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Primal_Fire

Forgiatura Giapponese: Un Approccio Occidentale

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Prima di iniziare il discorso vorrei fare una piccola premessa: sono un giovane studente di ingegneria dei materiali, non sono un professore universitario e non posseggo conoscenze a livello di un professore. Quello che dirò di seguito è derivato da un corso di metallurgia industriale, riadattato per forgiatura classica (in realtà cambia poco: sempre di trattamenti su acciai si tratta, i fini sono gli stessi, gli strumenti no).

Cercherò di concentrarmi più possibile su fasi e componenti che vengono utilizzati/prodotti nella forgiatura di lame giapponesi. Mi rendo conto che una base di chimica sia necessaria per comprendere bene la questione. Comunque per qualsiasi dubbio vi esorto a scrivere.

Vorrei aggiungere anche che non ho utilizzato termini giapponesi… chiedo scusa ma sotto questo aspetto devo ancora evolvermi.

 

 

Dunque, i metalli sono elementi caratterizzati –più o meno omogeneamente- da aspetti comuni: buona duttilità, conducibilità elettrica e del calore, lucentezza, e altri. Quello che a noi importa è perché i metalli sono duttili e lavorabili se sottoposti a certe condizioni. Qui entra in gioco il discorso dei legami chimici: in chimica esistono vari tipologie di legami (ionico, covalente, dativo, metallico, altri) che- in base a quale legame tenga insieme gli atomi- condizionano grandemente le resistenze che i vari materiali oppongono a sforzi di vario tipo. A noi interessano i materiali solidi, in particolare i metalli: essi- qualora nello stato puro (non in composti chimici, ma l’elemento da solo)- legano con legame metallico (scusate il giro: è tautologico): è possibile considerare gli atomi metallici come tante sferette immerse in un “mare di elettroni”. In altre parole: al contrario di altre sostanze, gli elettroni di valenza esterni degli atomi sono liberi di muoversi negli spazi lasciati dal reticolo di atomi. Questo comporta che una perturbazione del reticolo non necessita di grandi energie: se decidessimo di prendere una fila di atomi e spingerla fino a spostarla di alcune posizioni, il sistema non ne risentirebbe con effetti particolari: non è necessario rompere alcun legame, semplicemente gli atomi saranno spostati e risentiranno delle energie attrattive del mare di elettroni in cui sono immersi e repulsive dei nuclei adiacenti, tuttavia le nuove forze di cui risentono gli atomi dopo lo spostamento sono le stesse di cui risentivano prima (gli atomi e gli elettroni con cui ora gli atomi si interfacciano non saranno gli stessi, ma sortiranno gli stessi identici effetti).

 

Fare la stessa cosa (far cambiare di posizione una fila di nuclei) con materiali sottoposti a legami covalenti o ionici sarebbe molto più difficile e dispendioso, e la cosa creerebbe (ad esempio in materiali ionici), grosse crepe: i metalli quindi sono facilmente lavorabili, si potranno spostare grosse porzioni di materiale senza effetti chimici rilevanti e senza spendere tanta energia.

 

Lega metallica è un miscuglio –solido- di due o più metalli, ma il concetto si espande anche ai composti metallo+non metallo, qualora il sistema sia comunque governato da legami metallici (è il caso dell’acciaio, quindi è possibile parlare dell’acciaio come lega) esistono leghe metalliche omogenee ed eterogenee, nel nostro caso l’acciaio è una lega omogenea interstiziale: l’elemento in maggior quantità (ferro) mantiene negli spazi vuoti del suo reticolo degli atomi di carbonio

 

 

http://www.tecnicocavour-vc.it/dida/immagini/leghe.3.gif (non ho trovato un'immagine tridimensionale, questa è davvero demenziale...)

 

Guardando gli atomi di ferro come a delle sfere, bisogna dire che esse si “impaccano” in maniera differente a seconda della temperatura in cui si trovano. Se noi prendiamo due identici volumi e li riempiamo di palline tutte uguali, possiamo trovare vari modi per disporre le palline,ci renderemo conto che i modi più “naturali” sono 2, in uno (BCC= cubico a corpo centrato) gli strati di palline sono identici a due a due e sfasati l’uno con l’altro (come in immagine sopra: ogni pallina di ferro si interfaccia con altre 4), nell’altro (FCC= cubico a facce centrate) le palline riescono a occupare meglio lo spazio e nello stesso volume riusciremo a infilarci più palline che col metodo precedente. È difficile farvi capire a parole, per questo vi metto un disegno delle due disposizioni del reticolo.

