana e divenne una sorgente feconda per lo sviluppo successivo del giardino giapponese.

A differenza di quanto avvenne nella cultura europea, dove si ebbe una fusione fra pittura e arte del giardino paesaggistico soltanto nel XVIII secolo, la costruzione del giardino cinese, fin dagli albori, fu sempre strettamente connessa alla pittura paesaggistica tradizionale ad acquarello, in una sorta di sviluppo simbiotico.. in Cina i giardini erano in gran parte progettati da poeti e da pittori, tesi alla ricerca di un’atmosfera che interpretasse la loro sensibilità artistica: non è difficile immaginare un giardino come una sorta di poema naturale che invita alla contemplazione, o come un rotolo cinese dipinto, che viene srotolato lentamente davanti agli occhi.

Quelli che si sono conservati fino a noi risalgono per lo più alle dinastie Ming e Qing.
Provando ad addentrarci nelle tecniche di progettazione e di costruzione dei giardini cinesi classici, bisogna ricordare che vi sono due modi di guardare un giardino: lo si può guardare rimanendo immobili oppure spostandosi o creando luoghi strategici affinché colui che passeggia possa guardare il giardino restando immobile.

Sono gli elementi rivelati nella natura.. ed è questo ragionamento che è alla base della costruzione dei giardini "naturali" dove i corsi d’acqua e le rocce devono essere disposti armoniosamente.
D’altra parte la nota più caratteristica ed espressiva nei giardini cinesi sono proprio le colline artificiali (o montagne in miniatura)… attraverso queste forme spettacolari, che richiamano inevitabilmente l’immagine delle imponenti catene montuose di questo paese, si riesce a suscitare la sensazione di trovarsi in un perfetto ambiente naturale… (
talvolta in un modo troppo artificioso che fa pensare di essere in una green-disneyland.. … questo non dovevo scriverlo..).

L’acqua costituisce l’altro elemento irrinunciabile: sia che si tratti di un vasto lago artificiale o di un minuscolo stagno, l’acqua è sempre l’elemento tematico dominante della composizione del giardino e grande cura è posta nel far sì che tanto lo specchio d’acqua, quanto le sue sponde, presentino un aspetto perfettamente naturale. L’acqua, quasi mai in movimento, mai zampillante, elemento essenziale nel giardino è la tranquillità.. la sua quiete crea un clima che favorisce la contemplazione e la pace.

Idem per gli alberi, che non sono piantati unicamente per dar del verde, ma per produrre degli effetti artistici e generalmente più in ragione delle loro forme che delle loro specie.

Naturalmente, c’è anche la scelta dei fiori, dove ogni giardino ha uno stile particolare, nel quale i fiori offrono delle viste sempre mutevoli a seconda delle stagioni e della luce.. ed è un aspetto caratteristico dei cinesi mettere l’accento sulla posizione dei fiori, come sulla suggestione del pennello nella pittura e nella calligrafia. La rappresentazione simbolica è, di fatto, l’elemento che caratterizza l’arte cinese del giardino, che ripropone la particolare attrattiva e la forza del teatro.

Il mezzo utilizzato per dare l’illusione di allargare o di restringere lo spazio è quello di ricorrere alle viste che si vedono rimanendo immobili o spostandosi, proprio come nel Palazzo d’Estate che comprende sia il vasto lago Kunming che, nascosto nella montagna, il Giardino della Concordia. L’integrazione è una regola — occorre utilizzare le condizioni del luogo e integrare i paesaggi lontani.

Il grande e il piccolo sono relativi.

Come detto, la cosa che impressiona della Cina è la Natura… tutto quello che hai visto nel mondo c’è ed è più grande (montagne: la catena del
Karakoram-Himalaya, pianure: Manciuria, fiumi: YangTze e HuangHe, deserto: Gobi, Turpan e il Taklamakan o mare della morte) è tutto così impetuoso e grande.. nel senso proprio di grande.. e devastante, che resta veramente difficile da riprodurre… (eppoi - anche questa è una considerazione rispettosa e personale - la Cina è stata sempre terra di viaggio e viaggiatori e, pur mantenendo nascosta una parte del proprio giardino, si adattò presto a soddisfare ciò che lo straniero chiedeva).

… siamo arrivati, ancora poche ore e saremo in Giappone.


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Sono arrivato col tempo ad apprezzare l’inesprimibile solitudine di un unico ramo fiorito, disposto in una composizione nel modo voluto,

dopo pause e pause e sguardi nel vuoto.. che mani esperte si prendevano per il lavoro.

Sono arrivato col tempo (forse) a dare un senso al giardino giapponese.

Ebbene, un giardino giapponese non è un giardino fiorito, né viene creato allo scopo di coltivare di piante o avere fiori.

In nove casi su dieci non ci sarà nulla al suo interno che ricordi un’aiuola fiorita.

Ci sono giardini in cui si trova a malapena un rametto di vegetazione, altri che di verde non hanno traccia e sono fatti soltanto di rocce, ciottoli e sabbia.

Di norma il giardino giapponese è un paesaggio, che però non richiede disponibilità predefinite di spazio e può ricoprire indifferentemente uno spazio enorme così come uno molto piccolo.

Se ne trovano che stanno in un perimetro di diecipassi e, nei casi al limite, possono stare anche in uno spazio molto più piccolo.

