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sandro

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  1. Tonbo é il nome comune, la dizione seirei é utilizzata in campo scientifico. Per quel che riguarda la spada giapponese ed i suoi finimenti si parla sempre di tonbo
  2. sandro

    un saluto a tutti voi

    Benvenuto sul forum Cesare
  3. Ho visto la pubblicità di questa applicazione qui in Giappone: un adolescente giapponese vuole inviare un messaggio di arrivederci alla sua insegnante inglese che, terminato l’anno scolastico, sta’ per tornare a casa. Il telefono traduce il messaggio nella lingua del destinatario. L’insegnante in risposta gli invia un messaggio in ingelse, che sul telefono del ragazzo arriverà in giapponese. Il tutto sembra molto ben fatto, ma su un campo tecnico come le nihontō credo che sia difficile avere una buona localizzazione sin da subito. A meno che alcuni sviluppatori appassionati di tōken non implementino la struttura alla base
  4. Grazie a te per la pazienza nel leggere. Vediamo se qualcun altro fornisce la propria opinione in merito
  5. Ciao Khuran, perdonami se non ho risposto subito alle tue domande. Il tempo che riesco a dedicare al forum, purtroppo, é molto limitato. Provo a dare risposta ai tuoi due quesiti, premettendo che quanto affermo altri non é che una mia visione personale dell’intera faccenda. Terminato il Bakumatsu, il Giappone divenne pian piano un paese moderno, dove non vi era oramai più nessuno che combattesse con le spade. Quello che tu definisci “combattimento reale”, oggi non sono altro che figurazioni di quello che poteva essere uno scontro dell’epoca, del quale né noi, né i nostri maestri, né i loro maestri prima ancora hanno avuto esperienza. Se intorno all’epoca Bunkyū (1860-1863) il rapporto tra shinai kendō e katageiko all’interno di una stessa scuola era di settanta per cento l’uno e trenta l’altro, a partire dalla seconda metà del Meiji la forbice si allargò ancora sino a che il combattimento in armatura divenne il novantacinque per cento dell’interno allenamento (ed in molte scuole il katageiko sparì del tutto). I giapponesi sono un popolo molto pragmatico: quando una cosa non serve più la abbandonano del tutto, oppure la modificano affinché essa sia al passo con i tempi. In epoca moderna hanno inoltre acquisito una mentalità per la quale se tutti fanno la stessa cosa allora devono farla anche loro, pena il sentirsi esclusi dalla collettività. Se ci pensi bene, ciò é in totale contrasto con il vecchio sistema feudale che presentava enormi differenze tra una provincia e l’altra, e la grande promiscuità delle scuole di arti marziali ne era un esempio. Kendō e jūdō hanno invece unificato la nazione da Hokkaidō ad Okinawa. In Giappone il tenouchi del kendō é quello ufficiale per chi pratica spada, anche se oggi tramite lo studio di documenti antichi si cerca un ritorno alle origini, come gli studi condotti dal maestro Kōno. Capisco anche il tuo discorso in merito alla spada lunga. Io non sono assolutamente esperto di questo tipo di combattimento, ma a quello che so la essa dovrebbe essere più lunga e più pesante di di quella giapponese (una presa larga sarebbe senz’altro molto più comoda rispetto a quella stretta). Inoltre, potendo colpire con entrambi i lati, é probabile che una presa come quella che ci mostri favorisse un ritorno immediato dopo un primo attacco andato a vuoto. Ma su questo puoi illuminarci soltanto tu od altri esperti in materia
  6. sandro

    Salve a tutti

    Benvenuto Antonio
  7. sandro

    Presentazione

    Benvenuto tra noi e complimenti sia per l'esperienza che per il blog
  8. sandro

    ciao a tutti!

    Benvenuta sul forum
  9. sandro

    ciao!

    Benvenuta sul forum Sara
  10. sandro

    salve a tutti!