 

BCC BCC-480X480.jpg

 

FCC FCC-480X480.jpg

 

Ebbene: se prendiamo il ferro (puro) e lo riscaldiamo superando una certa soglia di temperatura subisce una trasformazione allotropica: sempre rimanendo solido, l’energia termica apportata rende il reticolo da BCC a FCC (il volume riduce). Se riraffreddiamo (abbassando la temperatura del pezzo sotto quella stessa soglia di prima), il ferro ritorna ad essere BCC. Il ferro FCC si chiama Ferro Gamma (Austenite), il ferro BCC si chiama Ferro Alfa (Ferrite). La temperatura a cui avviene questa trasformazione nel ferro puro è ben fissata, tuttavia per gli acciai è differente, e mi spiego. Un acciaio è una lega solida di ferro e carbonio, con una concentrazione di carbonio compresa tra 0,01% e 2,11% (oltre il 2,11% si parla di ghisa).

In base alla concentrazione di carbonio nel reticolo ferroso, la temperatura a cui il ferro alfa diventa gamma cambia, e non solo, perché la presenza del carbonio determina anche altri effetti, dato che ferro e carbonio non sono due elementi particolarmente ben miscibili (non sto a parlare della miscibilità in maniera estesa, ne delle sottofasi che il fenomeno dell’immiscibilità porta a creare): pensate ad acqua e olio, a certe temperature olio e acqua sono miscibili (o comunque, a temperature ordinarie di 80-90 gradi, potete osservare uno stato finemente disperso di olio in acqua, delle goccioline estremamente piccole di olio), a temperatura ambiente però l’olio per varie ragioni non crea una soluzione con l’acqua: si possono osservare grosse zone dove è presente solo olio e zone dove è presente solo acqua.

Allo stesso modo, a certe temperature (alte, ma comunque non al di sopra della temperatura di fusione) ferro e carbonio formeranno una fase (solida!) omogenea, abbassandosi la temperatura essi si divideranno in due sottofasi (purtroppo non semplicemente come olio e acqua, nel senso che le due fasi non saranno solo ferro e solo carbonio, ma due composti contenenti entrambi, in concentrazioni e metodologie di formazione differente). Le due sottofasi sono macroscopicamente omogenee, ma non omogenee tra loro (questo poi dipende dalle fasi, nel caso dell’acciaio temprato perlite è più compatta di martensite, quindi la lama avrà densità differenti). Il principio che descrive questo tipo di fenomeni si chiama principio di Le Chatelier-Brown, ed è ostico a comprendersi, si può riassumere con il concetto che un sistema è sempre in cerca di un equilibrio. Se questo equilibrio non è possibile ottenerlo alle condizioni a cui si trova il sistema (in questo caso le due condizioni che variano le distribuzioni di fase sono temperatura e concentrazione di carbonio), l’equilibrio si sposta. E come si sposta? Beh, se il raffreddamento è molto ma molto lento, si formano dei composti di equilibrio (la perlite è uno di questi). Se il raffreddamento è veloce, si formano composti di non equilibrio, come Bainite e Martensite, le cui proprietà esporrò in seguito.

Un inciso: ci sono altre fasi dell’acciaio, di cui non parlo perché sono fasi dovute a concentrazioni bassissime o troppo alte di carbonio.

Passando al processo pratico di forgiatura, possiamo qualitativamente descrivere alcuni processi fisici che il forgiatore fa avvenire. Il forgiatore prende il tamahagane e lo scalda fino a portarlo in campo austenitico (ferro gamma: ben compatto), il metallo a quelle temperature è ben lavorabile a maglio, lo batte e lo lavora fino alla produzione della lama “grezza”, non ancora temprata. La battitura produce un fenomeno di incrudimento localizzato, praticamente l’acciaio si irrobustisce e (a meno che non venga battuto per delle ore) perde solo poca flessibilità. Questo avviene perché nei reticoli ci sono dei difetti: di punto, di linea, di superfice. In particolare l’incrudimento da battitura porta al moltiplicarsi di difetti di linea (le cosiddette “dislocazioni”), delle linee curve più o meno lunghe, disperse nel reticolo: fisicamente sono le linee separatrici tra una porzione di metallo ferma e una porzione di metallo che è stata spostata (ricordate il discorso iniziale sulla facilità di spostare porzioni di metallo).