C’è un tipo di giardino che può stare in un tokonoma , uno spazio rialzato allestito nella parte più importante della casa.. talvolta contenuto in un recipiente e non più grande di un portafrutta.. detto koniwa o toko-niwa .

Il toko-niwa viene di solito allestito in una ciotola particolare o in una scatola intagliata poco profonda o in altri contenitori di forma insolita. Dentro il contenitore vengono create colline minuscole, a volte con casette minuscole e piccolissimi stagni e ruscelletti microscopici attraversati da minuti pronti ad arco, su catini per l’acqua chiamati chodzu-bachi.

Piantine minutissime fungono da alberi e ciottoli di forma curiosa rappresentano le rocce.

Si tratta, insomma, di un realistico modellino di un realistico paesaggio giapponese.

Come già detto.. un’altra questione di primaria importanza da tenere a mente è che, per capire la unicità di un giardino giapponese, occorre comprendere la bellezza delle pietre.. non le pietre sagomate dall’uomo, ma quelle forgiate unicamente dalla natura.

All’ingresso dei templi, ai lati delle strade, davanti ai boschi sacri, in tutti i parchi luoghi di ricreazione, oltre che in tutti cimiteri, si noteranno grandi lastre regolare di pietra, perlopiù provenienti dal letto del fiume e lavorate dall’acqua.. recano ideogrammi incisi e lasciate per il resto allo stato grezzo.. hanno funzione di targhe votive, monumenti commemorativi o pietre tombali e raramente recano un nome, perché, secondo ancestrali usanze, viene riportata una frase commemorativa a ricordo dell’estinto (evento o persona non importa).

E’ probabile che ci si abitua a tal punto a vedere iscrizioni incise sulle rocce, da cercare istintivamente incisioni dove non ce ne sono - ne potrebbero essercene - quasi che gli ideogrammi appartenessero naturalmente al processo di formazione delle rocce.

Forse allora le pietre cominceranno ad assumere ai nostri occhi un aspetto individuale, una certa fisionomia e suggerire stati d’animo e sensazioni.. come suggeriscono i giapponesi.

Non c’è da stupirsi che in un paese dove si apprezza tanto la suggestione delle forme naturali, esistano molte credenze e superstizioni curiose sulle pietre.. in quasi tutte le province vi sono pietre famose ritenute sacre o incantate o dotate per altri versi di poteri miracolosi e dunque oggetto di pellegrinaggio.. come la «pietra delle donne» nel tempio di Hachiman a Kamakura o la Sessho-seki o «pietra della morte» a Nasu .. ci sono leggende su pietre che hanno dato segni di vita, come le «pietre riverenti».. che si inchinano davanti al monaco Daita quando questi predicò loro la parola del Buddha, o il grosso masso che, secondo un’antica storia narrata nel Kojiki ("vecchie cose scritte", conosciuto anche come Furukotofumi.. è la più antica cronaca esistente in Giappone e il primo testo di narrativa giapponese, composto da Ō no Yasumaro nei primi anni del secolo VIII).. L’imperatore O-Jin, nella sua augusta ebbrezza colpì con l’augusta frusta una pietra e questa scappo via.

Le pietre grandi formano lo scheletro, l’intelaiatura per così dire dei grandi giardini antichi. Ogni pietra che viene sistemata nel giardino o all’interno degli edifici e non solo è scelta per la sua particolare espressività formale, ma ha anche un nome preciso e individuale, che ne indica lo scopo o la funzione decorativa.

Nella maggior parte dei giardini si trovano grandi rocce abbondantemente ricoperte di muschio e una serie di gradini per raccogliere l’acqua e talvolta una siepe, che funge da schermo divisorio.

In taluni ci sono colline in miniatura su cui crescono alberi antichi e lunghi declivi erbosi ombreggiati da arbusti in fiore, come sponde di un fiume.. zone di sabbia lisce con una superficie di seta, che imitano le ansie di un corso d’acqua.

Le zone di sabbia non sono pensate per camminarci e talvolta sono attraversate in varie direzioni da file di pietre piatte, disposte a intervalli irregolari e dei rilievi .. dove anche le ombre hanno la loro parte.

Talvolta, invece, occupati da lampade in legno o pietra o da “strane figure” come lo shachihoko, un animale fantastico come quelli che si vedono sui tetti dei vecchi edifici: un grande pesce di pietra con la testa a terra e la coda in alto.

Per chi volesse approfondire c’è un testo abbastanza sui generis, curioso e dettagliato del 1893, di Josiah Conder.. Landscape gardening in Japan (anche sul sito delle intraprendenti guerriere).

Quello che ho compreso è che nel giardino giapponese non c’è il minimo tentativo di creare un paesaggio impossibile o puramente ideale.. il suo scopo è quello di ricreare fedelmente le bellezze di un paesaggio autentico, forse mai visto (finora) ma esistente.. e trasmettere, quindi, la stessa sensazione provata difronte a un paesaggio vero . .. e ... come lo scenario naturale nei suoi molteplici aspetti, ci comunica sensazioni di gioia o di solennità, al pari di atmosfere cupe o sinistre, di pace o di forza.

Così come anche la sua visione, nell’insieme, cerca di trasmetterci uno stato d’animo.

 

I grandi giardinieri paesaggisti del passato, i monaci buddisti che per primi introdussero quest’arte in Giappone, la fecero diventare in seguito una scienza pressoché occulta e si spinsero ben oltre.. facendo emergere dal disegno di un giardino lezioni morali e concetti astratti, cercando l’espressione sia nello d’animo della Natura, sia nella condizione dello stato d’animo dell’Uomo.