    Benvenuto sul forum
  11. Quella odierna è una questione di estremo interesse, ringrazio e saluto (poiché era molto tempo che non lo avevamo tra noi) Khuran per averla posta. Come giustamente detto dal nostro Saizo, il maestro presente nel video è Kōno Yoshinori, una persona molto interessante. Il fatto che egli non sia legato ad alcuna tradizione in particolare gli consente di spaziare in lungo e largo con le sue ricerche, i frutti delle quali vengono mostrati a chiunque abbia voglia di approfondire con lui un determinato argomento. Una cosa che ho sempre stimato di Kōno Sensei è che gran parte degli studi da lui condotti abbiano poi un riscontro nella vita di tutti i giorni: alcuni movimenti del corpo sviluppati in allenamento si sono poi rivelati utilissimi per molti operatori sanitari che avevano difficoltà nel sollevare dei pazienti molto più pesanti di loro. Il maestro ama molto confrontarsi anche con chi non ha mai praticato arti marziali, e la dimostrazione tecnica effettuata con i membri del club di rugby che possiamo vedere nel video ne è un fulgido esempio. Le sue riflessioni in merito al mochikata stretto sono trattate all’interno del suo ultimo libro “Budō kara Bujutsu he – ushinawareta jutsu wo motomete” (Dal Budō al Bujutsu: alla ricerca della tecnica perduta), in particolar modo nel capitolo dedicato al kenjutsu. Premesso ciò, provo ad esprimere il mio punto di vista, il quale deriva da alcune ricerche che ho fatto in merito all’argomento. Argomento del quale discussi di persona anche con il maestro Brandozzi, il quale ringrazio calorosamente per essere intervenuto. Partendo dal presupposto che non credo esista alcuna ryūha che non abbia modificato, anche in minima parte, i propri insegnamenti nel corso del tempo, è opportuno ricordare che per quanto si parli di arti marziali tradizionali esse sono comunque state influenzate (sarebbe meglio dire re-influenzate) dal gendai budō. Il fatto che molte scuole di scherma tradizionali presentino oggi l’impugnatura con le mani distanziate è una prova dell’influsso che il kendō (e con questo termine voglio proprio riferirmi alla disciplina dell’ultimo periodo Meiji e di quello Taishō, altrimenti avrei parlato di gekken o shinai kenjutsu) ha avuto su di esse. In origine, il kendō era praticato con le mani adiacenti sulla tsuba, ma dato il volume dei kote ci si accorse che una presa a mani distanziate avrebbe favorito attacchi più liberi (anche considerando che la lunghezza dello shinai era ben superiore a quella di una spada normale, quindi un mochikata largo avrebbe consentito di bilanciare meglio la spada). Per chi possiede la spada di bambù ed i guanti del bōgu sarà facile accorgersi che i suburi risulteranno molto più naturali da effettuare con le mani distanziate: i kote non sono un ingombro da poco. Inoltre una presa larga consente di tirare rapidamente anche i colpi katate, che durante il Bakumatsu erano molto frequenti. Un altro vantaggio che questo tipo di impugnatura offre é quello di parare il colpo al fianco con la tsuka stessa! Con una spada reale la cosa sarebbe estremamente rischiosa. Eppure, anche nel kendō più moderno e sportivo rimane un legame con l’antica presa: il colpo al dō. Qualsiasi maestro insegna, infatti, che nel momento in cui andiamo a sferrare l’attacco lanciandoci con tutto il corpo verso l’avversario la mano sinistra deve andare a contatto con quella destra. La presa sulla spada ne sarà rinforzata. Ed in effetti, il dōuchi é l’unico colpo che ricorda un taglio con una lama vera. A sostegno di quanto dico riporto un estratto del libro “Hokuto no Hito” (L’uomo del nord), opera di Shiba Ryōtarō in cui si narra della gioventù di Chiba Shūsaku, fondatore della più grande scuola di scherma di tutti i tempi, la Hokushin Ittō Ryū:”...i praticanti della sua scuola dovevano eccellere sia nel combattimento reale che negli allenamenti (shinai kendō). Com’é a tutti noto, la spada e lo shinai sono ben diversi tra loro; non tanto nella forma, ma nel modo in cui essi vengono impugnati. La spada va stretta sulla tsuka con le mani adiacenti tra loro: questo non é tuttavia un elemento di cui stupirsi, poiché é così sin dall’antichità. Farebbe invece inorridire quelle scuole che non utilizzano il bōgu la (sua) presa dello shinai, dove tra la mano destra e quella sinistra era lasciato uno spazio di quasi due pugni. Cambiava a seconda dell’arma utilizzata, dimostrando dunque uno spirito che si adattava a tutte le situazioni (rinkiōhen)...”