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Rinnovo/Iscrizioni N.B.T.H.K. Italian Branch 2024

La Branch italiana è un piccolo organismo, sostenuto dall’impegno e dalla passione di pochi, ma risulta molto importante per lo sviluppo dei nostri studi sulla token. Vi esortiamo a prendere in considerazione l’idea di far parte di questo gruppo, non solo per progredire nello studio ma anche per diventarne sostenitori attivi. Oltre ad essere economicamente vantaggioso per chi vuole essere socio N.B.T.H.K., permette di avere un contatto privilegiato con la Sede Centrale a Tokyo, dando l'accesso a canali di studio altrimenti impensabili per un occidentale, come accaduto durante l'ultimo Special Meeting.
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"La spada del Samurai" di David Kirk

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Il colore era ogni cosa, il colore era tutto.

Il Fabbro di Anime alzò lo sguardo al cielo notturno e vide solo la vasta oscurità, il biancore delle stelle e il grigio delle ombre sulla luna autunnale. La notte era silenziosa e infinita e, in mezzo a tutto quello, si immaginò invisibile nel punto in cui sedeva sul fianco della collina. Era una cosa buona. Aveva bisogno di quella oscurità. Era una tela su cui stagliarsi.

«O, Fabbro di Anime», giunse una voce, «credo che la temperatura sia adeguata».

Il Fabbro si voltò e vide l’opaco profilo rosso del suo apprendista, illuminato da quanto bruciava alle sue spalle nella casupola. Le tende e le porte della costruzione erano spalancate e al suo interno si sentiva ruggire la fornace.

«Bene», disse il Fabbro. «Andiamo, ragazzo».

Il Fabbro era un uomo anziano e si alzò irrigidito. Aveva un nome, naturalmente, che sua moglie, i figli e le figlie conoscevano. Ma per tutti gli altri era solo il Fabbro. In quale altro modo avrebbero potuto chiamarlo senza mancargli di rispetto? L’apprendista, a sua volta, aveva trentaquattro anni ma nella loro arte era consono solo l’appellativo di “ragazzo”. Questo l’apprendista lo sapeva e non discuteva.

I due andarono alla casupola e vi entrarono, chiudendosi rapidamente le porte alle spalle e tirando giù il pesante drappo di velluto. Si sigillarono nell’oscurità dentro all’oscurità, a eccezione di ciò che ardeva. Quando si voltò verso la fornace, il Fabbro dovette schermarsi gli occhi dalla luce per un po’, avvertendo il familiare calore sul dorso della mano, sulla quale ormai i peli non ricrescevano più da tempo. Un paio di ragazzi – ragazzi veri dalla voce ancora intatta – manovravano un enorme mantice, usando tutto il corpo per imprimergli il moto sbuffante, e l’aria soffiava costante su un mucchietto di carboni le cui fiamme ardevano appena di azzurro. Da sotto quel mucchietto, il manico annerito di una barra di metallo perfettamente dritta era serrato in un paio di lunghe e forti pinze. Vicino c’era un trogolo d’acqua.

Senza dire una parola, il Fabbro prese un attizzatoio e iniziò a radunare i carboni lungo la linea centrale, sotto la quale c’era la barra, e ringhiò ai ragazzi al mantice di accelerare il ritmo. Sudati e sfiniti, essendo già all’opera da quasi un’ora, si misero al lavoro con rinnovata determinazione. I loro occhi scintillavano di ammirazione giovanile; stentavano a credere di essere stati scelti dal Fabbro per un lavoro simile.

L’apprendista, che tanti anni prima aveva esibito la medesima espressione mentre maneggiava i mantici, prese le pinze e si tenne pronto. Erano già quasi due mesi che insieme al Fabbro lavorava alla barra. Avevano preso quelle di acciaio tamahagane che sembravano nient’altro che escrementi fossilizzati, le avevano scaldate e martellate per poi assemblarle come un mosaico in un’unica linea suddivisa da quei pezzi che il Fabbro riteneva adatti a generare metallo duro e in quelli che avrebbero prodotto metallo più cedevole. Altro martellamento, altro calore, fondendo insieme l’acciaio, e la barra risultante era stata appiattita e ripiegata nove volte.