Molti di questi giardini sono spazi di gioco per bambini, soprattutto quelli vicino al templi.. generazioni di bambini han giocato a giochi dai nomi curiosi e buffi..

Mekusan-gokko” una sorta di mosca cieca ... “Kage-Oni” l’ombra e il demone .. “Onigokko” il gioco del diavolo.

 

Il Giappone è, per certi versi e soprattutto per noi dell’ovest, un paese strano … (abbiate pazienza.. continuerà.)


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Dalle parti di Matsue, andando verso il santuario di Izumo, ci sono diverse case di samurai.

Anche la casa di un samurai ha il suo giardino.. e ogni giardino ha i suoi alberi.

Di solito vicino all’ingresso della casa c’è una specie di tuia - ricordate da piccoletti quando, ubbidendo a nostra madre che si raccomandava di non tirar sassi con la fionda, si trovavano “le gnappette”.. - beh, sicuramente avevate trovato una tegashiwa.. un albero (di solito lo riduciamo ad arbusto da siepe) legato “all’invito.. al ritorno”, le sue raggruppate ramificazioni sembra che facciano un cenno.. (torna ..

cosa di meglio per il nostro guerriero che si apprestava a lasciare la sua famiglia…)

Un altro albero che si trova quasi sempre è la nandina (anche questo spesso ridotto a cespuglio… dalle bacche, generalmente rosse) il nanten o albero della buona sorte.. se hai fatto un brutto sogno, raccontalo a lui e non si avvererà mai.

Un altro albero che è sempre presente è la yuzuruha, una specie di magnolia che non sembra la nostra magnolia, se non per foglie un po’ più lanciformi e spesso lucide come il bronzo. Lui (o lei) è un albero di buon auspicio perché nessuna delle sue vecchie foglie cade mai prima che una nuova, che cresce dietro di essa, sia ben sviluppata.. a simboleggiare la speranza che il padre non morirà prima che suo figlio sia diventato un uomo vigoroso..

Gli alberi, come gli arbusti, hanno le loro curiose poesie e leggende.

Come le pietre, ogni albero ha il suo nome di paesaggio speciale, in base alla sua posizione e al suo scopo nella composizione.

Proprio come rocce e pietre formano lo scheletro della pianta di un giardino, così i pini formano la struttura del suo disegno di fogliame… spesso dalle fogge bizzarre.. le chiamo fogge e non potature perché l’intervento umano ad un certo punto si ferma, si mette di lato, quasi avesse forgiato il carattere dell’arbusto, che oramai può crescere da solo.. portando però l’impronta di chi lo ha cresciuto e prendere la sua Via.

L'obiettivo del giardiniere, con una cura lunga e instancabile ha dato un taglio giudizioso, senza forzare la naturale tendenza alla linea frastagliata e alle masse di “fogliame”, ma indirizzandola verso una tenace visione. Quella del fogliame verde scuro e spinoso è una visione che l'arte giapponese non è mai stanca di imitare nell'intarsio metallico o nella lacca dorata.

Il pino è un albero simbolico, in questa terra di simbolismo: sempre verde.. è allo stesso tempo l'emblema di uno scopo risoluto e di una vigorosa vecchiaia, oltre che – non poteva mancare - le sue foglie a forma di ago hanno il potere di allontanare i demoni.

Non possono mancare i sakuranoki, il ciliegio giapponese, che portano fiori da un rosa più etereo al bianco arrossato.

Quando, in primavera, gli alberi fioriscono, è come se le più deboli masse di nuvole vagamente sfumate dal tramonto fluttuassero dal cielo più alto per piegarsi sui rami. Questo paragone non è un'esagerazione poetica… è un'antica descrizione giapponese della più meravigliosa esposizione floreale che la natura è in grado di fare. Josiah Conder

Non ci sono foglie verdi.. queste vengono dopo: c'è solo una gloriosa esplosione di fiori, che velano ogni ramoscello e ramo nella loro delicata nebbia e il terreno sotto ogni albero è coperto alla vista da petali caduti come una neve rosa.

Quelli piantati nei vecchi giardini dei samurai non erano apprezzati solo per la loro bellezza.. i loro fiori immacolati erano considerati come simboli di quella delicatezza e sentimento, ma anche di irreprensibilità della vita che apparteneva all'elevata cortesia e al vero cavalierato.

(.. chissà quante volte è stata ripetuta: "come il fiore di ciliegio è il primo tra i fiori, così il guerriero dovrebbe essere il primo tra gli uomini")

Un altro albero che spesso ora il giardino è il umenoki, plum-tree, il prunus-prugno-susino giapponese,.. anche lui con una bella e lunga fioritura, certamente non da far invidia al sakura-no-hana.

I giapponesi paragonano la bellezza della donna - la bellezza fisica - al sakura-no-hana, mai al fiore di prugna, ma la virtù femminile e la dolcezza sono paragonate agli ume-no-hana.

Spesso i nomi degli alberi o dei fiori vengono affibbiati a ragazze, prefissati dall'onorificenza "O": O-Matsu (pino), O-Take (bambù), O-Ume (prugna), 0-Hana (Fiore ), O-Ine (giovane riso), si dice che l'origine di certi nomi di alberi portati dalle ragazze deve essere ricercata nella concezione popolare dell'albero come emblema di longevità o felicità o fortuna, piuttosto che in un'idea della bellezza dell'albero in sé.