 

Conclusa la sbozzatura e la battitura il tamahagane viene lasciato raffreddare all’aria fino a quando la temperatura sarà accessibile per spalmarci la pastella. (vedremo poi che in questo punto si formeranno gli agenti ossidanti). Il forgiatore non pratica subito la tempra, perché raffreddare bruscamente il metallo senza delle precauzioni (come la pastella che saggiamente vi si applica) porterebbe necessariamente a crepe e ad una piegatura eccessiva della lama. La spiegazione della formazione di crepe è legata alla struttura della martensite e dell’austenite. L’austenite se ricordate è FCC, è molto compatta (è una delle forme cristalline i cui atomi occupano meglio lo spazio), la martensite invece è meno compatta, quindi occupa peggio lo spazio: col passaggio da austenite a martensite la lama ingrosserà, tuttavia il raffreddamento brusco porterebbe a trasformarsi in martensite prima la superfice esterna e poi –a strati- le superfici più interne della lama. La martensite esterna non da problemi: si espande e non trova ostacoli per l’espansione, ma quella più interna quando si dovrà espandere troverà lo strato superiore, precedentemente trasformatosi in mertensite, spingerà per via dell’ingrossamento subito, e causerà crepe e deformazioni. È necessario fare coincidere il più possibile il raffreddamento della superfice e quello degli strati più interni. Per questo si rende necessario- una volta creata la lama- un secondo trattamento termico per dare alla lama le giuste proprietà chimico-fisiche.

Spalmando diverse quantità (e qualità) di pastella refrattaria sulla lama sarà possibile stabilire differenti curve di raffreddamento per la stessa. Il tagliente necessiterà di martensite, estremamente dura (quindi ci si metterà la una pastella che eviti un raffreddamento eccessivamente brusco, ma che non lo rallenti nemmeno troppo) le parti che non ricevono urti diretti, ma che servono da supporto al colpo (devono in qualche modo distribuire urti e vibrazioni in modo che il tagliente duro ma più fragile non si crepi o spezzi) possono essere meno dure ma più elastiche: la perlite fa al caso loro, il forgiatore spalmerà la pastella più isolante in modo da assicurarsi un raffreddamento più lento, che produca fasi di equilibrio. Una volta spalmata la pastella, si riscalderà di nuovo la lama in campo austenitico (ho letto che YY teneva la lama su brace per 10 minuti, considerando che la lama per il periodo della spalmatura manterrà una certa temperatura, immagino che siano sufficienti 10 minuti per far tornare la lama in campo austenitico), poi senza lavorare di maglio bisognerà temprare ad acqua: ogni parte della lama subirà un abbassamento di temperatura, più o meno graduale a seconda di quanta pastella (e di che tipo) vi era stata spalmata sopra. Il tagliente raffredderà velocemente, ma data la particolare forma triangolare, anche le superfici sottostanti a quella esterna avranno modo di raffreddare se non alla stessa velocità, con velocità simili a quella di superfice.Altra virtù della forma similtriangolare del tagliente è quella che l’ingrossamento della martensite non avverrà rendendo più spessa la lama, ma semplicemente ci sarà un allargamento (questo perché la superfice del tagliente sarà la prima a indurirsi e a espandere, seguito in un tempo ragionevolmente breve dalle zone di tagliente sottostanti). La spinta prodotta in questo modo sortisce degli effetti di curvatura sulla lama. La martensite del tagliente produrrà un’incurvatura sulle parti retrostanti e più molli (quelle perlitiche), stabilendo, una volta avvenuto il raffreddamento, una certa macrotensione (tanto più la lama sarà curva, tanto più la martensite avrà avuto modo di spingere sulla perlite retrostante, tanto più alta quindi sarà la tensione macroscopica della lama).

 

La parte più interna della lama non subirà trasformazione a martensite, infatti è logico supporre che il suo raffreddamento sia piuttosto lento. Questo permette alla lama di mantenere un nucleo elastico (oltre alla parte dietro al tagliente di cui abbiamo parlato prima).

La volontà di creare un sistema di questo tipo è confermata dal fatto che si utilizzano due (o più) tipologie di tamahagane, per la parte esterna se ne usa uno ribattuto svariate volte, per il nucleo della lama se ne utilizza uno battuto poche volte.

Un esempio stupidissimo è quello delle racchette da tennis. Ricordo quando giocavo a tennis che si applicava alla racchetta un cosino di gomma, che serviva ad assorbire le vibrazioni dovute all’urto pallina-racchetta, in modo che non venissero trasferite attraverso il manico al polso, determinando brutti effetti alle ossa. Ecco, in qualche modo il tagliente deve resistere agli urti, solo che essendo durissimo ma relativamente fragile necessita di una struttura più morbida per attutire gli urti. Ovvio poi che le vibrazioni a tennis procurano fastidi alle ossa del polso, una eventuale rottura del tagliente avrebbe potuto determinare conseguenze molto più gravi (infatti se il tagliente- l’anima dura della lama- si rompe, in quel punto le uniche forze che terranno unita la spada saranno quelle dovute alle parti “molli” perlitiche: facile che la lama si potesse rompere del tutto o comunque perdere gran parte delle sue proprietà di tensione, di cui parleremo dopo).