Quella era la scienza e la fatica del processo. Ciò che accadeva quellasera era arte.

Il Fabbro adesso aveva bisogno di assumere lo sguardo di un pittore, poiché il metallo doveva essere scaldato all’esatta temperatura e l’unico modo per capirlo era tramite il colore di cui riluceva. Aveva sentito alcuni uomini descrivere la sfumatura desiderata come quella del sole nascente, altri come quella dell’oro brunito o della buccia del cachi. Il Fabbro non sapeva dire con chiarezza quale colore considerava giusto perché non era un uomo di parole, ma nel corso dei decenni aveva finito per capirlo chiaramente.

Fece un cenno all’apprendista e l’uomo tirò l’acciaio fuori dalla fornace, tenendolo a distanza di braccio contro la perfetta oscurità in fondo alla casupola. La barra ardeva di un rosso ciliegia attraverso la torbidezza dell’impasto di argilla di cui era ricoperta. Il Fabbro scosse la testa e l’acciaio tornò dentro. Il Fabbro vi gettò sopra altri carboni, smosse quelli già roventi, facendovi sprizzare una fiamma più grande, e chiese ai ragazzi più aria. I piccoli corpi sussultarono, si crearono lividi sulle loro spalle, le fiamme ruggirono senza sosta fino a che il Fabbro vide in esse il blu violaceo dell’iris kakitsubata che fioriva sui pendii all’inizio dell’estate.

Altre due volte la barra fu estratta ed esaminata e altre due volte tornò dentro. La terza volta c’erano così vicini che il Fabbro stesso prese le pinze dall’apprendista e iniziò a muovere l’acciaio avanti e indietro sotto i carboni, rigirandolo da un lato e dall’altro, nei punti che sapeva necessitavano ancora di un po’ di calore e poi...

Lo tirò fuori e lo innalzò nell’oscurità, con le tremanti vecchie braccia che vibravano sotto quel peso.

Vivido arancione che virava a un magnifico giallo carico di scintillante biancore. Il metallo stava dichiarando che era pronto. Era il momento giusto e il Fabbro ruotò su se stesso e lo immerse nell’acqua.

Si levò del vapore e, attraverso le pinze, l’uomo sentì lo strappo del metallo che si deformava. La barra stridette, cedette prima in avanti e poi indietro nella lotta tra metallo duro e metallo morbido, e infine si compose in una lunga curva elegante. La grande transustanziazione era completa.

Era nata una spada.

 

 

Questo è l'inizio del secondo libro di David Kirk basato sulla storia di Miyamoto Musashi.

Ho avuto modo di leggere il primo libro "L'Onore del Samurai" e ne sono rimasto piacevolmente colpito.

Oltre ad essere molto preciso nel raccontare gli avvenimenti storici, l'autore effettua una dettagliata ricerca sugli usi e costumi dell'epoca senza essere mai banale.

Personalmente non ho mai letto una descrizione così poetica ed allo stesso tecnica sulla creazione di una lama.

Consiglio la lettura! :arigatou:

http://www.newtoncompton.com/libro/la-spada-del-samurai

 

 

la-spada-del-samurai_7507_x1000.jpg

 

 

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Grazie. È il primo romanzo che inizio a valutare... (in realtà sono un pò limitato quando si parla di romanzi, non spazio poco dal mio autore preferito...). Cercherò info amche sul primo di kirk, che non conoscevo come scrittore. Prima devo finire altri testi ma ti assicuro che ha fatto breccia e lo prenderò sicuramente. :arigatou:

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grazie della segnalazione.

Per precisineria... lo yakiire difficilmente si fa al calor giallo... è più tra il rosso e l'arancio che tra l'arancio e il giallo :))

Poi vabbè alcune scuole scaldano di più altre di meno a seconda dello tsukurikomi della spada



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