Che gli alberi, almeno gli alberi giapponesi, abbiano un'anima non può sembrare una fantasia innaturale per chi ha visto sbocciare l'umenoki e il sakuranoki. Questa è una credenza popolare a Izumo e altrove. Non è in accordo con la filosofia buddista, e tuttavia in un certo senso sembra essere molto più vicina alla verità cosmica.. infatti, esistono strane superstizioni su particolari alberi, non diversamente da certe credenze dell'India occidentale, che hanno avuto una buona influenza sul controllo della distruzione del legname pregiato.

Il Giappone, come nell’emisfero tropico-australe, ha i suoi goblin.. il magico e scanzonato Puck e i suoi amici.

Di questi, l'enoki (celtis o bagolaro) e lo yanagi (salice cadente) sono considerati particolarmente spettrali e raramente si trovano nei vecchi giardini giapponesi. Si ritiene che entrambi abbiano il potere di ossessionare..

"Enoki ga bakeru" . “bakeru” può essere tradotto come "essere trasformato" o "essere cambiato"..

L'albero stesso non cambia forma o luogo, ma uno spettro chiamato Kino-o-bake si sgancia dall'albero e cammina in varie forme.. molto spesso la forma assunta dal fantasma è quella di una bella donna.. (rammentate Emma Shappling). Lo spettro degli alberi raramente parla e raramente si avventura per andare molto lontano dal suo albero. Se qualcuno si avvicina, si rimpicciolisce immediatamente nel tronco o nel fogliame. Si dice che se un vecchio yanagi o un giovane enoki vengono tagliati, il sangue scorrerà dallo squarcio… quando questi alberi sono molto giovani, non si ritiene che abbiano abitudini soprannaturali, ma diventano più pericolosi man mano che crescono.

Malgrado questo l'enoki a volte riceve i più alti onori religiosi, per lo spirito del dio Kojin, a cui sono dedicate le vecchie bambole e si suppone che lo spirito o il dio stesso dimori all'interno di alcuni antichi alberi di enoki.. e per tale motivo sempre oggetto di riverenza o preghiera (sempre meglio fare un’offerta che ricevere un’offesa..).

Più ne sai... più lo conosci.. più ti allontani dalla verità.

Un tale disse che i giapponesi parlano al contrario, leggono al contrario, scrivono al contrario, e che questo è solo l’abc del loro essere alla rovescia. Vi sono ovvie ragioni evolutive alla base della consuetudine di scrivere al contrario e le esigenze della calligrafia giapponese spiegano una sufficienza perché l’artista imprime al pennello o alla matita un movimento di spinta, invece che di trazione. Ma perché, invece di infilare il filo nella cruna, la ragazza fa scivolare la cruna all’estremità del filo !?!

Passando per qualche bottega di vecchi artigiani si noterà che anche i gesti ci sono estranei… le attività vengono svolte in modi completamente opposti. Gli attrezzi hanno forme sorprendenti e sono maneggiati in maniera sorprendente: il fabbro accovacciato accanto all’incudine manovra uno strano martello che nessun fabbro occidentale ha mai visto.. anche un kozuchi necessita di lunga pratica … il falegname lavora di pialla o di sega, anch’essi attrezzi di una foggia inusitata, con movimento di trazione, anziché di spinta.

Il lato sinistro è sempre quello giusto e il destro quello sbagliato… anche per aprire o chiudere una serratura le chiavi vanno spesso girate nel senso per noi contrario.

Fra i molti possibili esempi di comportamenti diametralmente opposti, forse il più notevole è fornito dall’arte giapponese della spada.. assestando il colpo con entrambe le mani, nel momento in cui la lama colpisce, il giapponese non tira la lama verso di sé, ma la spinge verso l’esterno. La usa come fanno anche altri asiatici, secondo il principio della sega e non del cuneo… e tuttavia nel colpire c’è un movimento di spinta laddove ce ne aspetteremo uno di trazione...

I pensieri di questa gente non sono i nostri pensieri, i loro sentimenti non sono i nostri sentimenti, la loro vita morale rappresenta per noi territori mentali ed emotivi ancora inesplorati o forse da lungo tempo dimenticati.

Molte delle loro espressioni quotidiane sembrano frasi del tutto prive di senso... ammenoché non avessimo imparato anche noi a pensare come un giapponese.. e cioè a pensare al contrario, a pensare capovolto e alla rovescia, a pensare in direzioni totalmente estranee alla mentalità ariana.

Il nostro giardino non è come un giardino giapponese... forse nessun giardino è come un giardino giapponese.

 

IzumoTaisha.jpg

 

(alla prossima puntata, sayonara, o meglio, mata ne.)


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Come gli alberi i fiori..
e visto che in un giardino giapponese generalmente non manca mai l'acqua.. lungo la riva di piccoli stagni c'è una pianta dominante.. è il loto.
Andrebbe osservata soprattutto nei giorni di pioggia, dove grandi petali a coppa raccolgono l'acqua e la trattengono per un istante, fintanto che, riempita la coppa , lo stelo cede e si svuota con uno scroscio sonoro, per poi raddrizzarsi e cominciar di nuovo.