Una volta effettuata la tempra, avremo un prodotto assai complesso. Senza per ora parlare di altri composti presenti, l’acciaio sarà suddiviso in varie differenti fasi. Le parti più interne, che avranno subito raffreddamento più lento, saranno composte da perlite a grani grossi, via via aumentando la velocità di raffreddamento della lama (zone adiacenti al “nucleo”), la composizione sarà di perlite fine e bainite, il tagliente raffreddato velocemente,e per parecchi millimetri sotto di esso, sarà composto da martensite.

Perlite è un composto lamellare. Le due fasi che la compongono sono ferro alfa (molto duttile, con scarsissime quantità di carbonio) e Cementite, una fase molto ricca di carbonio (si calcola un atomo di carbonio ogni tre di ferro). L’effetto macroscopico è di un materiale piuttosto morbido, ma allo stesso tempo con alta resilienza (=tenacità alla rottura).

Martensite è un composto di non equilibrio, dovuto al fatto che alle molecole non si lascia il tempo per disporsi in equilibrio. Gli si toglie energia termica (energia termica= energia cinetica delle particelle), il carbonio presente rimane intrappolato nel reticolo (non va- come succede in perlite a formare cementite, ma rimane racchiuso nel reticolo ferroso, come da immagine).

C’è da dire un’ultima cosa. Gli unici acciai (ferro+carbonio, senza aggiunta di altri elementi di lega) che danno fasi di equilibrio di perlite ( o perlite con smiscelazione a bordograno di cementite) sono quelli con concentrazione di carbonio compresa tra 0,77% e 2,11 %. Tanto più la concentrazione sarà vicina allo 0,77, tanto più la perlite sarà pura, avvicinando il 2,11% invece si notano sempre maggiori impurezze a bordograno (si chiamano “smiscelazioni” per il modo in cui si formano, comunque sono piccole incrostazioni di cementite sui bordi dei grani, che comportano una maggiore rugosità del prodotto, posso ipotizzare che portino a un lieve abbassamento di qualità delle proprietà fisiche di resistenza, ma non sono sicuro).

Dunque passiamo a un’analisi di composti non metallici presenti e una conclusione sulle proprietà macroscopiche finali.

Inanzitutto c’è da dire che il tamahagane è un acciaio assurdo. Da quanto ho capito viene prodotto con mezzi e metodi tradizionali e segreti, e i risultati sono davvero buoni. Gli unici due elementi “esterni” presenti nell’acciaio grezzo sono bassissime percentuali di fosforo e zolfo. Lo zolfo in particolare è estremamente pericoloso, infatti ha temperature di fusione intorno ai 900 gradi centigradi, e quando fonde crea un film di liquido attorno ai grani, che solidificando non riescono ad aderire bene a quelli adiacenti. L’effetto finale è un infragilimento enorme, la lama si sgretola nei punti dove lo zolfo si è concentrato.

Le altre impurezze non sono presenti nel tamahagane (o ce ne sono in quantità irrisorie), ma si vanno a formare a seguito dei riscaldamenti in campo austenitico, in particolare nel primo riscaldamento, poiché nel secondo ci sarà la pastella refrattaria in grado di proteggere in buona parte la lama dalle ossidazioni.

A meno che non si lavori in forni pieni di gas inerte, è inevitabile che l’ossigeno presente nell’aria reagisca col ferro della superfice della lama. Gli ossidi più comuni sono FeO ed Fe3O4. Sarebbe possibile calcolare quale dei due ossidi è presente in maggiore quantità, servirebbero un paio di dati. Onestamente non lo so fare così su due piedi, dovrei riguardarmi qualche libro, ma se lo trovate utile per capire qualcosa (che evidentemente mi sfugge), sarò lieto di scrivere reazioni e equazioni di energia libera e palle varie. Qualitativamente gli ossidi non sono una bella cosa. FeO è la ruggine. Comunque penso che la maggior parte degli ossidi superficiali siano asportati con la politura.

In base a dati che mi sono stati gentilmente forniti da Kentozazen, ho visto che si è rilevata la presenza anche di Allumina (Al2O3), che è un materiale ceramico abbastanza abrasivo, onestamente ignoro gli effetti fisici che possa apportare.