. Con il passare delle epoche, in Giappone non ci fu più la necessità di combattere con la spada; per questo motivo la presa dello shinai diventò lo standard anche di quelle tradizioni che continuavano a fare soltanto il katageiko. Analizzando i documenti del passato che sono pervenuti sino ai giorni nostri, ci si può rendere conto di alcune cose molto interessanti. Andiamo per ordine. In uno dei più famosi testi della Kashima, il “Kashima Shintō Ryū Heihō Jikanshō” (che potremmo rendere come “riflessioni personali sulla scuola di Kashima Shintō”), scritto nel 13° anno dell’Era Tenpō (1842) da Ōtsuki Sekihei, si può leggere: ”…per quanto la vostra tsuka sia lunga, è fondamentale che le mani siano sempre adiacenti l’una all’altra. Imparate a conoscere tutti i vantaggi di questa presa, così come venivano trasmessi dal nostro fondatore Tsukahara Bokuden…”. Un altro importante documento sulla scherma tradizionale è il “Kenjutsu Hiden Hitori Shugyō” (segreti sulla pratica individuale della scherma), realizzato in epoca Kansei (1789-1801) da un certo Sen’en e che era indirizzato a tutti coloro che non potevano, per i più svariati motivi, frequentare un dōjō ed apprendere da un maestro (era una sorta di manuale per autodidatti).Le figure in esso riportate, visionabili anche su internet, mostrano gli spadaccini con le mani unite sull’impugnatura. Andando avanti troviamo i ben più famosi “Hokusai Manga”, un’immensa collezione di disegni che Katsushika Hokusai pubblicò per la prima volta nell’11° anno dell’era Bunka (1814). Hokusai, da eccellente rappresentante dello ukiyoe qual’era, si concentrò soprattutto sulla raffigurazione della vita dei chōnin, molti dei quali praticavano anche le arti marziali: i suoi “schizzi” (anche se a mio avviso é riduttivo chiamarli in questo modo) riproducono in modo egregio i bōgu dell’epoca (fornendo addirittura indicazioni sulle misure), così come dipingono varie fasi del combattimento con la spada. Ed anche qui possiamo notare lo stesso mochikata descritto sopra. La domanda a questo punto sorge spontanea: per quale motivo un artista come Hokusai, il quale si proponeva di rappresentare nel modo più veritiero possibile il mondo in cui viveva, avrebbe dovuto mostrare di proposito una presa stretta quando questa non fosse corrisposta arealtà? Ancora, alcuni anni fa mi capitò di vedere in un museo di Tōkyō delle stampe “Akō Rōshi Uchiirie” (ossia “disegni dell’assalto dei guerrieri di Akō”): la quasi totalità dei quarantasette rōnin combatteva con una presa stretta (nelle immagini in cui essi non brandivano armi come le yari). Di esempi ce ne sono a centinaia, ragion per cui mi limito ad esporne solo alcuni onde evitare di rendere la discussione troppo noiosa. Mi preme però sottolineare l’importanza del primo intervento del maestro Brandozzi, il quale ci mostra gentilmente uno oboegaki della Katayama Ryū dove possiamo vedere chiaramente il tipo di presa utilizzata. Volendo trovare un filo conduttore sul modo di impugnare la spada all’interno della storia della scherma giapponese, perlomeno con gli elementi analizzati sinora, potremmo asserire che la Kashima Shintō Ryū (periodo Muromachi), la Katayama Ryū (inizi dell’epoca Edo), la scherma che vediamo nei dipinti di metà epoca Edo (Akō Rōshi Uchiirie) e quella raffigurata negli ukiyoe (quindi tardo Edo e Bakumatsu) presentano tutte un tenouchi stretto. Termino riportando una riga che si trova all’interno degli scritti del menkyo della Tennen Rishin Ryū:”...la presa sulla tsuka dovrà essere sempre stretta, in modo che potrete bloccare con forza gli attacchi del nemico senza il pericolo che l’impugnatura vi si frantumi nelle mani. Ciò é comune a molte scuole, poiché così viene trasmesso sin dai tempi delle grandi tradizioni di Katori e Kashima...”. Con ciò non voglio mettere assolutamente in dubbio l’autorevolezza delle parole di Ōtake Sensei, ma come ho premesso all’inizio ritengo impossibile che esista ancora una ryūha che non abbia mai alterato i suoi insegnamenti, soprattutto una con sei secoli di storia. L’evoluzione é un elemento intrinseco dell’essere umano. Vi prego di perdonare la lunghezza del mio intervento
  12. Nulla di che Beno, avevi già spianato tu la strada
  13. sandro