Da qualche parte ho letto che l'acqua piovana sulle foglie di loto è uno dei soggetti preferiti degli artigiani del metallo, perché solo con l'uso del metallo si è in grado di riprodurne l'effetto .. il colore dell'acqua che scivola sulla verde superficie oleaginosa.. che ricorda quello dell'argento vivo.
E pensare che nasce nella melma più putrida... ma il loto rimane puro e incontaminato.. solo lo spirito di colui che rimane sempre puro tra le tentazioni è come un candido loto.

Secondo il buddhismo tutte le cose esistenti si dividono in hijo, cose prive di desiderio, come le pietre e gli alberi, e ujo, cose dotate di desiderio e come per gli uomini e gli animali.. per tutti, inclusi alberi e piante, rocce e sassi, ci sarà il "nirvana".

Tra gli animali dello stagno, risparmiandovi le molte leggende, mi piace menzionare l'hikigaeru, un rospo malefico, vissuto tanto tempo fa, che non risucchiava insetti, ma bensì esseri umani e la tartaruga.
Nella mitologia popolare, la tartaruga è al servizio del dio Kompira.. e se un pescatore devoto ne trova una, le scrive sul guscio alcuni ideogrammi che significano "ancella del dio Kompira".. le dà un sorso di sakè e la lascia andare.

La tartaruga rappresentata nella leggenda di Urashima viene disegnata con una coda particolare o meglio, un ventaglio di piccole code che le si allarga dietro, come la frangia di un mino - il mantello di paglia che si indossa per ripararsi dalla pioggia - .. da cui il nome di minogamè.

Un precetto buddista ricorda di non uccidere invano nessun ujo.. se uccidi un serpente senza motivo, quando scoperchi il komebitsu (il contenitore per il riso cotto) dentro lo ritroverai.

Per finire il maraviglioso mondo animato, mi piace ricordare un insetto suicida.. che, per nulla intimorito e affascinato dalla luce, abbraccia qualsiasi sorgente luminosa e ci resta secco!
Questo esserino impavido che va incontro alla morte viene chiamato sanemori.

Sanemori è un nome illustre, quello di un famoso guerriero del passato, appartenente al clan Genji.
Secondo la leggenda, nel corso di un combattimento il suo cavallo scivolò al galoppo mentre attraversava una risaia e Sanemori, sopraffatto, fu ucciso dell'avversario e.. si trasformò in un insetto divoratore di riso.
Ancora oggi nelle campagne, l'insetto è chiamato Sanemori-an.

In certe sere destate i contadini accendono fuochi nelle risaie per attirarlo e al suono di gong e flauti e cantilenano.. O-Sanemori degnati nella tua grandezza di venire qui.. nel frattempo un kan-nushi (una figura shintoista) celebra un rito religioso e un fantoccio di paglia, che rappresenta cavallo e cavaliere, viene bruciato o gettato in un canale. Il rituale servirebbe a sbarazzarsi dell'insetto... di questa minuscola creatura che non è molto diversa dalla glumella di un chicco di riso.. rappresentato nella leggenda, per il suo corpo, insieme alle ali, ad un kabuto di un guerriero giapponese.


(mi pare meglio ... almeno con gli apostrofi..))

Modificato: da betadine

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Perdonate.. ma il mio alluce verde è stato distolto da alcune lame, dal suo lavoro di giardiniere.. pur rimanendo in tema con queste spirituali escrescenze arboricole, con radici ben più profonde e taglienti delle lame che siamo abituati a visionare.

 

Queste rappresentano in primis la natura, che secondi han cercato di riprodurre in questo “insieme di insiemi” … un insieme che queste genti giapponesi son riuscite ad avvicinare più di altre genti.. con l’aiuto e la benedizione di ben tre religioni che gli indicavano il cammino ed una “natura” generosa e selvaggia, sempre pronta a riportar per terra vani tentativi di predominanza.. Namazu docet.

Abbiamo visto che, tra le cose senza desiderio, ci son molte tracce e richiami ..
Il paziente tegashiwa.
Il nanten o albero della buona sorte..
La yuzuruha, un albero di buon auspicio .. a simboleggiare la speranza che il padre non morirà prima che suo figlio sia diventato un uomo..
Il pino un albero sempre verde .. allo stesso tempo l'emblema di uno scopo risoluto e di una vigorosa vecchiaia.
I sakura, nei vecchi giardini dei samurai non apprezzati solo per la loro bellezza.. i loro fiori immacolati considerati come simboli di quella delicatezza e sentimento, ma anche di irreprensibilità della vita che apparteneva all'elevata cortesia e al vero cavalierato.
Gli ume-no-hana, o fiore di prugna, la virtù femminile e la dolcezza.
Poi la purezza del loto, che si piega e torna su.
I flessibili e imperscrutabili yanagi, il salice.
Senza scordarsi dei nostri bellissimi sassi e, per finire nell’altro regno, di un guerriero con tanto di kabuto e pronto al sacrificio .. il sanemori.

Il lavoro di un giardinere (vero .. non come me, e peraltro aiutato da molti Kami) era quello di indirizzare, quasi forgiare la piccola pianta, al pari del giovane popolo, dargli la forma e poi lasciarla evoluire.. consapevole che sarebbe comunque rimasta temprata da quell’iniziale duro e paziente lavoro e ne avrebbe mantenuto nel tempo le caratteristiche.