Le altre impurezze, questa volta benefiche, sono i Silicati, penso residui dall’estrazione del ferro (dovete sapere che il silicio è un elemento comunissimo, compone quasi un terzo del peso della terra, quindi è statistico che sia presente nelle rocce ferrose da cui si estrae il ferro). Succede che SiO4 (che necessita di 4 elettroni per divenire stabile) ricerca nell’ambiente circostante molecole in grado di donargli le cariche, trovando Fe forma Fe2SiO4, questa reazione avviene più spontaneamente della formazione- ad esempio- dell’allumina, ed entra in concorrenza anche con l’ossidazione del ferro (= ruggine). Quindi, se ad alte temperature sarà facile che tra le due reazioni “vinca” l’ossidazione, una volta che la lama si trovi a temperatura ambiente e ben polita, il silicato di ferro tenderà a trattenere la formazione di ruggine. Ovviamente in base a come i silicati saranno distribuiti, ci saranno zone più sensibili e zone meno sensibili alla ruggine. In particolare ipotizzo che la zona martensitica, meno compatta e quindi più attaccabile dall’ossigeno per diffusione, sia la più ossidabile.

 

A valle di tutto, il prodotto finale è stupefacente. A partire dal tamahagane fino alla politura, ogni movimento è inteso a rendere la lama uno strumento perfetto. La durezza del tagliente è circa 60 HRc, la martensite pura (un provino di martensite quasi al 100%), ha durezza HRc 66, ma è estremamente più fragile del tagliente di una nihonto. Allo stesso modo, strutture a grani larghi di perlite hanno durezze esigue e altissime tenacità alla rottura, una nihonto si avvicina a quella tenacità, pur mantenendo una durezza elevatissima. Questo non sarebbe possibile con una sola fase di acciaio: si potrebbe trovare un compromesso tra durezza e resilienza, ma non sarebbe così buono. Uno dei segreti è il binomio di fasi molto dure, coadiuvate da fasi più morbide. Ci sono una miriade di fattori che rendono le nihonto così ottime e così differenziate l’una dall’altra. I fattori che ho indicato non sono che una piccola frazione, la realtà è estremamente più complessa di così (non ne ho parlato non perché non volessi, ma perché le mie conoscenze di metalli sono ancora basiche).

Bene, ho finito. Spero che il mio compromesso tra semplicità di espressione e complessità dell’argomento non vi risulti indigesto, forse vi aspettavate qualcosa di più preciso e profondo. Ci ho messo un po’ a elaborare queste righe, ma sono sicuro che andando avanti con gli studi e leggendo le vostre considerazioni “sensoriali” sulle lame, sarò in grado di dare apporti più significativi in futuro.

Ringrazio moltissimo Kentozazen che ho pressato di domande sui processi giapponesi dato che io non ne sapevo granchè.

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Bellissimo !!! :ok::ok::ok:

 

Mi sembra di essere ritornato all'istituto quando ero affascinato dalle lezioni dei Proff, in particolare del Proff Bellini (ora scomparso) eminenza nel campo della elettrochimica che, purtroppo a quel tempo e non ora, era la materia in cui ero il primo della classe.

 

Continua ... un ascoltatore a vita te lo sei trovato :arigatou::fiori:

 

Shirojiro (Gianfranco, come si usa cordialmente)

 

PS Un solo appunto... le 2 figure che hai postato per me rappresentano uno stesso tipo di reticolo. Se le moltiplichi in qualsiasi direzione otterrai sempre lo stesso tipo di reticolo.

Se ho preso una "cantonata", cosa sempre possibile, correggimi per cortesia.

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Ciao Gianfranco, inanzitutto grazie mille, mi lusinghi.

In secondo luogo, in realtà i reticoli sono differenti. Infatti la prima cella elementare contiene un totale di 2 atomi, la seconda ne contiene 3. La differenza sta nel fatto che nella prima conformazione gli atomi sono disposti in strati identici a due a due, "sfasati" di un interstizio, invece nel cubico a facce centrate il grosso interstizio centrale è utilizzato da 4 mezze sfere, invece che da 1 sfera. Questo comporta un miglioramento dell'utilizzo degli spazi. Provo con altre immagini, spero più chiarificatrici!

 

 

BCC: http://www.llnl.gov/str/November05/gifs/Bulatov1.jpg

FCC: http://home.hiroshima-u.ac.jp/fpc/oguchi/graphics/fcc.gif

http://wps.prenhall.com/wps/media/objects/...ges/FG10_23.JPG

 

Mannaggia. BCC è anche un acronimo per una sorta di tumore cutaneo. Mi sono beccato una ventina di immagini non particolarmente gradevoli :wacko:.

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Benissimo Primal !!!

Grazie davvero! dacci il tempo di leggere per bene e partiamo con i commenti



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Ciao Gianfranco, inanzitutto grazie mille, mi lusinghi.

In secondo luogo, in realtà i reticoli sono differenti. ...

 

Accidenti sono proprio arrugginito ! :wacko:, ho preso proprio una bella cantonata ! :whistle:

 

Chiedo venia, ricomincerò dalla tabellina degli elementi; quando andavo a scuola io erano solo 102 ! :happytrema:

 

La prox volta userò la regola degli 11 P

 

Prima Pensa Poi Parla Perchè Parole Poco Pensate Possono Portare Pregiudizio.