    Ciao !!

    Benvenuta sul forum
  14. Ciao Erisharal, vedo che già molti utenti hanno contribuito a svelare un po’ il mistero di questa spada. Premesso che non mi pronuncerò in merito alla lama, della quale non abbiamo sufficienti elementi valutativi, il mio intervento é riferito esclusivamente al koshirae. Il quale, a mio modestissimo avviso, non é giapponese. L’ottimo Beno ti ha già fornito tutte le informazioni che sono riportate sul fodero, e sono proprio quelle a lasciarmi perplesso. Mi scuso sin da ora se le mie righe ti risulteranno pesanti da leggere, ma un’attenta analisi filologica delle scritte é ciò che mi ha portato alla di cui sopra conclusione. Partiamo dalle prima colonna di ideogrammi. 日本空軍第二师 Nippon Kūgun Dainishi, ovvero “2° divisione aeronautica giapponese”. Sembrerebbe tutto nella norma, ma in realtà non é così. Gli ideogrammi utilizzati sono giapponesi, se non l’ultimo che é esclusivamente cinese (e nella lingua nipponica non é mai stato utilizzato). Il kanji in questione é 师 ed in giapponese dovrebbe essere 師 (ma anche in questo caso la parola divisione non sarebbe comunque completa, dal momento che essa si scrive 師団 Shidan). Un altro elemento che mi ha fatto riflettere é quel Nippon Kūgun all’inizio; dando per certo che un tale manufatto risalga davvero alla seconda guerra mondiale (considerando che il Giappone non ha più combattuto guerre da allora, né tantomento ha prodotto lame per i suoi soldati) trovo piuttosto strano che non venga indicato che tipo di aeronautica fosse: se la Rikugun Hikō Sentai (forze di combattimento aeree dell’esercito) oppure la Dainippon Teikoku Kaigun Kōkūtai (forze aeree della marina imperiale del grande Giappone). Bisogna infatti ricordare che l’aeronautica non rappresentava una forza a se, bensì era divisa tra esercito e marina (questi i due grandi blocchi delle forze armate giapponesi). Inoltre non risulta essere esistita una divisione con quel nome. Passimo ora all’altra colonna, a mio avviso ancora più strana della precedente. Tralasciando il fatto che quella bandierina sembra sia stata disegnata da un bambino, i kanji recitano 川野飞行大队 Kawano Hikō Daitai, ossia “squadrone Kawano”. Anche qui, tranne quelli che indicano Kawano, gli ideogrammi sono cinesi. In giapponese “squadrone” si scrive 飛行大隊 mentre noi abbiamo 飞行大队 (anche se i due centrali sono identici). Prima del 1945 i giapponesi scrivevano gli ideogrammi in modo complesso, in special modo in ambito militare (questo proprio per distanziarsi dai cinesi che utilizzano quelli semplificati): é storicamente impossibile che uno squadrone di quel periodo presentasse gli ideogrammi così come possiamo vederli ora. In definitiva, credo che si tratti di un oggetto fabbricato in Cina. Spero di esserti stato utile e mi scuso per la lunghezza del mio messaggio. Aspettiamo altre foto della lama
  15. Grazie mille per averci informato Sensei. Mi auguro che i seminari riscuotano il successo che meritano
  16. Scusami se ho impiegato diversi giorni per risponderti Te-do. Ti ringrazio molto per l'ultimo messaggio, estremamente chiarificatore del tuo pensiero. Concordo pienamente con quanto hai espresso, in special modo quando poni l'accento sul fatto che quanto potremmo identificare come Bushidō non era qualcosa di scritto, ma comunque trasmesso oralmente come un valore essenziale di quella società. Poi, si sa', la storia è fatta dagli uomini e l'interpretazione di certi valori spetta soltanto a loro
  17. Ti ringrazio per la tua replica Te-do, è molto stimolante poter confrontare il proprio punto di vista con quello delle altre persone. Sicuramente Yamaoka Tesshū è rimasto sempre coerente al suo sitle di vita, tanto da ricevere i suoi amici e discepoli sino al suo ultimo giorno terreno per poi spirare mentre praticava zazen. Il mio parlare di contraddizione era esclusivamente riferito all’abuso di alcol che provocò il cancro che lo avrebbe ucciso: non ho mai praticato zen, ma da quello che so esso dovrebbe aiutarci a liberarci di qualsiasi cosa risulti essere inutile per la nostra esistenza. E l’essere umano, per vivere, non necessita nemmeno di una goccia di alcol. Secondo il mio modo di vedere le cose, sicuramente molto materialista, egli cedette a quella tentazione a cui non riuscì a mettere freno. Tornando alle arti marziali, uno dei più grandi problemi che ho riscontrato in molti praticanti occidentali è che spessissimo essi divinizzano i bushi e le arti da loro praticate in maniera eccessiva, come se fossero stati entità soprannaturali ed infallibili. Quello che i loro maestri gli riferiscono in merito a tali figure rappresenta sempre l’assoluta verità, pochissimi si prendono la briga di compiere studi approfonditi. Ed è qui che si generano false credenze, come quella del Katori Shintō Ryū considerata addirittura Tesoro Nazionale dell'arte e della cultura giapponese! Sinceramente mi sembra impossibile che ancora oggi si creda a ciò, probabilmente nessuno dei migliaia di praticanti che la tradizione vanta a livello mondiale ha mai letto la pagina ufficiale pubblicata dalla Prefettura di Chiba a riguardo della suddetta scuola. Ma questa è un’altra storia, e non è questa la sezione per dilungarsi oltre. A proposito dei valori del Bushidō, è bene ricordare che questa parola comparve soltanto agli inizi del XX secolo (e in inglese, soprattutto) e più che riunire tutte le caratteristiche che erano state proprie della classe guerriera nipponica, essa ebbe come funzione