Le quattro tipologie principali di giardino sono:

il Giardino dello stile Shinden-zukuri (寝殿 造) si riferisce allo stile dell'architettura aristocratica sviluppata in Heian-kyō (平安 京, l'odierna Kyoto ) nel periodo Heian (794-1185), specialmente nel Giappone del X secolo.

 

Shinden-Zukuri_Korakuen_(Okayama).JPG

il Giardino di Jōdo (XI-XII), creato a metà del 12 ° secolo … si dice che ci sia un unico esempio rimasto di un giardino Jōdo (un giardino progettato sulla base di uno schema di mandala che raffigura la terra pura dove vivono Buddha e Bodhisattva), dove lo stagno di Oizumi, nel centro del giardino, è quasi intatto come lo era 800 anni fa. L'isola a forma di lacrima al centro del laghetto e le rocce abilmente distribuite sono in un equilibrio squisito, e la superficie cristallina dello stagno riflette gli alberi circostanti.
Il Tempio di Motsuji è anche conosciuto come “il tempio dei fiori”.

 

Motsuji_pure_land_garden_original.jpg

il karesansui (a partire dal XIV)

Il classico giardino zen, apprezzato per la sua purezza e spiritualità meditativa. La sua qualità trasformativa non è affatto incidentale .. i giardini giapponesi sono meticolosamente progettati e realizzati con cura in ogni singolo elemento, i loro stili distinti sono infatti estremamente vari e rivelano un profondo legame con la storia e la cultura del Giappone.

Karesansui-Landscape-Garden.jpg

 

E per finire, il Giardino del Tè, chiamato roji (a partire dal XVI).
"Terra rugiadosa" o giardino illuminato, è il termine giapponese usato per il giardino attraverso il quale si passa al chashitsu per la cerimonia del tè. Il roji generalmente coltiva un'aria di semplicità.
Si dice che Sen no Rikyū sia stato importante nello sviluppo del roji. Il suo Myōki-an, "l'albero che sfiora le maniche", ha preso il nome dalle dimensioni minuscole del giardino.
Nella sua casa da tè a Sakai, piantò siepi per oscurare la vista sul “mare interno” e solo quando un ospite si chinerà sullo tsukubai (o chodzu-bachi, il bacino d’acqua) potrà vedere il panorama.

TeaGarden.jpg

_ _ _ _ _

Ognuna di queste “forme” ha preso vita e si è sviluppata in un particolare contesto sociale e culturale: ad esempio il giardino dello shinden-zukuri e quello di Jōdo, che sono quasi coevi, prosperarono in un epoca dinastica (Heian), ricca e florida.
In più, nel caso del Giardino di Jōdo, ci fu la rilevante influenza di una corrente religiosa, il mappō-shisō che spinse ad una sorta di fanatismo che mirava all’ottenimento della salvezza dopo morte.

Le altre due tipologie, invece, sono state notevolmente influenzate dallo zen, la cui pratica spinge l’uomo ad una profonda ricerca interiore finalizzata a rimuovere l’illusorio ego dal cuore e quindi dalle proprie azioni, per giungere finalmente a identificarsi con "l’uomo universale" e con tutto ciò che lo circonda.

per chi volesse approfondire https://japanobjects.com/features/garden-design

SAN SEN SOU MOKU

letteralmente Montagne Fiumi Erbe Alberi .... (ed è anche un bel libro)

 

Myoki-an.jpg

Oyasumi-nasai


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Intervento molto interessante, specie se si pensa che il medesimo sviluppo evolutivo verso il buke zukuri è stato svolto dalle spade e dalle montature. In particolare, l'influenza del concetto di wabi introdotto da Rikyu ha letteralmente sconvolto il senso di bello nel mondo civile della Nihonto.

Mi chiedevo se qualcuno dei nostri avesse voglia di postare un racconto parallelo in tal senso, trovando le corrispondenze o le divergenze dal percorso che hai descritto.


 

月の道

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...di sicuro resta il fatto che dal XVII in poi si assisterà ad una "semplice" rivisitazione di quanto già apparso.


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Provo a darne una interpretazione ... da un punto di vista "dei periodi"
Dovremmo avere..
> heian-primo kamakura

>> kamakura
>>> nanbokucho-muromachi
>>>> muromachi-momoyama > keicho-shinto.
(e fino a qui era abbastanza semplice)

Da un punto "formale" si passa dalla Jokoto o Chokuto alla Tachi e, successivamente, il cambiamento radicale avviene con la Uchigatana.

.. e per alzare un pò di polvere, direi che dal "virtuosismo" delle Awataguchi si arriva alla "complessità" delle Ichimonji, per poi passare da Osafune e Muramasa, fino all'essenzialità di Tadayoshi.

Sarebbe interessante avere contezza su quali stili e/o scuole, o kaji, abbiano inciso sul cambiamento dello stile - ammesso che ci siano state delle influenze - e, nel caso, in che modo ciò possa legarsi ad un dato periodo (più o meno belligerante).


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Anche, forse soprattutto, i koshirae hanno subito un percorso che ha seguito il cambio di criterio estetico.

Anche se montature in stile hanno continuato a produrle anche quando ormai il nuovo stile civile aveva ormai rimpiazzato il precedente stile militare, più protettivo e barocco.


 

月の道

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il mio piccolo Karesansui sulla terrazza di casa :arigatou:

 

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... molto bello.

Se ti va .. raccontaci qualcosa.. ispirazione .. origine delle pietre e della sabbia ..