 

Sarebbe molto più lunga, ma a me bastano 11 :hehe:

Modificato: da Shirojiro

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Grazie Primal-Fire per il tuo contributo,permettimi però di fare qualche osservazione.

Il Tamahagane da tutti ormai riconosciuto come materiale principe per la forgiatura della spada giapponese,anche se non il solo,viene oggi impiegato diffusamente nella manifattura delle shinsakuto perchè è un materiale in primo luogo di indiscutibile qualità ma anche versatile è meglio lavorabile.

Il tamahagane una volta che è stato prodotto dagli operatori del Tatara (i murage) viene distribuito dalla NBTHK e raggiunge le fucine di tutti gli spadi giapponesi attivi oggigiorno ma mai viene impiegato così com'è.questo viene sottoposto infatti, ad un ulteriore processo di raffinazione che può prevedere o no l'aggiunta di materiali ferrosi diversi dal tamahagane stesso (oroshigane) a seconda delle diverse esigenze dello spadaio.

Successivamente il materiale base ottenuto verrà ulteriormente lavorato attraverso un processo(tamahagane-mizueshi) che prevede il surriscaldamento,la battitura e il raffreddamento in acqua dell'acciaio fino ad ottenere una lastra che verrà poi frantumata in decine e decine di scaglie metalliche le quali in secondo luogo verranno accuratamente selezionate a destinate,in base alla loro qualità,per usi differenti (l'acciaio per il cuore della spada ad esempio,shingane, e rispettivamente quello della "giacca esterna",kawagane vengono sommariamente così già selezionati per poi essere rifiniti in maniera differente attraverso particolari tecniche di ribattitura e bollitura ,l'orikaeshi-tanren,e saldati insieme dopo lo tsukurikomi,ossia la disposizione dei differenti pani di acciaio che andranno a costituire la spada).

Il tamahagane mizueshi è ,come intuibile,un uteriore processo di raffinazione che prepara la strada ad una delle fasi essenziali dell'intero processo manifatturiero della lama,lo tsumiwakashi.

 

tsumiwakashi_1.JPG tsumiwakashi.JPG

 

Durante lo tsumiwakashi lo spadaio assembla le placchette metalliche scelte ,dopo il tamahagane-mizueshi ,su di una sorta di pala (il tekogane che è composto da un manico in ferro con la parte piatta dello stesso acciaio della medesima qualità di quello impiegato per la spada) racchiudendole poi il tutto in un foglio di carta di riso.

Il tutto verrà poi cosparso di paglia di riso bruciata (aku) e da una fanghiglia argillosa liquida.

La giacca in carta,fango e paglia durante il processo dello tsumiwakashi (che porta l'acciaio a temperature considerevoli) costituisce una sorta di protezione dell'acciaio nei confronti di eventuali impurità garantendo una maggiore uniformità delle temperature raggiunte nell'acciaio stesso e una distribuzione omogenea di carbonio.

Quello dello tsumiwakashi , supportato da quanto emerso durante l'icontro con il maestro Yoshihara a Firenze, è un importante fase lavorativa poichè decide la qualità dell'acciaio (e aggiungerei ,le sue proprietà fondamentali) che poi andrà a costituire la spada.

Il tutto verrà poi ulteriormente rifinito attraverso i processi dello (shitagitae) e dello uwagitae,dal quale poi deriverà non solo la caratteristica stoffa dell'acciaio,il jihada,ma anche importanti qualità come la resilienza ecc.

Solo dopo questi principali e fondamentali processi si arriverà alla costruzione della lama grezza (sunobe) sulla quale dopo averne limato la superficie per far meglio aderire la fanghigliautile alla tempra selettiva.

Concludo scusandomi per il mio essere a volte prolisso ma credo sia importante non trascurare quanto detto sopra :arigatou:

Modificato: da shimitsu masatsune

La vittoria è di colui,

ancor prima del confronto,

che non pensa a sè

e dimora nel non-pensiero della grande origine.

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Figurati, molto meglio cercare di approfondire gli argomenti rischiando di tirare il discorso per le lunghe che dare un'idea riassuntiva ma assolutamente superficiale della questione. Tra poco aggiungerò un paio di cose che ho appreso qua e la, soprattutto sugli elementi in lega. Che enorme svista la mia, in effetti mi sembrava stranissimo che il tamahagane non subisse ulteriori processi prima della lavorazione per sbozzatura...

 

Grazie mille per il contributo!

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Primal secondo me sei stato molto chiaro.