principale quella di tradurre il nostro concetto di “cavalleria”. Tra i motti più famosi tutti noi conosciamo quello che recita “bushi ni nigon nashi”; eppure la storia giapponese è costellata da infiniti tradimenti e cambi di sponda, si combatteva contro un nemico la mattina ed il pomeriggio ci si alleava con esso. La verità è che ogni han o fazione pensava innanzitutto alla propria sopravvivenza, a come sfamare gli abitanti che risiedevano al suo interno. Quando nel Febbraio del 1863 il bakufu creò la Rōshigumi il cui compito era quello di salvaguardare l’incolumità dello shōgun che avrebbe dovuto recarsi a Kyōto da li a poco, a Kiyokawa Hachirō ed Ono Tetsutarō (il futuro Yamaoka Tesshū) fu affidato il compito di condurre gli oltre duecentocinquanta uomini di cui il corpo era composto nella città imperiale. Una volta giuntivi, Kiyokawa confessò il suo vero scopo, ossia quello di ricondurre tutti ad Edo ed entrare nella fazione Sonnō (pro imperatore) per rovesciare il governo centrale. Solamente tredici uomini rimasero a Kyōto, divenendo il nucleo centrale di quel corpo di polizia che sarebbe passato alla storia con il nome di Shinsengumi. Inizialmente vi erano due fazione al suo interno; gli uomini dello Shieikan guidati da Kondō Isamu ed un gruppo di samurai di Mito guidati da Serizawa Kamo. Nonostante Kondō ed i suoi seguaci fossero quasi tutti di estrazione contadina, essi si comportarono come veri bushi e sentirono nel profondo dei loro cuori il sentimento di jinchū hōkoku (lealtà e patriottismo, quello a cui ti riferivi prima!); gli uomini di Mito, al contrario, nonostante la loro alta estrazione sociale, si lasciarono andare a furti, stupri, razzie e quant’altro, tanto che lo han di Aizu, incaricato della sicurezza cittadina, ordinò la loro totale eliminazione. Quello che voglio ribadire è che, secondo il mio modesto avviso, la pratica delle arti marziali influì pochissimo sulla condotta degli uomini del tempo: il bujutsu era visto come qualcosa che doveva essere appreso per non essere uccisi. Il gendai budō è un’altra cosa; personalmente ritengo che sia stato proprio quest’ultimo a reinfluenzare molte delle scuole tradizionali le quali avevano certamente una loro etichetta, ma non così complessa come quella che è possibile riscontrare oggi in molte scuole
  18. Bellissima discussione, ho letto con estremo interesse gli interventi di tutti quanti. Comprendo molto bene la posizione di Te-do, in special modo quando cita esempi concreti come il Fudō Chishin Myōroku di Takuan. Tra gli altri, potermmo anche ricordare Yamaoka Tesshū, fondatore della Mutō Ryū kenjutsu, e del suo concetto di “Ken Zen Ichinyo” (traducibile come “la spada e lo zen sono la stessa cosa”), oppure di Kanemaki Jizai con i suoi “Kōjō Gokui Goten” (letteralmente “i cinque punti essenziali più importanti”) della Kanemaki Ryū, enormemente influenzati dallo zen e che sarebbero stati trasmessi in seguito al suo allievo Itō Ittōsai, il quale ne avrebbe fatto la base stessa della Ittō Ryū. Per quel che mi riguarda, tuttavia, sento di condividere appieno il pensiero di Attila. Quello che dovremmo sempre tenere a mente è che tutte le scuole di arti marziali che sono esistite in passato e che sopravvivono tuttora sono state create da esseri umani, ognuno dei quali aveva il proprio pensiero e la propria visione del mondo. Se un determinato maestro di spada praticava lo zen, era normale che i principi della sua scuola, e gli allievi che ne facevano parte, risultassero influenzati da quest’ultimo. Ma ciò non significa assolutamente che tutte le tradizioni marziali abbiano seguito gli stessi dettami. Ad esempio, le più importanti scuole della seconda metà del periodo Edo, quelle che poi avrebbero fatto la storia dell’ultimo Giappone feudale, risentirono esclusivamente della morale neoconfuciana. Scorrendo i vari makimono e mokuroku dell’epoca si leggono spessissimo frasi come:”Se sarete sconfitti in combattimento addurrete vergogna non solo a voi, ma anche al vostro signore ed alla vostra famiglia, ed allora a quel punto preferirete la morte all’esilio. Dunque allenatevi senza tregua in modo da divenire più forti degli altri!”. Se verso il 1850 fossimo entrati nel Genbukan della Hokushin Ittō Ryū del maestro Chiba Shūsaku, il più grande dōjō della storia giapponese che poteva contare addirittura tremila allievi, asserendo di essere li per raggiungere l’illuminazione attraverso la pratica della spada saremmo stati guardati in maniera piuttosto incredula (perlomeno dai più). Probabilmente gli stessi maestri li presenti ci avrebbero indirizzato in un posto più consono alle nostre esigenze. Per concludere, vorrei commentare una frase che il nostro Te-do ha inserito in un suo interevento precedente:”...Tutto è lecito in democrazia , ma non nel "Budō" che richiede almeno uno stile di vita coerente tra pensiero ed azione.”. Sono pienamente d’accordo, ma purtroppo non è sempre così. Tornando a Yamaoka Tesshū, che fu uno dei più grandi spadaccini di epoca Meiji (se non il migliore) e che raggiunse l’illuminazione attraverso il concetto di mutō (senza spada), ritengo che sia una grande contraddizione che un maestro zen di così alto spessore si sia praticamente ucciso da solo: morire di cancro allo stomaco a cinquantatre anni per l’enorme quantità di alcol ingerita nel corso del tempo non è certo indice di moderazione, moderazione che tutta quella pratica spirituale avrebbe dovuto invece conferirgli
  19. sandro