Particolare anche il "muretto" con i ciottoli e l'austero e pulito volume dell'abitazione, contrastato da queste armoniche linee bianche e scure.

 

Trovo anche interessanti le due lampade sulla facciata, nella affascinante ultima foto, stanno lì come ad indicare (illuminare) il cielo e la terra.

:arigatou:


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Una terrazza, un borgo marino della Sardegna sud occidentale, di fronte all’isola di S. Pietro a migliaia di miglia dal Giappone. Cosa ci sta a fare un giardino zen in questa terra senza apparenti tratti in comune con le regioni del sol levante? E’ la prima domanda che mi sono posto quando ho iniziato a pensare di realizzarlo, la sorte ha poi voluto che in famiglia non ho trovato contrasto alla mia piccola impresa e questo si sa, se non è un consenso, è sicuramente un tacito assenzo, tutti quelli che hanno da mediare con una donna gli arredi della casa sanno bene di cosa sto trattando.

Poi non è nemmeno vero che non vi siano contatti tra le due terre, non fosse altro per i tonni pregiati che qui si pescano da secoli e che per decenni i giapponesi sono venuti a scegliere uno per uno, con una attenzione e competenza sconosciute anche ai rais delle tonnare di Carloforte. Prelevati appena pescati, imbustati, imballati coperti da ghiaccio secco e coperte termiche, per essere spediti in aereo che in poco più di mezza giornata li portava a Tokyo dove all’alba erano già sui banchi degli astatori del mercato di Tsukiji. AncheYoshindo e Leon Kapp mi dissero di conoscere Carloforte per esservi stati pochi anni fa quando vennero in Italia ed ancora ricordavano con piacere queste terre.

Inoltre il “giardino secco” era una sfida che avevo raccolto quando amici che sapevano della mia affezione per storia, arti e mestieri del Giappone, mi avevano chiesto dei giardini secchi di rocce e ghiaia e di cosa ci fosse di attraente in qualcosa che apparentemente era la negazione della mutabilità della vita, quindi in evidente contrasto con la natura e la sua bellezza celebrati dai giardini della tradizione italiana. Riflettendo mi sono reso conto che non c’era contrasto tra la concezione occidentale e orientale della vita e delle sue rappresentazioni artistiche. Il tratto d’unione tra le due culture si concretizzava nel concetto di “vuoto” che per noi ha ancora una accezione negativa, privativa mentre per gli orientali è l’essenza stessa del mondo conosciuto, senza il quale non potrebbe esistere quello che noi chiamiamo percettibile, tangibile, concreto. La scienza fisico quantistica ha dimostrato e continua a scoprire, che l’infinitamente grande è presente nell’infinitamente piccolo sia in termini di spazi che di energia, basti pensare a quella che può liberare la fusione dell’atomo. Per tornare a quel concetto cosi apparentemente estraneo alla nostra cultura, quel vuoto che noi apprezziamo cosi poco perché condizionati a volerlo riempire in continuazione, il più delle volte con un dispendio di energie immotivato, per poi sentirci frustrati se non ci riusciamo, senza renderci conto che giochiamo col tempo che la vita ci ha riservato e che magari avremmo potuto impegnarlo in altre occupazioni, quel vuoto è la metafora della vita moderna alla quale però neanche i giapponesi possono sfuggire con la loro frenetica attività da quando nascono a quando muoiono. Allora, se non ci riescono nemmeno nella patria della filosofia zen, come potremmo fare noi occidentali a rimanere fuori dal circo vorticoso della nostra società pur vivendo una vita appagante e serena che possa indurre gli altri a porsi la domanda: ma che ne sto facendo della mia vita?

Un comune amico, grande esperto di token e molto altro, un giorno mi confidava che per lui era facile coltivare ad alto livello la sua passione per le spade giapponesi, di avere una collezione invidiata, di vivere serenamente e senza affanni. Vedi, mi disse, io non ho l’auto, non ho la patente, non vesto abiti firmati ma decorosi, non faccio viaggi se non per approfondire lo studio della spada, sono stimato in questo mio mondo e non cerco di invadere altri campi, non ho il telefonino di ultima generazione, mi sposto in motorino e vivo in una città che amo, non imperverso in forum facendo sfoggio della mia conoscenza e davanti ad una spada, tra i miei interlocutori so per certo riconoscere il carattere di ciascuno, per quello che è veramente, non per come si dipinge sui social. Mi andò la mente a questi concetti:

La disciplina del vuoto ci aiuta a cogliere fino in fondo la bellezza dell’opera esposta, fare il vuoto nell’opera d’arte, nel bonsai, così come sulla carta o sull’argilla, dipende dalla capacità di fare il vuoto dentro di sé liberando la mente.

Significa diventare poveri, spogli e liberi da condizionamenti e da ogni proprietà”

 

Col concetto di vuoto mi ero già confrontato nel bonsai-do, attività che non ostante il grande recupero culturale degli ultimi decenni, guarda ancor oggi come ad un faro verso la tradizione artistica giapponese che fin da ere antiche aveva apprezzato la semplicità e l’essenzialità dello stile Bunjin o Literati, sia nella impostazione della pianta che del suo vaso, quel namban, che richiama alla sobria e scarna eleganza del vissuto con dignità e tenacia, contro ogni avversità dell’esistenza, concetti poi ripresi dal monaco buddista Rikyū; Sakai, 1522 – 21 aprile 1591) nella cerimonia del the: uno spazio dedicato al ritrovarsi con se stessi e i propri, pochi e stimati ospiti in un ambiente modesto, una dependance della grande e sfarzosa casa, dove ci si poteva finalmente affrancare doll’obbligo di appariscenza dettato dal contesto sociale che la vita esigeva. Il concetto wabi-sabi tanto apprezzato in Giappone e purtroppo non spesso ricercato qui da noi.