Grazie per il tuo contributo. Ora io vorrei sapere se è possibile ipotizzare un sistema in cui la trasformazione dovuta alla tempera produca aree di perlite e di martensite con un distacco quasi netto. E' ovvio che nussun materiale è perfettamente puro 100% perlite o 100% martensite, ma mi domandavo quale peso si possa dare alla bainite. Mi spiego meglio. Solitamente si tende a descrivere il processo utilizzando solamente queste due fasi, ma è mia opinione che la zona di transizione denominata habuchi possa avere una stretta connessione con una fase intermedia come la bainite. Molti sbufferanno leggendo questo mio post, ma io insisto. Penso che sia necessario verificare se anche in un modello esplicativo semplificato non sia importante introdurre "ufficialmente" il ruolo di fasi intermedie nella creazione di attività come nie e nioi che sono formazioni cristalline che costituiscono lo habuchi.


Mani fredde, schiena curva, odore di pietre bagnate. Questo è il togi.

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Una domanda di approfondimento. Durante lo shiage togi si possono utilizzare differenti tipi di nugui, si tratta di un trattamento "cosmetico" del jihada che ha lo scopo di scurirlo e di rendere maggiore il contrasto con l'hamon. In particolare nella finitura in sashikomi viene spesso utilizzata una sospensione di jitekko in olio per questa finalità.

Il jitekko è polvere di magnetite ed ha un effetto scurente e contrastante molto intensa. Possiamo da questo dedurre che la perlite ha una capacità magnetica superiore alla martensite? E se la risposta è sì, per quale motivo fisico?

Modificato: da Kentozazen

Mani fredde, schiena curva, odore di pietre bagnate. Questo è il togi.

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Finalmente un poco di tempo per scrivere.

Allora: per quanto riguarda la bainite. Bainite è una fase di non equilibrio, proprio come martensite. Tuttavia martensite si forma a velocità di raffreddamento molto sostenute, invece bainite si forma a partire da velocità di raffreddamento modeste. Per farvi capire la tempra ad acqua o ad olio produce molta martensite, la normalizzazione (è il nome del trattamento) - che consiste in un raffreddamento del pezzo ad aria- produce bainite. L'utilizzo della pastella distribuisce in maniera uniforme il raffreddamento: le superfici con lo stesso spessore di pastella spalmata raffredderanno alla stessa velocità. Per capire in che quantità è presente bainite però sono necessarie -alternativamente- due cose: o un'analisi al microscopio di una lama, o conoscere la composizione precisa della pastella e le temperature della lama prima che venga sottoposta a tempra (anche se quest'ultime sono grossomodo recuperabili e ipotizzabili, la grossa differenza la fa la pastella).

In ogni caso, l'ipotesi di bainite tra filo di martensite e "retro" in perlite è sensata. Bainite ha qualità fisiche intermedie tra perlite e martensite: non è dura come martensite ma non è nemmeno altrettanto fragile, non è morbida come perlite ma non è nemmeno altrettanto duttile.

Ho letto sul forum che un professore universitario si è interessato alle nihonto producendo uno o due testi a riguardo, di carattere scientifico, se ritrovo il thread mi segno il nome e cerco di procurarmi i testi, magari in essi si trovano le risposte alle mie e vostre domande, senza scervellarsi ulteriormente.

Poi (questa è puramente una mia osservazione) guardando le foto di differenti lame, appartenenti a epoche diverse, a scuole e province diverse sono giunto alla parziale conclusione che ogni lama presenti caratteristiche fisiche peculiari, o almeno, in base alla tecnica di forgiatura si crea una lama con -in termini grossolani- caratteristiche metallurgiche di un certo tipo, proprio a livello di percentuali delle varie fasi. Poi penso di essere arrivato al punto di poter parlare in maniera semiseria dello hada e delle differenti trame, ma ci devo ancora riflettere bene.

 

 

Per la seconda domanda,ossia la possibilità che perlite sia più ferromagnetica di martensite, prima di dare una risposta devo fare una domanda: la magnetite in che fase viene aggiunta alla lama e in che zona? Viene selettivamene deposta in qualche parte specifica?

I ragionamenti miei e dei miei "colleghi" aspiranti ingegneri puntano tutti a che martensite sia più ferromagnetica di perlite, ma tutto potrebbe essere confutato dalla risposta alla mia domanda.

 

Vi ringrazio moltissimo, è bello poter provare a condividere quello che si apprende, anche se in forma così piccola (non rispetto alle cose che so, ma perchè quello che so è piccolo!).

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Grazie per l'approfondimento. In risposta al tuo quesito la polvere di magnetite finemente macinata e filtrata vienne miscelata con olio sintetico e applicata con una pezzuola di cotone sullo hada, in questo modo il tessuto perlitico scurisce visibilmente aumentando il contrasto con l'hamon. Si tratta di un trattamento cosmetico finale.