    Ciao a tutti!

    Benvenuto sul forum Stefano
  20. Il mio permesso non serve assolutamente (ci mancherebbe altro)! Leonardo, se hai l'autorizzazione puoi informare i membri del forum ogni volta che lo riterrai opportuno
  21. Grazie infinite per aver condiviso con noi questa tua bellissima esperienza Leonardo, devi certamente aver trovato un posto meraviglioso. Come affermato da Keiji, credo che saremmo tutti curiosi di conoscere la scuola di scherma che hai praticato
  22. sandro

    presentazione al forum

    Benvenuto sul forum
  23. sandro

    ciao ciao!

    Benvenuto tra noi Nicola
  24. sandro

    Salve a tutti !!!

    Benvenuto Francesco
  25. sandro

    Ciao a tutti

    Benvenuto sul forum

Chi è I.N.T.K.

La I.N.T.K. – Itaria Nihon Tōken Kyōkai (Associazione italiana per la Spada Giapponese) è stata fondata a Bologna nel 1990 con lo scopo di diffondere lo studio della Tōken e salvaguardarne il millenario patrimonio artistico-culturale, collaborando con i maggiori Musei d’Arte Orientale ed il collezionismo privato. La I.N.T.K. è accreditata presso l’Ambasciata Giapponese di Roma, il Consolato Generale del Giappone di Milano, la Japan Foundation in Roma, la N.B.T.H.K. di Tōkyō. Seminari, conferenze, visite guidate a musei e mostre, viaggi di studio in Europa e Giappone, consulenze, pubblicazioni, il bollettino trimestrale inviato gratuitamente ai Soci, sono le principali attività della I.N.T.K., apolitica e senza scopo di lucro.

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