Però riflettendo, il vuoto permea profondamente anche la nostra cultura: nella musica se non ci fossero le pause non sarebbe possibile creare i tempi e le armonie, nello sport i tempi dedicati alla competizione richiedono un adeguato riposo, una casa non è abitabile senza quelle interruzioni dell’involucro, quei vuoti che chiamiamo porte e finestre e come accennavamo prima, il grande vuoto che ci accomuna, che la fisica ha dimostrato esistere anche nel metallo più tenace ove i cristalli e all’interno di essi atomi, elettroni ed altri componenti gravitano distanti tra di loro come la terra e la luna.

 

L'utilità del nulla”:

trenta raggi si incontrano in un mozzo / e in quel che è il suo vuoto sta l'uso del carro

si tratta l'argilla e se ne foggia un vaso / e in quel che è il suo vuoto sta l'uso del vaso

si forano porte e finestre per fare una casa / e in quel che è il vuoto sta l'uso della casa

 

Come dicevo prima, il mio giardino nacque come sfida, la sfida di fronte alla diffidenza di un amico che non credeva possibile trarre ispirazione e insegnamento da una natura “morta”

 

Ora la chiudo qui ma, se vi interessa, la storia ha un seguito

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Si... mi interessa conoscere il seguito (e per ora non dico altro. (altro , in merito al giardino, che molto probabilmente conosci molto meglio di me.)

Taluni "quel vuoto" lo apprezzano già da quando si spegne il cellulare.. quando ci si "scollega" dal mondo lontano e si liberano gli occhi, le orecchie e le mani, dedicandosi ad una connessione ravvicinata con tutto quello che c'è intorno… nel tuo caso potrebbe cominciare ascoltando il silenzio del mare e del vento.


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Vedete, il concetto di Vuoto è assai poco compreso qui da noi.

Come invece fa notare Rob, la sua potenza sta nelle sue infinite potenzialità.

Prima che il vuoto fosse indagato dalla fisica delle alte energie, scoprendo quel coacervo di particelle ed antiparticelle che lo popolano (e non solo potenzialmente), ne aveva parlato con grande chiarezza un altro uomo. Un medievale.

Fu un italiano, per cui lascio spazio direttamente alle sue parole.

 

 

Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:

dove è odio, fa ch'io porti amore,

dove è offesa, ch'io porti il perdono,

dove è discordia, ch'io porti la fede,

dove è l'errore, ch'io porti la Verità,

dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.

Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,

dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.

 

Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:

Ad essere compreso, quanto a comprendere.

Ad essere amato, quanto ad amare

Poichè:

Se è: Dando, che si riceve:

Perdonando che si è perdonati;

Morendo che si risuscita a Vita Eterna.

 

 

Avrete certo riconosciuto le parole di San Francesco.

Quando vengono lette da un fisico, si è quasi tentati di disegnare queste parole con un diagramma di Feynman.

 

La capacità di fare il Vuoto, di generare una cosa, come il suo contrario, portando equilibrio è caratteristica universale.

...e certamente architetturale che, in fondo, l'universale cerca di rendere figurato e manifesto.

Certo, occorre un orecchio estremamente esercitato per ascoltare il suono del silenzio.

Non a caso lui, come del resto Rikyu, scelsero il monachesimo.

 

Rob, attendo il proseguo del racconto del tuo giardino zen.


 

月の道

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piccoli accenni di hardware:

prendere esempio da quello che funziona (nel mio caso il giardino del tempio Ryōan-ji, 800000 visite l'hanno) cercando anche di capire perchè e cercare modestamente di riprodurlo rispettando le poche regole di asimmetria e spazi e utilizzando possibilmente materiali simili senza nessuna presunzione di farne copia ma solo di fare qualcosa che mi piaccia. La bordura è un granito cinese a basso costo che sembra molto simile all'originale, le pietre sono rocce nere arrotondate da millenni di usura e reperibili online con poca spesa. La "sabbia" e qui ho volutu metterci una connotazione tutta italiana, è graniglia 4/6mm di marmo di Carrara, stupenda nel suo candore e trasparenza, ordinata in una cava toscana e recapitatami con una spesa di meno di 300 euro in un big bag da 1500 litri. C'è poi un tappetino plastico che crea un sollevamento dal piano d'appoggio necessario per evitare ristagni d'acqua e formazione di muffe o muschio, una protezione di tessuto non tessuto e sopra la graniglia. Avrei potuto usare una grana più fine ma qui da me, il vento soffia forte e la grana 4/6mm non la sposta. Allego un paio di immagini del giardino originale e di quanto realizzato da me con lo schizzo progettuale.

 

L'originale Ryōan-ji

bbf9ef94-7201-477a-9edd-4f9ff41ddf95.jpgBORDURA PIETRA KARESANSUI.jpg

 

il mio

_DSC4317_03.JPGprogetto.jpg

 

Poi ci sarebbe il software, quello se avete pazienza lo posto nel pomeriggio

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La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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