Mani fredde, schiena curva, odore di pietre bagnate. Questo è il togi.

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Posto qui la domanda perchè si parla di tempra e di materiale di partenza.

 

Qual'è il nome del minerale di partenza, nel caso delle miniere giapponesi ?

Le miniere forniscono tutte lo stesso minerale ?

Che percentuale di impurità ha il suddetto minerale ?

 

Grazie, :arigatou:

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Mah, dipende cosa si intende per "impurità", onestamente non conosco i metodi tradizionali di estrazione del ferro da minerale, comunque posso dirti che i minerali di partenza -almeno per le acciaierie occidenali- sono (alternativamente) ematite (Fe2O3) ,magnetite (Fe3O4), limonite, siderite o pirite. I minerali presentano tutti impurezze di vario tipo, alcune sono indifferenti o addirittura benevole per l'altoforno, altre sono dannose, per eliminarle il più possibile si utilizzano dei calcari e dei fondenti in aggiunta a carbon fossile e al minerale stesso. Il metodo giapponese per l'estrazione del ferro non lo conosco, però i minerali in occidente sono statisticamente gli stessi che si trovano in giappone: comunque i minerali sono quelli. Non so nemmeno se i giapponesi prediligessero una tipologia di minerale...

 

Poi per ritornare alla questione magnetica... la fine dispersione di magnetite in olio può essere un semplice metodo estetico con cui si abbellisce la lama. Il punto è se colui che compie questo abbellimento segue di proposito i "confini" dello hada (e questo non giustificherebbe il fatto che perlite è più ferromagnetica di martensite), oppure se spalma di olio indifferentemente anche strabordando oltre i confini dello hada (arrivando a toccare l'hamon per intenderci), allora -se la magnetite rimane solo sullo hada- significherebbe che martensite è molto poco ferromagnetica, cosa che personalmente non trovo logicissima (ma non per questo impossibile).

 

Il perchè del magnetismo poi è spiegabile col discorso del numero quantistico di spin, magari linko una spiegazione (ce ne saranno a migliaia in rete), altrimenti riassumo le motivazioni principali.

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Grazie mille Primal Fire! la tua preparazione scientifica offre sempre diversi punti interessanti.

 

 

Per rispondere a gianfranco e per immettere qualche riflessione in più da sottoporti la tecnica di produzione delle lame prevede l'estrazione del tamahagane (l'acciaio con cui si forgia) a partire da una sabbia ferrosa chiamata satetsu, molto abbondante in alcune coste del giappone.

Il satetsu viene posto in una fornace particolare (tatara) che viene alimentata con legna di pino e aria da alcuni mantici per tre giorni ininterrottamente.

Alla fine si forma un lingottone di tamahagane che viene diviso, selezionato e utilizzato nella forgia delle lame.



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Beh diciamo che cerca di invadere il meno possibile lo hamon applicando la miscela (nugui) però non si tratta di un lavorodi precisione , nella finitura sashikomi si crea una sfumatura tra hamon e hada a volte è molto evidente a volte la linea è più marcata, sta di fatto che il nugui tende a scurire maggiormente la zona perlitica. Proviamo un differente approccio.

Possiamo definire la superficie perlitica più spugnosa di quella martensitica? Sto ragionando sulla possibilità che la sospensione vada a costipare le microfessurazioi e per questo produca lo scurimento.


Mani fredde, schiena curva, odore di pietre bagnate. Questo è il togi.

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Qui mi cogli impreparato. Domani ho proprio l'esame (la seconda parte, inerente argomenti che non c'entrano con gli acciai) di metallurgia, se riesco (=se passo l'esame, non vorrei andare a fargli la domanda da fighettino subito dopo che mi ha rimandato) chiedo al professore delle rugosità e penetrabilità, e già che ci sono anche del magnetismo, e poi riporto.

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Ho fatto al domanda sul tipo di minerale di partenza perchè avevo letto che il materiale ricavato dalle miniere Giapponesi era già di partenza molto più puro di quello che si potrebbe ottenere con i processi di produzione occidentali (diciamo attuali).

Un mio amico di mineralogia dicendo che essendo la partenza o da Ematite o da Magnetite doveva per forza essere uguale al materiale occidentale.

Mi chiedo se è giusto quello che pensavo, cioè che il tamahagane è molto più puro di altri materiali (ma non sò esattamente il perchè) e che il procedimento di forgiatura porta ad una elavata purezza tale che rende il risultato finale molto particolare.

Un'elevata capacità di taglio e un'elavata resistenza all'impatto.

 

Mi potreste, per cortesia, correggere quello che di sbagliato penso (e ho detto) ?

E' molto importante.

Grazie, Shirojiro

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